Libri jazz 2011-2012

Foto: Copertina di Hear Me Talkin’ To Ya, di Nat Shapiro e Nat Hentoff.










Libri jazz 2011-2012.

Ventotto nuovi testi raccontano o spiegano le musiche afroamericane.



Jazz Convention dedica due volte l’anno un rendez-vous con l’editoria che si occupa di jazz (e musiche affini). Si tratta non solo di un’unica megarecensione di quanto uscito in Italia negli ultimi sei mesi, ma anche di qualcosa di molto particolare: è quasi un osservatorio privilegiato per fare i conti (provvisori) sullo stato attuale della cultura jazzistica che, come per tutte le arti e i linguaggi, non passa solo da chi “fa” (i jazzmen, i musicisti, in questo caso), ma anche – e in diversi casi “soprattutto” – da chi “riflette” sulla musica e sul jazz, studiando, criticando, osservando, ragionando – siano essi il professore di conservatorio e il docente di una scuola popolare, il giornalista e il musicologo, il critico e il recensore, l’appassionato e il collezionista. In tal senso il jazz, più di altre arti, più di altre musiche, resta ancora una forma democratica, non solo tra i musicisti, ma anche per gli addetti ai lavori che possono essere al contempo umili fans e illustri accademici, spassionati aficionados e raffinati intellettuali: la storia di chi scrive di jazz, per fortuna, è ricchissima di contributi eterogenei che risultano ancor oggi un simbolo di apertura mentale e di interscambio ermeneutico.


Detto questo la situazione, grosso modo, suddivisibile tra l’autunno scorso e i primi di marzo, non è tra le più rosee a livello di pubblicazioni italiane sul piano numerico, ma tra i pochi titoli stampati, presi singolarmente, esistono talvolta autentici capolavori. Si può infatti iniziare da uno di essi, la Nuova storia del jazz dell’inglese Alyn Shipton, poderosa disamina come non si vedeva dai tempi del Jazz di Arrigo Polillo (e sono passati quasi quarant’anni): al momento è la storia più esauriente dal punto di vista critico, storico, metodologico e non serve aggiungere altro, se non leggerla attentamente, benché l’appendice italiana Il saltarello del cannibale di Vincenzo Martorella appare un po’ fuori tema rispetto al lavoro del britannico. Altra pietra miliare, pubblicata da un piccolo editore – il che dimostra vergognosamente lo stato in cui versa la cultura italiana, incapace a livello di grande business di slanci passionali – è Hear Me Talkin’ To Ya (giusto mantenere il titolo originario perché si tratta di un testo noto a tutti i jazzofili) di Nat Shapiro e Nat Hentoff, scritto nel 1955: i due critici statunitensi raccontano la storia del jazz ricavandola, come per un film di montaggio, direttamente dalle centinaia di interviste effettuate a jazzmen maggiori e minori, che allora erano tanto i giovani leoni del neomoderno quanto gli arcani detentori delle origini.


Non aggiunge invece molto a quanto già noto il Viaggio nel jazz di Stefano Cataldi che racconta i primi quarant’anni di jazz americano incentrandosi solo sulle figure-chiave, senza troppi aggiornamenti critici. Bello è invece il librino Non sparate sul pianista di Paolo Carradori che, analogamente a quanto fatto con il sassofono, racconta velocemente la storia del piano jazz, dimostrando, nella prosa leggera, acume, completezza, intelligenza, pur nelle obiettive ristrettezze del saggio breve. Di storia si può parlare anche per 101 microlezioni sul jazz a cura di Filippo Bianchi e Pier Paolo Pitacco, i quali scelgono appunto un centinaio di frasi più o meno celebri di grandi jazzisti sul valore o sul senso di questa stessa musica: la grafica visualizza completamente il jazz, quasi dovesse illustrare un manuale di lettering o di pubblicità: un’occasione simpatica nel favorire ulteriormente i rapporti tra la filosofia del jazz e le sue tante immagini. Dalla Spagna infine è da segnalare, nella speranza che venga prontamente tradotto, In-fusiones de jazz a cura di Julián Ruesga Bono, che raccoglie sette saggi sul presente e sul futuro del sound afroamericano, contestualizzandolo finalmente in un’ottica non solo afroamericanocentrica, ma pensando al contributo offerto dall’Europa e da altri continenti, fin dai primi Novecento, nel costruire non una ma tante identità jazzistiche (nel libro discusse soprattutto quelle recenti o recentissime).


