Soul Blueprint, il nuovo disco di Gianni Bardaro

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Soul Blueprint, il nuovo disco del sassofonista Gianni Bardaro.


Gianni Bardaro é una risorsa del jazz italiano sia dal punto di vista della creatività che da quello musicale. Da anni residente in Danimarca, ha saputo miscelare nella sua musica la melodia e la solarità della nostra terra con le atmosfere nude ed essenziali del nord Europa, ma anche i colori del continente latino che lui visita costantemente e da cui attinge fermenti e soluzioni timbriche. Il jazz di Bardaro, però, non è solo questo, contiene anche lo sguardo, il taglio, di chi non rinuncerà mai ad abbeverarsi a quella fonte inesauribile che è la cultura musicale afroamericana. Il suo ultimo e riuscito lavoro, Soul Blueprint, non è altro che l’impressione anastatica della sua “affascinante” idea di jazz.



Jazz Convention: “La musica, per me, esplora l’esistenza”, Gianni Bardaro, che cosa è per te il jazz?


Gianni Bardaro: Il jazz è qualcosa d’indefinibile. Capita spesso di dover rispondere a tale domanda e credo che ogni possibile definizione possa essere particolarmente soggettiva. Per tanto sto soggettivamente definendo il jazz come indefinibile cadendo nel paradosso. Risultato? Il jazz è uno degli infiniti paradossi dell’esistenza, così come lo è la vita stessa. D’altra parte stiamo parlando di un genere la cui manifestazione è il risultato dell’integrazione di molteplici aspetti esistenziali, talvolta contrapposti. In ogni caso, per quanto soggettiva possa essere qual si voglia definizione, il Jazz ha senza ombra di dubbio qualcosa d’oggettivo, guarda caso stiamo parlando di un genere riconosciuto da poco, come patrimonio dell’umanità. Questo qualcosa io lo identifico con l’aspetto “improvvisato” del jazz, sua stessa essenza. L’improvvisazione, per sua natura, tiene piacevolmente inchiodati sia il musicista e l’ascoltatore all’attimo fuggente. Suonare Jazz e/o ascoltarlo é un’opportunità unica di vivere profondamente e consapevolmente il momento presente, cosa di cui oggi spesso ci si dimentica, abituati a dimenarsi tra passato e futuro. Il Jazz, per quanto mi riguarda, non è più un fine ma una prospettiva che mi permette di sperimentare consapevolmente con il mio Sé più autentico.



JC: Facciamo il punto sulla tua produzione discografica.


GB: I dischi che ritengo di maggior rilievo nella mia produzione discografica, sono gli ultimi tre. A parte la pubblicazione della ballad Song for dicembre, con 20.000 copie da parte della Philips inglese, il disco che mi ha aperto le porte ad un pubblico più vasto e internazionale è stato certamente Overflow, che con il mio progetto Sinestetic Jazz fu pubblicato nel 2008 per l’etichetta danese Gateway Music. Esso ha rappresentato l’inizio di un ciclo che dal punto di vista concettuale e compositivo termina proprio con Soul Blueprint, l’alter ego del progetto Sinestetic Jazz. Nel 2009 ho pubblicato come co-leader il cd Phil Woods Sonata con il pianista abruzzese Mauro Patricelli e con il quale formiamo Finisduo, un progetto cross-over tra jazz e musica classica contemporanea. Questo disco, che contiene come pezzo portante l’omonimo Phil Woods Sonata, è stato poi ripubblicato dalla storica Philology nel 2011, dietro diretto interesse di Phil Woods. Egli era stato letteralmente elettrizzato dall’interpretazione e esecuzione della sua Sonata definendola nelle note di copertina come “versione definitiva”. Quest’anno ho pubblicato Soul Blueprint, registrato a New York con ospiti come Randy Brecker e il percussionista colombiano Samuel Torres. Anche questo disco contiene tutti brani originali di mia composizione, e come accennato in precedenza, é un lavoro che segna la fine di un ciclo ma allo stesso tempo l’inizio di un nuovo percorso artistico e personale. In questo momento, ho appena ricevuto il master del nuovo cd registrato in collaborazione con il batterista Pierluigi Villani, anch’egli artista Emarcy/Universal e co-leader di questo nuovo progetto che uscirà l’anno prossimo immagino.



