Slideshow. Javier Girotto

Foto: Fabio Ciminiera










Slideshow. Javier Girotto.


Jazz Convention: Javier, partiamo dal tuo ultimo disco?


Javier Girotto: È sempre una nuova esperienza perche tendo sempre a fare una continua ricerca e un continuo rinnovo nella musica, che scrivo cercando di progredire in continuazione, al meno per me; questa ricerca mi aiuta a stimolarmi per continuare a sua volta a scrivere e a trovare nuove strade e idee musicali per poter continuare a divertirmi sia suonano sia componendo.



JC: Date le tue origini sudamericane, ci sono dischi di latin-jazz a te cari?


JG: Te ne nomino solo uno: Alma di Egberto Gismonti, sempre ammesso che possa intendersi come jazz latino.



JC: E nel jazz vero e proprio?


JG: You Must Believe In Spring di Bill Evans: la lista potrebbe però essere interminabile però questi due sono i miei preferiti in assoluto?



JC: Tu in quale corrente ti collocheresti: latin-jazz, tango-jazz o altro ancora?


JG: Direi nella “musica”, semplicemente. Mi questi ultimi anni in Italia mi sono emozionato e divertito molto più a comporre, suonare e improvvisare negli stili con i quali sono cresciuto come la musica argentina e cerco di fare o seguire un post-Piazzolla (che fu l’ultimo autentico innovatore nel tango); in poche parole sarebbe continuare fino a dove Astor arrivò e scrivere nuove cose mescolando tango e folclore argentino ovviamente aggregando sempre l’improvvisazione.



JC: Ma per te cos’è il jazz?


JG: Direi che jazz è arte dell’improvvisazione, in qualsiasi tipo di stile o corrente venga fuori, dal bebop al mainstream, dall’hard bop al tango-jazz. E certamente è una delle grandi forme musicali contemporanee del Novecento.



JC: Suonando tu i sassofoni che riferimenti stilistici hai?


JG: All’inizio non ascoltavo sassofonisti, bensì pianisti, solo negli ultimi anni ho apprezzato molto l’ascolto di Jan Garbarek, John Surman, Michael Brecker, Wayne Shorter, però l’influenza autentica nel mio modo di suonare me la diedero i bandoneonisti di tango e la melodia latina del mio Paese.



JC: Sei in contatto con i vecchi amici jazzisti in Argentina?


JG: Non tengo più famiglia in Argentina ma conservo l’amicizia con tutti i musicisti con i quali ho lavorato quando vivevo appunto in Argentina e quando mi capita, ogni due-tre anni, di tornare, mi piace sempre molto suonare di nuovo con loro.



JC: Esiste per te una identità propria del jazz argentino?


JG: La forma che contraddistingue l’identità musicale di un Jazz Argentino sarebbe quella che mescola l’improvvisazione con gli stili argentini come il tango e il folklore e attorno a ciò esiste in effetti un gran numero di musicisti che sperimentano.



JC: E c’è anche un’identità del jazz latino-americano?


JG: Penso che sia la stessa maniera, in ciascun Paese, di contaminare il jazz con le proprie radici musicali dando spazio al linguaggio improvvisativo; solo quelli che fanno questo tipo di improvvisazione con i ritmi autentici locali creano un nuovo linguaggio; non sono affatto d’accordo che con i ritmi latini si debba improvvisare con il linguaggio del bebop: stanno bene armonicamente però sugli accenti ritmici delle frasi vi sono troppi contrasti.



JC: Com’era in Argentina negli anni Settanta durante la dittatura? O meglio come viveva il jazz?


JG: Si censurava beceramente tutto quello che non era argentino e per conseguenza straniero.



JC: E questo valeva anche per la musica afroamericana?


JG: Totalmente! Era uguale al fascismo italiano di trent’anni prima, si censurava il jazz solo perchè era nero e i “negri” erano ritenuti razza inferiore.



JC: Com’è ora la situazione del jazz in tutta l’Argentina?


JG: Dopo la grande crisi economica del 2001 quando l’Argentina toccò il fondo, cominciarono ad esprimersi alcuni giovani con nuove idee musicali e artistiche però il problema continua perchè tutte queste nuove idee non hanno gli spazi adatti per realizzarsi o non ci sono soldi per promuovere la cultura e quindi si lavora con molte difficoltà in questo campo.



JC: Ma hai trovato giovani jazzisti meritevoli in America Latina?


JG: Certo, come ci sono anche in Europa però non esistono spazi concreti per potersi realizzare. Generalmente un giovane cerca di suonare il più possibile dal vivo per farsi conoscere e quando viene chiamato a suonare con un jazzista conosciuto, allora gli si presta attenzione! Altrimenti i giovani resteranno sempre al margine! Disgraziatamente il mercato della musica oggi funziona dando risalto più al nome che alla qualità che si offre. E giovani spesso di qualità ne hanno moltissima!



JC: Progetti per il futuro?


JG: Continuo ad andare avanti con progetti “storici” e altri più nuovi, ad esempio con gli Aires Tango, con l’Atem Sax Quartet, in duo con Luciano Biondini o Gianni Iorio, con una mia big band (diretta da Silvestri) o con i Six Sax. E non mancano le collaborazioni con jazzmen italiani e stranieri.