Per quanto riguarda le monografie ne arrivano due sole, ma di primaria importanza; da un lato infatti Django di Michael Dreghi da Minneapolis è la generosa disamina della vita e dell’arte di Django Reinhardt sotto un profilo squisitamente chitarristico, visto che l’autore è proprio un esperto di chitarre moderne e di swing gitan. Dall’altro Thelonious Monk del californiano Robin F. G. Kelly è forse la monografia “assoluta” (ottocento pagine) che restituisce l’intera grandezza di un pianista, compositore, improviser straordinario.


Il jazz italiano è ben rappresentato dal punto di vista qualitativo, perché, a parte I mestieri del jazz (ISU, Milano 2003), Una preghiera tra due bicchieri di gin di Nicola Gaeta è la prima organica raccolta di interviste a jazzisti italiani (trentacinque in tutto dai padri fondatori alle giovani promesse); l’unico difetto del libro è per così dire editoriale e riguarda il titolo, perché, se esposto in libreria, con quei caratteri cubitali e quelle parole (preghiera, bicchieri, gin) non richiama l’attenzione sul tema scelto; pare quasi lo si faccia apposta a non farsi conoscere! Bisognerebbe imparare dall’altro libro, L’Italia del jazz di Adriano Mazzoletti, per capire come si sceglie il titolo di un volume: d’altronde qui si tratta del decano dei critici jazz italiani, che cura di fatto una bellissima storia fotografica del jazz nostrano, forse un po’ troppo frettolosa negli ultimi anni (e decenni) ma sorprendente per quanto riguarda le origini e tutte le fasi pionieristiche.


Parlando infine dei manuali tecnici – quelli che i futuri jazzman dovrebbero studiare per imparare a suonare meglio – ci sono due case editrici benemerite che s’impegnano proprio in questo settore, tra l’altro oggi molto richiesto da scuole e conservatori: con Tecnica moderna di armonia di Gordon Delamont arriva un classico del 1965 (l’autore, bandleader canadese era nato nel 1918 e morto nel 1981) che resta ancora un punto di riferimento non solo per scale, intervalli, accordi, cadenze, progressioni, ma anche per le considerazioni melodiche sui fondamenti dell’armonia moderna. Invece con Jazz. Aree intervallari di Franco D’Andrea e Luigi Ranghino, maestro e allievo, tra l’altro didatti da lunga data entrambi, si impegnano a spiegare l’organizzazione del suono nei tre contesti tonale, modale e free; per fortuna una corposa introduzione del musicologo Luca Bragalini e un Cd allegato consentono anche al neofita di capirci qualcosa, perché il resto è formato quasi solo da esempi al pentagramma.


Cambiando discorso, non si può trattare di editoria che si occupa di jazz, senza prendere in considerazione altri libri, inerenti i linguaggi sonori afroamericani che con il jazz intrattengono rapporti più o meno diretti. Il blues è uno di questi, al punto che per molti studiosi è parte integrante della storia jazzistica, anche se ad esempio i critici rock preferiscono analizzarlo come forma a se stante, più influente sul rock stesso che non su altre musiche nere. In ogni caso Il blues del Delta di William Ferris (non caso dal Mississippi) è un altro classico della letteratura afroamericana, arrivato trentatré anni dopo la pubblicazione americana: il testo infatti risale al 1978 ma non ha perso nulla della straordinaria freschezza di una ricerca sul campo, nel solco della miglior etnomusicologia statunitense. Parte dal blues (e dal gospel) anche Note americane di Alessandro Portelli, forse il massimo esperto di cultura a stelle-e-strisce sulla Penisola, il quale però s’allarga da altri generi popolari bianchi dal folk al country, fino ai nuovi cantautori, sottolineando il valore politico della canzone nel corso del Novecento.


