Slideshow. Renzo Ruggieri

Foto: Fabio Ciminiera










Slideshow. Renzo Ruggieri.


Jazz Convention: Così, a bruciapelo puoi parlarci del tuo nuovo lavoro discografico?


Renzo Ruggieri: Si chiama Opera?. Si tratta di un’operazione per me molto importante in quanto realizzata con l’orchestra del Rostov State Music Theatre. La ritmica jazz è sempre russa con la leadership di Aram Rustamyan, pianista e anche fondatore della prima università Jazz russa. Lo spettacolo ha debuttato a Rostov sul Don il 29 marzo 2011 tradotto in lingua russa. Opera? è un concerto jazz con “testo a commento” dove lo spazio per la storia narrata è secondario rispetto alla musica. Tre personaggi di tre opere famose (Barbiere di Siviglia, La Traviata, Tosca) s’incontrano in una nuova storia sfruttando altrettanti episodi dai citati capolavori. L’Ouverture iniziale prelude a cinque scene dove l’atmosfera del testo (sottolineate dalle improvvisazioni solistiche della fisarmonica sulle famose arie) è poi sviluppata dall’orchestra con composizioni originali.



JC: Mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica?


RR: Ricordo con piacere da piccolo nel giorno della festa patronale, si mangiava dai parenti. Questi avevano giradischi e tanti 45 giri di cantanti dell’epoca che ascoltavo continuamente.



JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare un musicista jazz?


RR: Ero adolescente e da fisarmonicista suonavo nel popolare. Dopo la mezzanotte finivano i brani e invece di ripeterli improvvisavo sulle strutture armoniche che la band già conosceva. In seguito ho conosciuto e amato moltissimo il noto fisarmonicista Peppino Principe che apriva i concerti suonando standard jazzistici. Egli mi parlava spesso del grande Gorni Kramer (a cui tra l’altro ho da poco dedicato un cd con la mia big band) raccontandomi aneddoti e entrando profondamente nella sua musica. La decisione di occuparmi di jazz è stata inevitabile benché molto sofferta. Il primo cd l’ho pubblicato a 33 anni ed era di musica completamente improvvisata.



JC: Ha ancora un significato oggi la parola jazz?


RR: No, nel senso di musica afroamericana. Si, quando con Jazz s’intende un modo diverso di fare musica. La concezione classica pone il focus sull’interpretazione fedele alle intenzioni del compositore. Il termine jazz indica al contrario la personale visione del musicista.



JC: Ma cos’è per te il jazz?


RR: Per me, significa poter suonare la mia musica, sempre nuova concerto dopo concerto. In pratica voglio raccontare con la fisarmonica le emozioni che vivo, visto che a nessuno importerebbe se lo facessi con le parole.



JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica jazz?


RR: Trovo il jazz la forma artistica più vicina alle intenzioni del Creatore. Egli ha stabilito che ogni essere vivente dovesse essere diverso da qualsiasi altro. Nel Jazz l’individuo è al di sopra di tutto, anche del suo stesso progetto.



JC: Come pensi che si evolverà il jazz del presente e il jazz del futuro?


RR: Per prima cosa dovrebbe cambiare nome; a me piace molto la parola Jazz ma rimanda troppo a qualcosa che è già stato. La musica improvvisata poi dovrebbe ristabilire degli alfabeti comuni (quando tutti parlano nuove lingue nessuno capisce), del resto sempre dalla Sacre Scritture l’episodio della Torre di Babele è quanto di più vicino al mondo del jazz attuale. Non ci crederà ma prima del primo cd avevo ipotizzato un nuovo movimento artistico lavorando per diversi anni alla definizione di nuove regole e partendo dai fondamenti della musica. Scrissi diverse composizioni e anche un manuale; in quel momento si trattava di un progetto più grande di me e lo fermai. Chissà che a breve non lo riprenda.



JC: Tra i molti dischi che hai fatto ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionato?


RR: Sicuramente il primo CD “Improvvisazioni Guidate”; lo registrai in Islanda senza sapere di farlo. Cercavo una direzione che non trovavo nel suonare “americano”. Prenotai uno studio di registrazione e iniziai a suonare liberamente. Una musica che non conoscevo usciva dalla mia fisarmonica, non l’avevo mai sentita, mai suonata. Ancora oggi mi emoziono nel riascoltare quelle frasi che hanno poi pesantemente influenzato la mia poetica.



JC: Quali sono stati i tuoi maestri nella musica, nella cultura, nella vita?


RR: Miles nella musica mi ha insegnato la sobrietà e che il genio o ce l’hai o no. Il teatro mi ha fatto comprendere che essere artisti è diverso da quanto credessi. I miei genitori mi hanno invece insegnato il valore dell’impegno nelle cose e l’importanza di vivere cercando Dio.



JC: Qual è stato per te il momento più bello della tua carriera di musicista?


RR: Il debutto russo di Opera?. In Italia ho faticato a trovare interlocutori interessati mentre a Rostov c’era fuori dal teatro un cartellone di 20 metri con il mio nome, 1200 persone paganti, standing ovation finale e alcuni di loro che piangevano all’uscita. Posso anche morire adesso.



JC: Quali sono i musicisti con cui ami collaborare?


RR: Bella domanda. A me non piacciono le sfide sul palco ma il feeling che si crea durante l’interplay e come tale prediligo gli amici storici (Mauro De Federicis, Paolo Di Sabatino, Massimo Manzi, Massimo Moriconi, Antonella Ruggiero). Suonare con gli special guests è stimolante ma sa sempre un po’ di finto, sei tu che devi adattarti a loro e non loro alle tue intenzioni e questo è sempre un po’ tradire sé stessi.



JC: Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato?


RR: A breve il cd in duo con Paolo Di Sabatino e il prossimo cd di Free Improvisation che registrerò sulle strade del famoso “Cammino di Santiago De Compostela”.