Roccella Jazz 2012. Ai blocchi di partenza (Parte III)

Foto: Romualdo Del Noce





Roccella Jazz 2012. Ai blocchi di partenza (Parte III)


(segue dalla seconda parte)



Il 18 agosto, ancora nel cuore della stagione estiva, si apre il multicolore scenario della 31esima edizione di Roccella Jazz. Gli scenari pubblici di piaza Castello a Reggio Calabria, il roccellese Convento dei Minimi e l’area archeologica di Monasterace aprono già con un’autentica maratona di offerte diversificate per l’ascolto e per l’occhio in prima giornata. Ai blocchi di partenza condividiamo dunque le impressioni iniziali con il Direttore Artistico.



Jazz Convention: «Con quale spirito e quali impressioni apriamo, sul campo, la nuova edizione?»


Paolo Damiani: «Tutto molto positivo, già dalla prima giornata, con i concerti pubblici di Gonzalo Rubalcaba, ma non dimenticherei l’esibizione Tonolo & C con i quattro percussionisti africani, davvero nello spirito della contaminazione e nel colore degli incontri come qui a Roccella vengono intesi. Nel caso dei concerti collocati a Locri, la peculiare qualità del luogo (che io non avevo conosciuto in precedenza) mi è sembrata molto adatta ad ospitare progetti che per le loro caratteristiche richiedano speciale concentrazione. Nel caso particolare del pianista Tord Gustavsen, artista della scuderia ECM cui stavo dietro da anni, questi non ci ha chiesto un cachet elevato, ma mi ha posto la condizione di poter suonare entro un contesto dalla scenografia e dall’acustica molto particolare, e le rovine archeologiche hanno egregiamente sopperito, tenendo conto del carattere ricercato, direi rarefatto di questa sua musicalità. Avrebbe avuto ben altro senso porlo in un contesto più aperto, ma molto più movimentato come quello del Porto delle Grazie. Ora, disporre di una molteplicità di luoghi ci consente di ragionare in funzione della musica e poterci permettere una diversificazione ambientale adeguata.»



Presenza scenica fondata su una partecipazione fisica nervosa e sghemba, Tord Gustavsen in concerto riesce ad offrire una performance alquanto differente, per estensioni e bilanciamenti, rispetto ad una creatura discografica. Già rilevata l’anima classicista entro i fondamentali del recentissimo “The Well”, questa non appare poi in live particolarmente pervasiva, ancor meno costrittiva. Ispirazione sottile e letteralmente notturna per il solista, mentre libertà e spirito della sorpresa caratterizzano l’incedere della formazione, in buona parte dei suoi momenti sostenuta dalla strutturata percussione fusion di un non minimizzabile Jarle Vespestad; meno regolare e limpido l’apporto del ciclopico bassista Mats Eilertsen che si staglia e si fa avanti con meno nitore, ma pur “intorbidando” il soundscape ne cementa a suo modo la tenuta d’insieme, su cui naturalmente spicca il controcanto delle uscite non frequenti ma sempre di accurata caratura del tenorista, Tore Brunborg, di palese filiazione garbarekiana, per un concerto suggestivo non solo per l’annunciato carisma del titolare.



A precedere la suggestiva performance del nordico quartetto, una tonica formazione nostrana. A presentare il progetto Around Ornette di Giovanni Falzone, questi si affiancava con due fiatisti in palese buona forma, il partecipante trombonista Beppe Caruso, ed un’asciutto ma mai banale Francesco Bearzatti: sospinti da un tonico Paolino Della Porta al basso e da un efficace Antonio Fusco (qui in sostituzione del “titolare” alla batteria Zeno De Rossi), il quintetto alternava alle scritture colemaniana le rispettose idee del frontman siciliano, in una performance dai riscontri lusinghieri e su cui incontriamo subito il vivace trombettista.



Jazz Convention: «Un’impressione a caldo dopo le ultime note di questo vostro concerto qui a Roccella Jazz.»


Giovanni Falzone: «Non è certo un Festival carente da un punto di vista della presenza delle trombe [Hassell, Rava, Aquino, Harrell, Boltro, Casati – n.d.r.] ma io in particolare vi sono coinvolto in ben quattro rappresentazioni, che mi permettono di esplorare aspetti diversi della mia musicalità, che andrà ad interagire anche con le caratteristiche delle varie ribalte, testando anche la bellezza dei luoghi. Il Direttore Artistico ha richiesto questo mio progetto su Ornette Coleman, intorno a cui ho riunito una grande formazione, che potesse conferire un taglio creativo e valorizzarne al massimo il carattere, che ne facesse emergere gli elementi, in particolare il valore della scrittura, inoltre la cultura e l’estetica che guarda un po’ a tutto l’albero del jazz, insieme a tutte le musiche che hanno contribuito a conformare il ‘900, comprendendo anche la contemporanea, che ho potuto praticare anche con la mia più che decennale attività di orchestrale. Andando al progetto di Ada Montellanico, che ascolterete in seguito, Ada ha voluto affidarsi alla mia direzione artistica, captando un’affinità nel senso melodico, benché il mio possa risultare più visionario, da lei còlto e voluto cosicché la sua vena melodica fosse trattata in modo differente. Mi sono sempre relazionato secondo un sentire europeo, cercando di captare il profumo di vita e l’energia artistica che emana da città come Parigi, o Berlino… In tutti i miei lavori cerco di captare tutte le ombre che hanno attraversato il mondo musicale, ed è il jazz che mi dà la possibilità di poterle far convergere tutte insieme e per cui ho ritenuto di rinunciare al mio lavoro fisso di orchestrale per dedicarmi a tempo pieno a favore di questa musica che è la mia professione e che amo!»



