Matteo Fraboni Quintet: This Is My Music!

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Matteo Fraboni Quintet: This Is My Music!


This Is My Music è il disco d’esordio del giovane batterista Matteo Fraboni. Un lavoro, e un “biglietto da visita”, non da poco per uno che incide da leader per la prima volta. Il suo è un inizio internazionale essendo l’unico membro italico del gruppo. E poi ha con sè quel campione del tenore che si chiama George Garzone.



Jazz Convention: Matteo Fraboni, parlaci di te, del tuo essere batterista e del jazz.


Matteo Fraboni: Sono autodidatta, studio per ore nel letto, (tamburo, esercizi di tecnica), ascolto musica ventiquattro ore al giorno, in particolare musica mediorentale, africana, e leggo libri di ogni sorta, principalmente saggistica e sociologia. Ho avuto modo di incontrare dei grandi personaggi nei viaggi che ho fatto, e da ognuno ho preso qualcosa: da Gene Jackson l’attenzione ai dettagli per la tecnica; da Changuito la capacità di studiare per ore, lentamente senza usare mai la forza fisica, da Aki Montoya la concentrazione e un forte rispetto per il momento in cui si fa musica.. e da Mamadou Diouf la consapevolezza di ripetere lo stesso groove per ore. Per quanto riguarda il rapporto tra batteria, e il jazz, penso che per me non si possono scindere questi due elementi: il jazz l’ho sempre riconosciuto in un linguaggio musicale molto personale, e il mio strumento ho sempre cercato di suonarlo come gli altri non lo suonavano, così da creare un mio modo di suonare la batteria che vuol dire essere riconoscibile tra tanti, e quindi ‘personale”. La politica del musicista più bravo, mi ha nauseato tempo fa.



JC: This is My Music è il tuo primo disco da leader?


MF: Si. This Is My Music è la realizzazione del mio primo sogno. A quindici anni, quando ho deciso coscientemente di fare il musicista, professionista, mi ricordo di una telefonata con un mio caro amico (bassista metal Alessio) al quale dissi le testuali parole: “Guarda che se io ti dico che voglio fare il musicista, non lo dico per scherzo, io lo voglio fare seriamente e in grande”. Così è stato. Chi mi conosce sa quante peripezie ho fatto fino adesso per guadagnarmi tutto quello che ho fatto, e quindi This Is My Music è il risultato di quindici anni di vita dedicata alla musica.



JC: In quanto tempo è stato realizzato e dove?


MF: Il disco è stato realizzato in nove ore a Brooklyn (quattro il primo giorno, cinque il secondo, più l’ultimo giorno per missaggi), nello studio di Wallace Rooney, in un ex-fabbrica, molto modesta. Abbiamo registrato tutti in una stanza, senza fare prove. Nemmeno io avevo mai suonato quei brani, me li ero solo immaginati, e la cosa sorprendente è che sono venuti uguali a come li avevo pensati.



JC: Parlaci della formazione che ha partecipato al disco, tra cui George Garzone. Sei l’unico italiano di una formazione americana.


MF: Sono l’unico italiano di una formazione americana perché qui in Italia la stragrande maggioranza dei musicisti che suonano, concedetemi l’espressione, se la tirano fino al midollo… e allora, siccome sentivo una forte esigenza di realizzare questo lavoro, “la mia musica”, ho sfruttato una recente collaborazione che avevo avuto con Aruan Ortiz (nel quartetto di Fabio Zeppetella all’Alexander Platz) per organizzare il tutto. Senza tenere troppe cose nascoste, Logan Richardson e Rashaan Carter li ho scelti da You Yube. Logan ha una personalità stile Charlie Parker, da innovatore; Rashaan perché è stato in Africa come me. Infine, George Garzone, che dopo averlo conosciuto ai seminari estivi Arcevia in Jazz, mi lasciò i suoi contatti dicendomi “Nice sound Matteo”. Siccome avevo alcuni brani dove mi serviva un tenore ho pensato di chiamarlo, e poi semplicemente perché lui è considerato John Coltrane in vita, e io suono questa musica “per colpa” di A Love Supreme di John Coltrane.



JC: Parlaci dei brani del disco. Sono tutti a tuo nome tranne A time for love.


MF: I brani del disco sono nati nel tempo: il waltzer “Dear friend” l’ho scritto quando avevo poco più di vent’anni, nel mio garage a Senigallia; il blues “The Road” due anni fa a San Lorenzo, Roma e rappresenta il mio primo viaggio a New York. “Umuntu Ngumuntu” è un brano basato sulla scala indiana “bahiravi” dalla quale sono sempre stato affascinato e sulla quale ho improvvisato per anni suonandola al piano. “Something New” era una nenia che mi cantavo in macchina pochi anni fa, nei lunghi viaggi da solo, o da Roma a Senigallia, o da Bologna a Milano o da Bergamo a Roma. Ed è un vero esperimento, dove ho cercato di unire le ritmiche ‘jungle” in una struttura mista e dispari, (swing-latin) trasformandola in “Jungle- Swing”. Mi sono divertito molto a suonarlo perché mette i solisti e gli altri della band in condizione di ragionare molto più ritmicamente, quindi per me che sono un batterista, le improvvisazioni diventano un divertimento assoluto. Infine le improvvisazioni funk, quelle che ho sempre adorato di Miles Davis nel suo quintetto degli anni ’70 e la ballad, che ho deciso di suonare la sera prima di andare in studio (ho scritto a Massimo Morganti, che mi ha seguito nella stesura dei brani, chiedendogli di inviarmi una parte perché l’indomani l’avrei dovuta dare a George Garzone!), e l’ho voluta suonare per due motivi: perché mi piace da morire; e perché sono cresciuto ascoltando tutti i grandi dischi di jazz del caso, e in ognuno di essi ad un certo punto c’è una ballad.



JC: Che cosa è New York per te?


MF: L’unica città che ho visto dove regna sovrana la libertà di espressione, senza compromessi.



JC: Parlaci della casa discografica e della promozione.


MF: Via Veneto Jazz, una delle migliori e storica etichetta del jazz italiano. Firmare il contratto con loro è stato per me un grande traguardo, o meglio, ho provato un senso di riconoscimento, di aver riconosciute le mie fatiche. L’Italia è forse uno dei paesi più belli del mondo, ma la meritocrazia non sa nemmeno cos’è, uscire con VVJ forse ne è un raro caso. Per la promozione sto lavorando, tra radio e recensioni. Purtroppo alcune date che dovevo fare con il quintetto americano al completo sono state cancellare per ‘insufficient fund” (Villa Celimontana, Fano Jazz) e mi dispiace molto, avrei voluto davvero presentarlo con loro. Adesso sto lavorando con una formazione ‘quasi italiana” nella quale coinvolgerò i musicisti con cui mi sono trovato bene a suonare, qui a Roma.



JC: Hai idee per un nuovo disco?


MF: Si, ma non dico niente fino a che non lo farò. Quindi è meglio lasciare l’elemento di sorpresa…