Bobby McFerrin & Keith Jarrett @ Luglio suona bene

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Bobby McFerrin & Keith Jarrett @ Luglio suona bene.

Auditorium Parco della Musica, Roma. 25.6/2.8.2012


Come ogni anno, nella splendida location dell’Auditorium di Roma, ritorna il consueto appuntamento con la rassegna estiva “Luglio Suona Bene”. Il cartellone di questa stagione rispecchia il trend delle edizioni passate puntando nuovamente su nomi sicuri e dalla facile presa piuttosto che virare su scelte coraggiose ma ben più rischiose. Anche lo spazio dedicato al jazz, non molto per la verità, non fa eccezione, proponendo in programma artisti da sempre molto amati come Bobby McFerrin, Pat Metheny ed il trio di Keith Jarrett in conclusione.


Domenica 8 luglio sbarca nella capitale, a distanza di due anni dalla sua ultima apparizione, il cantante newyorkese Bobby McFerrin accompagnato dal trio vocale WeBe3, formato da Rhiannon, Joey Blake e Dave Worm, formazione che da più di 20 anni miscela voci, strumentazioni vocali e percussioni corporee.


Non è certo la prima volta che troviamo McFerrin impegnato nei più disparati progetti con altri artisti in un continuo rimettersi in gioco, caratteristica che ha da sempre contrassegnato il suo percorso fatto di una musica versatile, divertente, interattiva e ricca di sperimentazioni.


Il concerto si apre con l’unica presenza femminile al centro del palcoscenico, con i tre compagni di avventura che si limitano a tessere una originale ritmica ricca di richiami africani, terreno fertile per facili vocalizzi. La scenografia è povera, essenziale, nessuno strumento sul palco, con le sole voci dei quattro a riempire e divenire assolute protagoniste. Fin dalle prime battute si avverte però la sensazione di come sia McFerrin l’ospite aggiunto e non viceversa: è infatti il trio a predominare la scena con brani attinti dal proprio repertorio, con il cantante americano relegato a colorare i vari vocalizzi in una miscela alla lunga poco convincente. Questa impressione si fa più forte quando, a metà serata, è lo stesso a prendere da solo l’iniziativa: qui viene finalmente fuori la sua personale capacità di saper interagire e coinvolgere l’intera platea, dirigendo il pubblico come fosse un grande coro. Purtroppo rimarrà una parentesi isolata in un concerto comunque piacevole e ricco di ironia. I quattro riescono infatti con una estrema musicalità, partendo dalla linea di basso, a sviluppare temi in un dialogo costante a più voci evocando vari strumenti musicali, dalle percussioni agli strumenti a fiato, dimostrando un feeling immediato e contagioso. E così anche il passaggio di uno stormo di gabbiani, la sirena di un’ambulanza o il blackout dell’impianto luci può divenire un facile pretesto per un’ improvvisazione coinvolgente che diverte, sottolineata dai continui applausi.


In conclusione rimane l’ulteriore conferma, evidente anche dai volti del pubblico, di come McFerrin riesca ad appassionare e rapire intere platee per tutta la durata di un concerto a cappella in uno modo del tutto unico di intendere uno show; di certo impresa non semplice.


Il 29 luglio fa ritorno a Roma la formazione che da quasi trent’anni ha reinventato la maniera di interpretare gli standard dando una lettura nuova del songbook americano, ovvero il trio guidato da Keith Jarrett, in quello che si può certamente definire il concerto più atteso dell’intera rassegna. Ancora una volta,difatti, la capiente sala Santa Cecilia fa registrare da tempo il sold out e, nonostante l’orario infelice, il costo proibitivo ed il caldo torrido, alle 18.30 si presenta già piena e trepidante. Del Jarrett degli ultimi anni, soprattutto in trio, si conosce già quasi tutto in partenza: il repertorio, il lungo intervallo tra un set e l’altro, i vezzi e quant’altro caratterizza le uscite dell’ultimo decennio del geniale pianista americano. L’impressione è sempre quella che si possa ormai scrivere una recensione già prima di aver ascoltato il concerto, ben consapevoli in partenza che alla fine si rimarrà sempre affascinati dall’assoluta, quasi maniacale, perfezione che soltanto questa formazione è oggi capace di offrire. Per Jarrett infatti l’arte del concerto è una scienza esatta, ogni piccolezza è curata nei minimi dettagli, e poco importa se poco spazio viene lasciato a quella estemporaneità e imprevedibilità che da sempre caratterizzano la musica afroamericana. In molti hanno smesso di seguirlo negli anni, in molti gli sono rimasti fedeli, ma Jarrett oggi è questo, prendere o lasciare. Il pianista americano non si smentisce nemmeno questa volta e, salito sul palco, volge le spalle al pubblico e chino sulla tastiera inizia a prendere confidenza con lo strumento senza batter ciglio.


La prima parte scorre via veloce senza destare particolari spunti di interesse con i tasti di Jarrett, complice una iniziale equalizzazione non ottimale, che faticano a prendere il sopravvento, sovrastati dalle pelli di un DeJohnette insolitamente percussivo. Cinque in totale i brani della prima parte, in cui spiccano una classica Summertime ed un lento omaggio a Ellington nel finale, con l’insieme che appare talmente preciso e definito da lasciare di contro poco spazio alle emozioni. Di tutt’altra qualità il secondo set, con i tre che appaiono finalmente più sciolti ed in grado di entusiasmare il composto ed educato pubblico presente. Peacock, instancabile motore del trio, sale in cattedra facendo da raccordo perfetto tra le sublimi melodie disegnate dal piano ed il carattere più deciso di un DeJohnette in grande forma. Jarrett è ora più disinvolto e si prende ben presto la scena con lunghi monologhi in cui si possono ritrovare racchiuse le varie anime del jazz dove prevalgono le ritmiche swing e be bop, intervallate da intense ballads. Ogni nota è magistralmente calibrata, mai superflua, e gli scambi sempre più frequenti fanno crescere naturalmente le dinamiche dei brani in delle personalissime rivisitazioni degli standard, trattati quasi come musica da camera, perfetta sintesi di timbro, intensità e ritmo.


Tutto secondo previsioni, a fine set compare anche un sorriso sul viso solitamente algido di un Jarrett finalmente soddisfatto che concede ben tre bis finali tra lo stupore generale di un pubblico giustamente appagato.