Anche La musica dell’assenza del tuttofare Gianluca Grossi vanta il blues e il gospel fra i trentuno generi tradizionali che a suo parere sono andati perduti e poi ritrovati: si parla di forme popolari da tutto il mondo che oggi vengono etichettate come world music (e tra quelle afroamericane vengono pure trattate il tango, la rumba, il cajun, il dixieland, la samba, il klezmer e il calypso), ma che da sempre godono nelle varie rispettive patrie di onori e seguiti: non a caso l’approccio dell’autore talvolta è molto superficiale e poco infornato. Meglio allora leggere i libri di chi vive la musica sulla propria pelle, a vario titolo, come Original Rude Boy di Neville Staple (assieme al giornalista Tony McMahon): il cantante degli Specials, gruppo misto anglogiamaicano, ripercorre le tappe principali dello ska britannico, quasi come in un film on the road, dai poveri immigrati ai grossi successi presso il pubblico bianco. Perlustrando in particolare i ghetti di metropoli come Chicago, Rio, Cape Town con Un mondo di gang dell’avvocato John M. Hagedorn e affrontare il tema della cultura gangsta che transita dalla musica rap e hip-hop con spinte al movimentismo di giustizia sociale, pur tra violenze e uso di armi da fuoco anche tra giovanissimi.


Passando alle biografie due sono anzitutto su personaggi di sicura presa nella storia musicale tangente al jazz medesimo: con Robert Johnson. Crossroads, Tom Graves firma un testo al contempo snello, completo, godibilissimo sulla figura ormai mitica del grande bluesman, che, soprattutto per i musicisti rock, è da sempre la figura di riferimento. E con Gil Scott-Herson. The Bluesologist, Antonio Bacciocchi redige un breve profilo di un cantautore nero di recente scomparso, poco noto in Italia, ma fondamentale per gli intrecci tra le varie anime black e per aver anticipato di fatto le correnti rap e hip-hop. Forse però di queste e altre tre biografie quel del musicista più legato al jazz resta senza dubbio il corposo Tutto un complesso di cose di Enrico De Angelis, dedicato a Paolo Conte (il titolo è un celebre verso di una sua canzone) che in Italia è l’alfiere di un’autentica originalissima song jazzata. Ma anche Fela questa bastarda di una vita del cubano Carlos Moore è un’opera importante poiché ricostruisce, con accuratezza da storico, la vita del grande musicista nigeriano attraverso documenti originali fatte di testimonianze del protagonista o di interviste a parenti e collaboratori, per comporre un discorso anche politico su un “maestro” dell’afrobeat. E, sempre per il jazzofilo, è pure utile una scorsa a Raga Mala di Ravi Shankar, in cui il grande sitarista indiano racconta se stesso, privilegiando ovviamente la prospettiva artistica in un’esistenza fatta di incontri straordinari anche nel mondo jazzistico.


Un accenno meritano quindi il libro di immagini in cui è presente il jazz, magari non da protagonista, ma comunque quale presenza significativa a partire da Music: Box a cura di Gino Castaldo che raccoglie gli scatti dei migliori fotografi del mondo intero, soprattutto americani e con un occhio di riguardo al rock, benché risultino frequenti anche i primi piani su jazzmen e bluesman, suddivisi con rock e pop star in undici sezioni tematiche. Design For Music di Hans Lijklema, in versione quadrilingue (inglese, tedesco, francese, spagnolo) presenta una selezione dei lavori che i migliori grafici internazionali dedicano soprattutto a poster, manifesti, copertine di dischi, con una scelta in ordine alfabetico di artisti e agenzie di pubblicità. The Art Of British Rock di Mike Ecabs è uno splendido volume di immagini colorate che segue l’evoluzione della grafica – anche qui poster e copertine – dei maggiori illustratori britannici che iniziano con il jazz negli anni Cinquanta per esplodere, in qualità, con le grani ere beat, psichedeliche, prog rock, glam, punk e brit-pop. Milano città e spettacolo a cura di Antonio Calbi è una ricognizione (di saggi e fotografie) sulla metropoli lombarda intesa quale coacervo di importantissimi realtà socioculturali che fanno capo soprattutto alle arti performative, tra cui rientra pure il jazz in un bel capitolo redatto da Maurizio Franco.


