Export Jazz – Italiani in Russia

Foto: Alla Shiryazdanova





Export Jazz – Italiani in Russia: Servillo, Marcotulli, Bosso etc.

Mosca, Dom Musiky – 14/15.9.2012

Peppe Servillo: voce

Rita Marcotulli: pianoforte

Fabrizio Bosso: tromba

Javier Girotto: sassofoni

Furio Di Castri: contrabbasso

Mattia Barbieri: batteria


Si può parlare di jazz da esportazione in presenza di una riuscita operazione che ha portato al successo su una platea inusuale una band che non ha tardato nel farsi conoscere come portabandiera d’alto profilo del jazz nostrano: sarebbe azzardato parlare di esperimento, visto il franco successo, ma i due concerti moscoviti (del 14 e 15 settembre) hanno rappresentato una sferzante trasferta del tour di “Memorie di Adriano” (Klan Celentano nella versione locale), che ha visto riunirsi il versatile performer Peppe Servillo a Rita Marcotulli, Fabrizio Bosso, Javier Girotto (inutile disconoscerne l’identità di jazzman italiano a pienissimo titolo), Furio Di Castri e Mattia Barbieri (oltre al coinvolgimento dell’interprete Mitja), in una reincarnazione della formula già vincente di “Uomini in frac”, affettuoso e sentito tributo d’autori al primo Modugno.


Popolarissimo in terra di Russia, Adriano Celentano è tra quei tasselli forti dell’importazione della musica di consumo che non solo nell’ex Unione Sovietica, ma in tutta l’Europa ha costituito una seguita ed apprezzata alternativa alle produzioni locali, fino a oggi, a sancirne l’identità (estimatori e detrattori concorderanno) di protagonista del pop leggero internazionale. Del resto, questi suoi nuovi interpreti hanno idee piuttosto chiare sui punti di forza della prima produzione esaminata, a cavallo tra i ’60 e i ’70:


«Celentano è cresciuto in un periodo di grandi trasformazioni culturali e sociali, ha coltivato un terreno compositivo ampio e fertile manifestando sempre un profondo senso di impegno civile, a volte con modi un po’ criptici e misteriosi. Era quello un periodo, per la canzone italiana, in cui attorno a questa spesso si riunivano grandi autori di testi, di musiche, grandi arrangiatori» secondo le parole captate dietro le quinte «Oltre ad essere stato un grande interprete e compositore, Celentano è stato il catalizzatore di un piccolo gruppo di artisti che ha tracciato un’impronta profonda nella storia della musica italiana. Il Clan ha adattato il rock di Elvis Presley e il soul di Wilson Pickett e Ben E. King al sound italiano. Ha prodotto canzoni impegnate e riflessive e canzoni leggere e di disimpegno. Al suo interno si muovevano personaggi come Don Backy e Ricky Gianco. E insieme a loro muoveva i primi passi quello che sarebbe diventato uno dei più incredibili artisti della storia della musica in Italia, Demetrio Stratos. Il Clan era una grande fucina di artisti e ha sicuramente aperto una nuova strada per la canzone italiana.»


Alla modernissima Casa della Musica (Dom Musiky) di Mosca si attendeva probabilmente la presenza del molleggiato nazionale (come la locandina poteva distrattamente far intendere): questo piccolo equivoco, insieme alla formula spettacolare molto diversa rispetto a quella evidentemente attesa ha fatto sì che si registrasse qualche defezione (poca cosa rispetto al tutto esaurito) tra il pubblico, che si è però ricompattato tributando fino alla fine alla formazione nostrana palpabile attenzione, esitata infine nel meritato, enorme successo dell’operazione.



Ci ritroviamo a discuterne con il frontman, Peppe Servillo, raffinato animale da palcoscenico di cui abbiamo già apprezzato in precedenza il garbo, i riferimenti dotti e l’accurata messa a fuoco degli argomenti trattati, sempre all’insegna di una concezione del jazz piuttosto vissuta e personale.



Jazz Convention: Dove origina la scelta di questo programma dedicato a Celentano?


