Improvvisatore Involontario – ii0027 – 2011
Aurora Curcio: pianoforte, composizioni
Domenico Ammendola: clarinetto
Carmelo Coglitore: sax soprano, sax tenore, clarinetto basso
Andrea Avena: contrabbasso
Francesco Cusa: batteria
Non c’è paradosso più stimolante di una compositrice che agisce in una factory chiamata Improvvisatore Involontario, esordisce nelle note di copertina Mario Gamba. Ed effettivamente non è l’unico dato felicemente paradossale di D’onde. La concisione estrema dei ventotto minuti del disco si unisce a una varietà di argomenti e di atmosfere diversamente tratteggiate dalla scrittura della pianista Aurora Curcio, dalla composizione contemporanea a passaggi nel jazz più canonico, dalle tensioni informali all’incedere melodico di diversi momenti.
Il disco viene aperto da un episodio introspettivo – Note dell’autore, in piano solo – ed è condotto dal quintetto con garbo e rispetto delle composizioni. A parte un momento urlato all’interno di Echi, D’onde si mantiene lieve e delicato e, soprattutto propone un filo narrativo che passa di brano in brano attraverso suggestioni diverse e fa si che i sei brani del disco costituiscano una vera e propria suite. Blues, dixieland, swing si fondono via via con la ballad jazz della breve – solo un minuto e spiccioli – D’onde – Ponente, con gli echi popolari, prima, e contrappuntisti, poi, del dialogo tra clarinetti che apre A zonzo. La seconda parte di questo stesso brano passa per un unisono carico di tensione per poi tornare a disegnare il tema accennato in apertura dai clarinetti, su una ritmica sghemba e dagli accenti allo stesso tempo clowneschi e marziali. Echi si apre a sua volta con un assolo di Francesco Cusa, tanto ricco di spunti sonori e di tensioni quanto contenuto nei volumi, in linea d’altronde con lo spirito del lavoro.
La scelta di una front-line di ance, clarinetto e sassofoni, aggiunge possibilità alla scrittura di Aurora Curcio. Pur non essendo certo una novità, è una accoppiata sonora meno usuale e unisce al suono stentoreo del sax le possibilità del clarinetto di spaziare dal mondo popolare alle tensioni colte alle origini del jazz. E questo tipo di atteggiamento viene utilizzato appieno dalle direzioni prese nella scrittura della pianista. I tanti cambi di prospettiva pretendono un ascolto attento: sono logici e facilmente seguibili dall’ascoltatore a patto che stia al gioco. E, nella concisione generale del lavoro, perdere un passaggio vuol dire non ritrovare il bandolo della matassa. La compositrice dispone le sue carte in maniera intrigante e il suo schema viene seguito con buona presenza dal quintetto in tutto il suo svolgimento, assecondandone i passaggi fino alla elegiaca conclusione di Levante. I musicisti seguono il dettato della scrittura che viene sempre ripreso e tenuto in considerazione durante le improvvisazioni: l’esempio più lampante di questo atteggiamento è in Icnontri dove il tema viene echeggiato anche nella parte centrale libera – affidata al clarinetto di Ammendola e al tenore di Coglitore – e rimane sempre nella mente dell’ascoltatore e nei riflessi di quanto viene suonato per poi tornare in grande evidenza al rientro della ritmica.
Aperto ad una interpretazione duplice sin dal titolo, D’onde è un lavoro articolato e allo stesso tempo gestito con semplicità da Aurora Curcio, un gioco condotto con coerenza senza rinunciare alla varietà espressiva.