JC: Soul Blueprint è inciso per un’etichetta prestigiosa come la Emarcy che appartiene alla Universal.


GB: Il disco era stato preso in considerazione da alcune etichette italiane e danesi ma ha poi trovato la sua strada migliore. Non nascondo che sia stata necessaria molta pazienza per assicurare un risultato ottimale. Sono molto soddisfatto dell’uscita del cd con l’Emarcy/Universal. E’ una grande etichetta che, oltre ad essere storica, da qualche tempo sta facendo un ottimo lavoro di sostegno ai giovani jazzisti italiani, senza barriere stilistiche o di natura geografica; una cosa non da poco visti i tempi che corrono. Inoltre, gli addetti dell’Emarcy/Universal con i quali la mia produzione è a contatto, sono dei veri e propri conoscitori del Jazz oltre che degli appassionati del genere.



JC: Il disco contiene solo tue composizioni. Come nascono? Ce le puoi commentare?


GB: Le composizioni di questo disco sono state una vera e propria transizione per quanto riguarda la “metodologia” usata nel comporre i brani. Essi nascono attraverso il fenomeno della “canalizzazione” che è qualcosa di cui mi occupo da qualche anno. Non so quanto familiare sia questo termine ai lettori ma nel caso della composizione, si tratta di una sorta di scrittura automatica, non vorrei dire altro per ora. In prima istanza, gli elementi che hanno ispirato i pezzi di questo disco sono evocazioni di aspetti in apparenza minori, come in Neffertiti, per esempio dedicato ad un caro amico, Dav (pronunciata Dau) inspirato ad una forma di saluto usata in Danimarca o Beso de negra che trae origine da un dolce tipico della Colombia. Into e Il tempio della nuvola bianca invece sono una vera e propria introspezione, un tuffarsi nelle profondità del proprio essere, sia come musicista che come essere umano. Queste ultime due, sono contrapposte ad Against e Illigal che trattano argomenti piú oscuri come la conflittualità interiore o le paure legate allo status di illegalità clandestina. Per ultimo, Flame in Blue e A Slow walk to no-action hanno una natura più giocosa e nascondono l’aspetto celebrativo della vita.



JC: Parlaci dei musicisti che hanno suonato con te nel disco. C’è un certo Randy Brecker…


GB: I fratelli danesi Hatholt e il pianista italiano Calì, sono musicisti particolarmente attivi nella scena jazzistica danese. Abbiamo avuto diverse collaborazioni tra cui anche il disco “Overflow”. Sono i musicisti più indicati per questo lavoro, visto che avevano già acquisito una certa familiarità con il carattere articolato di alcune delle mie composizioni. Inoltre, m’incuriosiva il fatto di avere nel disco musicisti europei con background musical/culturale molto diversi e vedere quale suono si sarebbe generato registrando in una località lontana dall’ambiente musicale al quale ci si era eventualmente abituati. Con Samuel Torres c’eravamo incontrati diverse volte durante il tour di “Sinestetic Jazz” del 2008 in America del Sud ed avevo avuto l’opportunità di sentirlo ai suoi concerti, visto che suonavamo negli stessi festival. Sapevo che lui era il percussionista perfetto per registrare una composizione molto articolata come Illegal che richiedeva grande equilibrio tra energie sostenute e sensibilità alle dinamiche. D’altra parte stiamo parlando di uno dei migliori percussionisti al mondo, stabilitosi ormai da anni a New York e con collaborazioni che vanno da Michael Brecker, ad Arturo Sandoval e via dicendo. Si è reso immediatamente disponibile quando l’ho chiamato. La scelta di Randy Brecker invece é avvenuta attraverso molteplici considerazioni, soprattutto riguardo al carattere delle composizioni. Dopo un consulto con i musicisti della band, abbiamo convenuto che Brecker ci sembrava definitivamente il più consono al tipo di brani da registrare. L’avevo incontrato per la prima volta a Copenhagen e avevamo scambiato due parole nel backstage. Subito dopo, gli inviai le demo di tre composizioni affinché le ascoltasse, chiedendogli se avesse voluto partecipare come ospite nel disco che si sarebbe dovuto registrare da li a qualche mese. Mi rispose entusiasta dopo un paio di giorni – la prima sensazione che si ha quando si viene a contatto con un musicista come Brecker è che abbia, come dire, mangiato pane e jazz per tutta la vita, il tutto contornato da una professionalità impeccabile.



