Roccella Jazz Festival 2012

Foto: Gianmichele Taormina










Roccella Jazz Festival 2012.

Rumori Mediterranei, XXXII edizione – Cose Turke


Malgrado la crisi planetaria e la sofferenza economica patita dalla maggior parte delle manifestazioni concertistiche europee, Roccella Jazz resiste stoicamente in quest’ambito, muovendosi nonostante tutto, tra il consueto coinvolgimento di “stazioni” itineranti della Locride ed il solido programma incentrato nella cittadina calabra con apertura come di consueto, presso il capoluogo di Reggio.


Il trio di Gonzalo Rubalcaba costituito da Matthew Brewer e Ernesto Simpson, non ha minimamente deluso le aspettative di un pubblico pur accaldato dalle elevatissime temperature nei giorni del festival. L’eclettico pianista cubano ha fedelmente replicato lo schema del suo credo artistico migliore: composizioni moderne forgiate su tappeti modali elastici, dove il tema era solo abbozzato, latin jazz diversamente debordante, liricità poliedrica – ma meno intimista rispetto ai suoi primi anni di carriera – libertà di azione ampliamente concessa ai propri partner (e questo è stato l’aspetto più “scenico”, del quale francamente il leader non aveva bisogno), applicato ad ogni modo in maniera non del tutto intenzionale.


Nel magnifico e atmosferico spazio dell’area archeologica di Locri, il quartetto di Tord Gustavsen con un emozionante Tore Brunborg al sax tenore, Mats Eilertsen al contrabbasso e Jarle Vespestad (delicatissimo) alla batteria, ha riempito di minuziosa precisione e garbata raffinatezza un concerto dalla preziosità unica e indiscutibile nel corso del quale il pianista di Oslo ha espresso tutta la sua magica interiorità al servizio di una musica ricercata e minuziosa nella sua più alta forma di linguaggio.


Con il programmatico di titolo di “Sketches of the Mediterranean. Celebrating Gil Evans”, Jon Hassell presentando un progetto originale su spartiti autografi del “grande vecchio” canadese, ha debitamente sconvolto gli schemi di un festival che per natura è stato da sempre, con le sue molteplici varianti, votato all’innovazione e mai alla scontata ripetitività. Musica morbida e pittorica quella formulata – e simboleggiata – dal settantacinquenne trombettista di Memphis, collocato sempre “avanti” nel suo mondo esplicitamente informale, nella sua discreta e imperdibile dialettica, volutamente opaca eppur profonda di penetrante enigma. Di mistero soffusamente disvelato. Nella formazione “allargata”, presenti i fidatissimi Rick Cox (chitarra), Michel Benita (contrabbasso) e Kheir-Eddine M’Kachiche (violino), magnificamente hanno figurato i due colleghi Enrico Rava e Luca Aquino, ben inseriti nella notturna e sotterranea narrazione di un romanzo sonoro sviluppatosi in una progressione pittorica allusiva di rara e indicibile bellezza.


Sulla stessa lunghezza d’onda ma con progettualità, storia personale ed esiti differenti, la musica di Nils Petter Molvær ha navigato dentro spazi eterei dilatati tra i movimenti elettronici, ora ritmici, ora più diradati di Jan Bang (stregone manipolatore di diabolici sampling e looping, in passato al fianco di Brian Eno, David Sylvian e dello stesso Jon Hassell), e le esoteriche magmatiche visioni di Eivind Aarset: non un semplice chitarrista semmai geniale incantatore di suoni aperti in un segreto e ipnotico incantesimo.


A scaldare e ad emozionare il pubblico roccellese con il suo consueto bop, granitico e inossidabile, ci ha pensato il grande Tom Harrell. Al suo fianco una formazione stellare di impareggiabili virtuosi dello strumento, in primis Wayne Escoffery al sax tenore, Danny Grissett, splendido enciclopedico pianista, Ugonna Okegwo e Johnathan Blake alla sezione ritmica. La band ha coronato un’esibizione calda, energica ed esplosiva, senza per nulla distanziarsi dalla profonda poeticità proverbialmente disegnata dal suo inimitabile leader.


Ma il festival non si è fermato qui. Urge sottolineare le splendida emozionante esibizione di Ada Montellanico con Giovanni Falzone, spettacolare trombettista e sapiente arrangiatore per il progetto discografico “Suono di Donna”, costruito su canzoni più o meno celebri firmate da Björk a Carla Bley, da Joni Mitchell a Carole King e sapientemente interpretate dall’autorevole validissima vocalist romana.


Segnaliamo, in altri contesti, la presenza di Falzone in veste di leader col suo eccellente programma dedicato alle musiche di Ornette Coleman inframmezzato da composizioni autografe (al suo fianco una band ottimamente amalgamata con Francesco Bearzatti, Beppe Caruso, Paolino Dalla Porta e Antonio Fusco), e, oltre al duo col pianista Bruno Angelini, nel trascinante quartetto di Tinissima (in scaletta Led Zeppelin, Police, Lou Reed e Pink Floyd e standard di Monk tutte insieme appassionatamente), sempre con un irrefrenabile Bearzatti e una delle sezioni ritmiche più belle d’Italia: Danilo Gallo e Zeno de Rossi.


Impeccabile con la stesura di composizioni pregiate e intense il progetto portato in concerto da Paolo Damiani e la sua Radar Band, con plauso particolare agli arrangiamenti di Cristiano Arcelli (esibitosi a Bivongi col suo esplosivo quartetto) e agli innesti notevoli di Luca Aquino, Alessandro Paternesi e Francesco Loccisano.


Altrove, nei contesti pomeridiani, magica e intensa è stata l’esibizione in “Teorie di Volo” con musiche di Roberto Ottaviano affiancato da Rita Marcotulli e Giorgio Vendola, il concerto di Magic Malik (grande virtuoso ma forse troppo “glaciale” sul palco), la narrazione in differita di Filippo Bianchi col suo “101 Micro-Lezioni di Jazz” con Flavio Boltro e Danilo Rea, il concerto emozionante in solo di uno straordinario Michele Rabbia, il bel duo voce/arpa di Elisabetta Antonini e Marcella Carboni e l’altro duo divertente e ironico, costituito da Mirko Guerrini e Mirio Cosottini.