Due libri infine che possono essere utili alla causa del jazz per integrare la musica rispettivamente al contesto storico-politico e alle competenze tecnico-filosofiche. Da un lato I lunghi anni Sessanta di Bruno Cartosio è uno studio approfondito sui movimenti civili che dal dopoguerra a oggi – avendo però quale epicentro i favolosi Sixties – hanno sensibilizzato la realtà statunitense; dall’altro Come funziona la musica dell’inglese John Powell è un saggio sulla scienza dei suoni che democraticamente accumuna Bach e i Led Zeppelin e – senza che l’Autore lo citi – anche tutto il jazz.



Bibliografia completa dei libri recensiti (in ordine alfabetico per titolo)

101 microlezioni sul jazz, Filippo Bianchi e Pier Paolo Pitacco (a cura di), edizioni 22publishing, Milano.

Come funziona la musica. La scienza dei suoni bellissimi, da Beethoven ai Beatles e oltre, John Powell, edizioni Salani, Milano.

Design For Music. Pictographic Index 2, Hans Lijklema, edizioni The Pepin Press, Amsterdam (Olanda).

Django. Vita e musica di una leggenda zingara, Michael Dregh, edizioni Siena Jazz, EDT, Torino.

Fela questa bastarda di una vita, Carlos Moore, edizioni Arcana, Roma.

Gil Scott-Herson. The Bluesologist. Storia e discografia del padre del rap, Antonio Bacciocchi, edizioni Volo Libero, Milano.

Hear Me Talkin’ To Ya. La storia del jazz raccontata dagli uomini che l’hanno fatta, Nat Shapiro e Nat Hentoff, edizioni Italic, Ancona.

I lunghi anni Sessanta. Movimenti sociali e cultura politica negli Stati Uniti, Bruno Cartosio, edizioni Feltrinelli, Milano.

Il blues del Delta, William Ferris, edizioni Postmedia, Milano.

In-fusiones de jazz, Julián Ruesga Bono (a cura di), edizioni Arte-facto, Sevilla (Spagna).

Jazz. Aree intervallari, Franco D’Andrea e Luigi Ranghino, edizioni Volontè & Co., Milano.

L’Italia del jazz, Adriano Mazzoletti, edizioni Stefano Mastruzzi, Roma.

La musica dell’assenza. 31 generi tradizionali, perduti, ritrovati, Gianluca Grossi, edizioni Arcana, Roma.

Milano città e spettacolo. Teatro danza musica cinema e dintorni, Antonio Calbi, edizioni Sassi, Schio (Vi).

Music: Box. Quando i grandi fotografi raccontano la musica, Gino Castaldo (a cura di), edizioni Contrasto, Roma.

Non sparate sul pianista. Note sul piano jazz, Paolo Carradori, edizioni Effequ, Orbetello (Gr).

Note americane. Musica e culture negli Stati Uniti, Alessandro Portelli, edizioni Shake, Milano e Rimini.

Nuova storia del jazz, Alyn Shipton, edizioni Giulio Einaudi, Torino.

Original Rude Boy. Dalla Giamaica agli Specials. L’autobiografia dello ska inglese, Neville Staple eTony McMahon, edizioni Shake, Milano e Rimini.

Raga Mala. La mia vita, la mia musica, Ravi Shankar, edizioni Arcana, Roma.

Robert Johnson. Crossroads. Il blues, il mito, Tom Graves, edizioni Shake, Milano e Rimini.

Tecnica moderna di armonia. Volume 1. Elements, Gordon Delamont, edizioni Curci Jazz, Milano.

The Art Of British Rock. 50 Years Of Rock Posters, Flyers And handbills, Mike Ecabs, edizioni Frances Lincoln Limited, London (Inghilterra).

Thelonious Monk. Storia di un genio americano, Robin F. G. Kelly, edizioni Minimum Fax, Roma.

Tutto un complesso di cose. Il libro di Paolo Conte, Enrico De Angelis, edizioni Giunti, Firenze.

Un mondo di gang. Giovani armati e cultura gangsta, John M. Hagedorn, edizioni XL, Roma.

Una preghiera tra due bicchieri di gin. Il jazz italiano si racconta, Nicola Gaeta , edizioni Caratterimobili, Bari.

Viaggio nel jazz. dalle origini allo swing, Stefano Cataldi, Editori Internazionali Riuniti, Roma.