Affascinante concerto nella forma quasi “privata” – come il Convento dei Minimi riesce per lo più a conferire – con protagonista Michele Rabbia, nel terzo pomeriggio di Roccella Jazz.



Con impegno ma anche ispirata naturalezza, il grande visionario e artigiano della percussione ha dilapidato morfologie e sonorità di strumenti e accessori da cui ha tratto sonorità ed effettismi anche poco intuitivi, e una batteria strumentale solo apparentemente familiare per le potenzialità si sposava a media quali nastri e voci fuori campo (che includevano le corpose memoria di un Carmelo Bene), effettistica digitale coordinata dalle più nuove risorse tra cui un tablet “abile e arruolato”, e tutto ciò a concertare un’abbondante e corposa ora che ha visto il protagonista presente e concentratissimo, confermando alla fine dell’applaudito concerto anche assolute disponibilità e chiarezza comunicativa.



Jazz Convention: «Qual è il significato della tua partecipazione a questo Festival?»


Michele Rabbia: «Questo festival apre le porte a varie forme e sperimentazioni: per cui, credo che la sensibilità artistica di Paolo Damiani nell’allestire questi concerti trovi un elemento-guida soprattutto nella sperimentazione. In questo mio progetto si ha un collegamento con una performance che lavora sui colori del suono, e nel suo insieme, ascoltando anche gli elementi di complemento, vi confluisce l’apporto della parola e delle sue valenze; il gesto, molto determinante, fa parte della mio essere grande appassionato di danza, elemento di grande influenza nella mia espressione.»



Jazz Convention: «Magari qualche accenno ai progetti futuri?»


Michele Rabbia: «Sto preparando la realizzazione in DVD proprio di questo concerto, di cui è in programma la presentazione anche all’interno di musei, completandosi anche con installazioni, sempre in questo spirito di “performance totale”. E’ poi imminente una incisione per ECM con Stefano Battaglia e Eivind Aaarset, un trio elettroacustico eminentemente d’improvvisazione. Quindi, un altro progetto, stavolta su musiche di Pergolesi, insieme a François Couturier, Maria Pia De Vito e Anja Lechner.»



Naturalmente era d’obbligo, parlando dei principali animatori del Festival, incontrarsi con chi è comunemente riconosciuto come il primo fondatore e più antico (ma tuttora iperattivo) stratega della manifestazione: con il Senatore Sisinio Zito, non facile da separare dalla sua continua e capillare supervisione delle molteplici meccaniche delle giornate roccellesi, abbiamo voluto ripercorrere la storia di Roccella Jazz dai suoi non più recenti primi passi.



Jazz Convention: «Vorremmo rievocare insieme l’esperimento Roccella Jazz dal momento della sua concezione e dalle sue origini?»


Sisinio Zito: «Occorre innanzitutto fare un passo indietro di circa 36 anni: allora, eletto Senatore della Repubblica, mi trovai nel 1977 assegnato alla Commissione Cultura del Senato. Era in discussione una legge che riguardava il Fondo Unico della Cultura che, per i non addetti, atteneva all’assegnazione e alle spettanze in ordine alle attività culturali. Fatto 100 il totale nazionale, al Mezzogiorno d’Italia veniva assegnato il 9 per cento: autentica sperequazione, se si considera che questa parte del Paese si attestava al 36 per cento della popolazione nazionale. Occupandomi di problemi del Mezzogiorno, constatai con cognizione di causa i numerosissimi problemi, talvolta invisibili o “ignoti” che penalizzano questa parte dell’Italia. Venivano comunque finanziati i “Progetti di grande livello” (e dal Mezzogiorno ne provenivano pochi) e comunque non coprendo l’intero ammontare che per quote non superiori al 40% – e nel Mezzogiorno si ha tuttora reale difficoltà a trovare partner in ambito privato. Una prima pietra si gettò nella fondazione dell’Associazione Culturale Jonica, coinvolgendo amici di ogni colore politico, che in 36 anni ha maturato una fisionomia mai utilizzata a fine di propaganda politica: in oltre tre decadi ha generato un’attività culturale immensa senza paragoni e si è spesa negli ambiti di musica, storia e associazioni letterarie. L’attività va certamente intesa come svolta entro l’esteso ambito dei molteplici scenari della Calabria: non si contano più le ormai innumerevoli e lodate manifestazioni, che in molti casi vedevano la luce proprio per nostra iniziativa, oltre agli artisti di primissimo livello che ci pregiamo di aver lanciato per rimi, tra cui citerò soltanto, in tempi recenti, il grandissimo solista di viola Yuri Bashmet. Da questo retroterra nasce il Festival Jazz di Roccella: siamo partiti organizzando una stagione concertistica che comprendesse anche concerti di jazz – immaginarsi lo scandalo di accademici e benpensanti che vedevano comparire sui loro palcoscenici questa “musica da strada”! Analogo scandalo era che, tra i componenti della Commissione per il finanziamento alla cui attenzione avviai il Festival, nessuno avesse una minima dimestichezza col jazz: la situazione poté un po’ normalizzarsi quando riuscii a inserire, nella Commissione Centrale della Musica, Adriano Mazzoletti, allora giornalista RAI. Abbiamo insomma avuto un ruolo storico nello sdoganare il jazz a livello di Festival nazionale: la nascita di Umbria Jazz risaliva a sei anni prima, la nostra idea fu quella di creare un grande Festival Jazz che attraesse fasce più giovanili di pubblico. Nel nostro caso, si è poi evoluta una formula “non solo jazz” con sconfinamenti pop, etnici e dialogo con altre forme di spettacolo quali teatro etc. Contando anche sulla partecipazione di testate che ci hanno dato una forte risonanza nazionale, il Festival ha esitato in produzioni, originali in molti casi, che non esiterei a definire strepitose!»