JC: Il libretto che accompagna Soul Blueprint riporta il contributo del famoso critico jazz Scott Yanow…


GB: Volevo delle note di copertina che fossero le più oggettive possibili, quindi non di qualcuno che già conoscesse il mio percorso artistico, o con il quale avevo avuto collaborazioni in precedenza. Alcuni colleghi d’oltreoceano, ascoltando Soul Blueprint, mi avevano suggerito appunto Yanow e lo stesso Brecker mi aveva raccontato che era conosciuto negli States come “the king of the liner-notes”, indicando il suo talento nello scrivere critiche ai cd. Yanow viene dalla West-Coast ed era un altro particolare che m’interessava molto, ero curioso di quale sarebbe stata la sua percezione nei riguardi del mio lavoro. Avere delle note di copertine da un critico come Yanow potrebbe significare rischiare molto. Comunque ne è valsa la pena e devo ammetter che mi è andata bene!



JC: Tu sei laziale, di Formia, ma vivi a Copenaghen. Dal sole “melodioso” del sud, alle atmosfere fredde e rarefatte della Scandinavia. Perché questa scelta?


GB: La scelta è dovuta al fatto che nel 2001 mi era stata offerta l’opportunità di studiare al conservatorio ritmico di Copenhagen, uno dei migliori in Europa. Inoltre avevo certamente voglia di esplorare nuove prospettive del jazz e quale magnifica opportunità approdare in Scandinavia con la sua decennale tradizione jazzistica. La mia esperienza m’insegna che quando ci si apre a prospettive diverse e magari anche opposte ne risulta sempre un arricchimento.



JC: Che ne pensi del jazz italiano?


GB: A mio avviso è una delle realtà più importanti a livello mondiale. Chiaramente quando parlo di jazz italiano, intendo anche tutti quei musicisti che vivono stabilmente all’estero o che fanno la spola tra vari paesi. Sono davvero tanti e danno un vero contributo. In generale, mi sembra che ci siano molte più aperture rispetto al passato e c’e un’intera generazione di giovanissimi davvero sorprendenti.



JC: Il futuro prossimo di Gianni Bardaro?


GB: Come accennato in precedenza ho appena registrato un nuovo disco in trio, una formazione che ho esplorato poco fino ad ora. Incidere questo disco é stata un’esperienza davvero avvincente che mi ha permesso da un lato di sperimentare un maggior minimalismo nella composizione oltre che una scrittura degli arrangiamenti meno densa e dall’altro di sperimentare una maggiore libertà nella performance solistica. Direi un vero cambio di prospettiva. Sono entusiasta di questo nuovo progetto soprattutto per la collaborazione con il batterista Pierluigi Villani, anch’egli artista Universal. Il disco contiene tutti miei originali e di Pierluigi. Invece con il progetto Finisduo siamo stati molto onorati di ricevere la proposta da parte di Phil Woods di registrare un’altra delle sue opere cross-over, la Children Suite. Su quest’ultimo abbiamo appena iniziato a lavorarci. Tra i prossimi progetti c’è la sonorizzazione di un progetto di grandi dimensioni con ologrammi tridimensionali, ideato da una giovanissima artista siciliana. È un lavoro che m’inspira molto, ma non anticipo altro. Infine, ho in mente di registrare presto un nuovo disco per Sinestetic Jazz ma con una formazione differente e un nuovo sound, in particolare usando la chitarra invece che il piano.