Roberto Cotroneo, E nemmeno un rimpianto.

Foto: Copertina del libro





Roberto Cotroneo, E nemmeno un rimpianto.

Mondadori, 2011


Ci sono libri che più di altri spiegano l’attimo magico nel quale ci chiamano: spesso sono imperfetti, nodosi, giustificabili solo attraverso l’urgenza emotiva di scriverli. Eppure ci chiamano.


Li compri, magari per la foto in copertina di un musicista, vero topos della Bellezza nell’infelicità, o per un titolo orecchiabile forse anche senza percepire nell’immediato il perché, E nemmeno un rimpianto. Lo scrittore è illuminato, lo scrittore è un bravo pianista e, solo dopo un attimo, ricordi quel suo libro sui testi di De André, Come un’anomalia. Il lettore si perde nella storia di Chet Baker, ricorda Il Suonatore Jones e rimane del tutto abbacinato ormai – e contraddittorio, se si vuole: legge e rilegge per mesi quella storia, così tante volte che potrebbe farne l’esegesi.


Chet è vivo – scrive Roberto Cotroneo nel suo ultimo libro E nemmeno un rimpianto, Mondadori, 2011 – e a dipanare la vicenda sono tre nomi femminili. Costanza che induce lo scrittore a lasciare da parte tutto e andare in cerca del musicista, Nathalie che lo inizia alla dottrina di Georges Ivanovic Gurdjieff – teorico delle “ottave dell’universo”, ossia il tentativo di interpretare la realtà attraverso termini musicali – ma soprattutto quella Valentine, ispiratrice del brano di Rodgers e Hart, che diventa il filo conduttore dell’intera vicenda: dal ritrovamento di una vecchia trascrizione in La minore nella casa da cui lo scrittore ha appena traslocato fino al ricordo della voce di Chet in un soffio che diventa fondamentale all’incontro, alle domande sulle session e sulle pause fondamentali, perché “Valentine è esattamente le note che non sono scritte”.


Nel libro, invece, sono parole scritte dalle quali la musica affiora cristallina.
“Chet era la vita quando diventa musica.” E allora eccolo, l’espediente letterario con il quale ingarbugliare le cose e parlare della vita, della musica, la sua, la mia e in fondo quel gran bel viaggio contorto e necessario che è il jazz.
Poi ancora. “È la musica che tiene insieme l’impossibile”. Scrivere questo libro, lasciar credere ai lettori che nulla sia più impellente e del resto è così: lasciarsi andare all’impossibile. Chet è vivo.


E noi lettori, riaversi dalla stessa aura di straniamento solo grazie a una locandina in uno sparuto paesino della Gardesana: “Stasera conferenza sull’opera “Incontri con uomini straordinari” del filosofo G.I. Gurdjieff”… E così – di nuovo – rimettere tutto in discussione.