Jazz Convention: «Con quali parole possiamo riassumere l’impegno di quanti hanno portato avanti questa realtà fino ad oggi?


Sisinio Zito: «In queste condizioni di avversità o indifferenza soltanto una volontà feroce riesce a portare avanti iniziative così. Quindi, il mantenimento del Festival fa parte di una nostra scelta e soprattutto sfida politica: voler crescere, e introdurre e mantenere qui, nella “famigerata Locride” una qualità di vita che possa paragonarsi, ad esempio, ad una cittadina dell’Umbria o della Baviera. Roccella continua ad esprimere la volontà politica del crescere: e ciò si verifica anche nel continuo, ostinato miglioramento delle infrastrutture.»



Jazz Convention: «Il futuro del Festival? E, come nel caso di Umbria Jazz, si potrà pensare anche ad un’edizione invernale?


Sisinio Zito: «Adesso siamo impegnati nella sopravvivenza (pausa). Appena finito il Festival, ci impegniamo nella creazione di una Fondazione, con il valore di istituzione giuridica che abbia la compartecipazione di Regione, Province, Comuni e privati, con l’ambizione di poter finalmente coinvolgere i grandi sponsor. Quanto all’edizione invernale, di fatto, la si è già realizzata in qualche forma: l’attività va però intesa nella location di Reggio Calabria, con l’idea aggiuntiva di far vivere il ciclo concertistico presso altre sedi circostanti, cosa che ha preso vita con varie fortune già da alcuni anni.»



Riprendiamo la cronaca dei concerti, seguendo al termine della quarta serata l’alquanto trascinante progetto transalpino Impérial Quartet. Con due soli anni d’esistenza e in atto sulla cresta dell’onda, l’ensemble ha proposto una fusion di concezione personale, che fa passare con impeto i tratti linguistici del bop attraverso il setaccio a maglie larghe del jazz-rock e soprattutto di un genitoriale progressive, che qui s’incarna nella forma della secca ed efficiente percussione del batterista Antonin Leymarie; “privi di strumento polifonico” secondo la formula d’intesa, la voce solistica s’avvicenda ed embrica tra i due fiatisti Fidel Fourneyron e Géral Chevillon (rispettivamente su trombone-basso tuba il primo, sax tenore e soprattutto basso il secondo): non priva di genuino senso della melodia, sia pur spiritata e rimirantesi sul nebbioso fronte della psichedelia, il giovane quartetto gioca carte di pronto impiego, spregiudicato nella mescolanza di forme, con una partecipazione fisica intensa, percepita dal pubblico anche non avvezzo a tali eterodossie. Un incontro prima del congedo e alla vigilia del nuovo tour con il bassista, Joachim Florent.



Jazz Convention: «Quali ragioni hanno portato alla vostra presenza su questa ribalta?»


Joachim Florent: «Innanzitutto diremo che trovarci qui è un’esperienza eccezionale… C’est super! In realtà abbiamo avuto più occasioni di suonare e cimentarci con diversi musicisti italiani, alcuni presenti anche in questo Festival. Esistiamo da quasi tre anni, però è la prima volta che suoniamo in Italia come quartetto, e questo è avvenuto proprio in Calabria! Questo prelude ad un’imminente esperienza che ci porterà in Africa con il nome di Imperial Pulsar, incorporando due percussionisti africani, e ci condurrà in tour attraverso Burkina Faso e Senegal. Credo che siamo stati selezionati dal Direttore Artistico, Damiani, che nella nostra musicalità ha probabilmente ravvisato un’immagine di curiosità e apertura.»



(segue nella quarta parte)