Peppe Servillo: Ormai c’è un rapporto consolidato con l’ATER, che aveva già prodotto il precedente spettacolo Uomini in Frac, e in questo caso ha confermato un contributo di scambio con la Russia, che per quanto ci riguarda si riproporrà in un successivo show che avrà luogo a San Pietroburgo. Noi abbiamo inteso apportare né più né meno che una testimonianza in questo paese; e questa è stata la nostra personale rilettura delle tradizionali canzoni del Clan, il Celentano del periodo da noi considerato ha una forte radice popolare, e questi aspetti, così considerati hanno suscitato grande interesse. È questo anche un valore di fondo del jazz, che si è sempre confrontato con la tradizione popolare, ed è in questo solco che riteniamo di proseguire.



JC: Cosa ha determinato la line-up del vostro progetto?


PS: La formazione è, com’è evidente, una filiazione del precedente spettacolo, con qualche aggiustamento nel cast; il gruppo di lavoro si è evoluto, ognuno dei componenti ha contribuito facendosi carico degli arrangiamenti di un paio di brani, e questo ha conferito maggiore organicità al lavoro d’insieme.



JC: Che impressioni avete riportato nel confronto con quel pubblico?


PS: Grande interesse e partecipazione, con un approccio comunque che ci è sembrato più avvicinabile a quello da musica classica. Ciò sulle prime ci ha spiazzato, ma resici conto dell’attenzione e della competenza, ne è seguita una interazione molto positiva ed un grande successo, grazie anche ad un enorme rispetto per la nostra performance.



JC: Localmente è stato apprezzato il valore della tua esibizione, sfaccettata e coinvolgente come sempre, azzardando analogie con un protagonista dei loro palcoscenici del passato, Alexander Vertinsky: entrambi figure tragicomiche, avete portato in scena l’umanità, punto forte della testimonianza dell’Artista.


PS: Circa la natura e i “modi” della mia performance, io non posso considerarmi un cantante tradizionale, disciplinato ed educato in tal senso. C’è un continuo, essenziale attingere alla mia cultura partenopea di base, che ha sempre sposato il canto ed il teatro, incorporando l’umanità di cui questa cultura è così particolarmente permeata, piccolo teatro del cui calore e del cui colore ho senz’altro approfittato.



JC: Dal palcoscenico al virtuale: già parlavamo di un tuo limitato investimento sulle piattaforme in rete.


PS: Di mio, non ho sicuramente una particolare confidenza o feeling nei confronti di questi media, verso cui mi sento in qualche modo frenato da un certo mio… pudore. Questo non è comunque una regola assoluta, infatti, oltre al sito inerente questo spettacolo, anche per quanto attiene al mio nuovo lavoro con i Solis è in allestimento uno specifico sito di promozione.



JC: Questo ci autorizza a parlare dei progetti imminenti.


PS: Certamente, con il trio Girotto-Servillo-Mangalavite è in preparazione il terzo disco dedicato agli Italiani d’Argentina, che si occuperà dei nostri autori in questo paese sudamericano, con materiali tangueros e non, in un immaginario viaggio di ritorno in compagnia di queste musiche, e che vedrà la luce nella prossima estate. È invece imminente l’uscita del mio nuovo album Spassiunatamente, un’antologia di canzoni classiche napoletane che ho realizzato, come si accennava, con il Solis String Quartet. Inoltre, insieme a mio fratello Toni porteremo entro breve in teatro Le voci di dentro di Eduardo De Filippo.



JC: Possiamo chiudere con l’inizio, ossia con l’ormai proverbiale “Innanzi tutto, la buona creanza” che è il biglietto da visita di ogni tua performance… Una campanella gentile in questi tempi così pieni di rumore?


PS: Mi piace questa analogia e certamente posso condividerla. È un invito, un qualcosa che predispone bene il pubblico… ho sempre l’abitudine di scambiare due parole con gli spettatori, il mio proposito non vuol essere quello di spiegare, piuttosto quello di sollecitare il viaggio che insieme al pubblico si compie.