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Verdi in jazz, l’opera con swing…
Verdi in jazz è un progetto che ha visto la luce, discograficamente parlando, alla fine del 2012. Si è affacciato all’anno verdiano con discrezione e semplicità, con intento divulgativo e dal carattere semplice e popolare. Questo è stato l’obiettivo del pianista Davide Corini, co-leader del progetto e arrangiatore assieme al contrabbassista Luca Garlaschelli. Avvicinarsi alla musica del grande maestro dell’opera italiana comporta rischi e fa temere brutte figure. In questo caso, l’approccio è stato quello giusto, senza strafare, con garbo e modestia, usando arrangiamenti semplici e diretti, tenendo il tema principale sempre in primo piano, raccontandolo con swing e allegria. Questa sorta di epopea verdiana in chiave jazz è stata ricostruita attraverso un quintetto formato da Rudy Migliardi al trombone, Paolo Tomelleri al clarinetto, Tommy Bradascio alla batteria, Luca Garlaschelli e Davide Corini, che ci racconterà nell’intervista che segue la genesi di Verdi in jazz.
Jazz Convention: Come nasce il progetto di Verdi in Jazz?
Davide Corini: Nasce da un’idea del mio amico e collega contrabbassista Luca Garlaschelli. Collaboriamo da anni e spesso condividiamo idee e progetti. Luca ha avuto diverse esperienze in orchestre sinfoniche e conosce bene il repertorio operistico. Un giorno mi disse: perché non proviamo ad arrangiare alcune famose arie d’opera e le “trattiamo” standards pensando ad arrangiamenti per un jazz combo? – Bella idea pensai, ma sicuramente “pericolosa”! Confrontarsi e dissacrare un repertorio così importante. Sarà difficile non mancare di rispetto al Maestro! Riflettendo successivamente sull’idea ho pensato alla natura “meticcia” del jazz, intesa come mescolanza di generi musicali, derivanti dal confronto e dall’elaborazione di diverse espressioni di differenti culture. Questa natura così promiscua e nello stesso tempo libera dal più alto punto di vista della creatività, ci permette di tentare tali esperimenti. Sia io che Luca ci siamo molto appassionati alla ricerca della melodia contaminata dall’elemento pulsante dello swing, che è la natura del jazz. La tradizione operistica italiana fa parte di noi e la voglia di unire, fondere, mescolare, tentare esperimenti e alchimie fa parte invece del nostro piacere di fare jazz da anni. Pensiamo alle arie d’opera verdine che sono corollario splendido e meraviglioso dell’opera tutta. Esse sono nel nostro dna, le cantano tutti perché fanno parte da lungo tempo della tradizione culturale e storica del nostro popolo. Queste grandi melodie vengono utilizzate come elemento principale della nostra ricetta in cui si mescolano agli altri elementi del jazz: il ritmo, l’improvvisazione, le parti arrangiate e lo swing; con l’obbiettivo di comunicare attraverso un linguaggio diverso. Non solo un lavoro di semplice incastonatura su una struttura preesistente, ma un bene raro e prezioso che si fonde con un altro elemento creandone uno nuovo. Le melodie utilizzate, vengono rispettate nella loro natura legata al momento dell’opera in cui vengono eseguite e per la quale vennero scritte, ma con l’utilizzo di contrappunti scritti con un linguaggio tipico del jazz. Giuseppe Verdi ha per lo più prodotto musica operistica, scrivendo capolavori immensi, ma tenendo sempre a mente “il favore” del popolo. Il linguaggio dello swing è forse quello che incarna meglio lo spirito popolare. È il jazz che ha fatto ballare, ma che ha prodotto capolavori musicali che rimarranno per sempre nella nostra memoria. Ecco il vero trait d’union, sicuramente coraggioso, tra due mondi lontani. E poi per ultimo l’elemento particolarissimo dell’improvvisazione in lingua jazz!” .
JC: Il disco è suonato in quintetto. Perché tale scelta e quindi i conseguenti strumentisti?
DC: Avendo scelto un certo tipo di linguaggio espressivo come lo swing, è venuto facile per me e per Luca pensare al completamento della ritmica e soprattutto alla parte solistica. Da anni collaboriamo con i due maestri come Paolo Tomelleri e Tommy Bradascio. Abbiamo chiesto loro se avrebbero avuto il piacere di suonare e “profanare” insieme il grande Verdi e con molta gioia abbiamo raccolto il loro entusiasmo condiviso. Tomelleri è un simbolo del jazz italiano e un gran conoscitore del linguaggio swing. Chi meglio di lui poteva enunciare dei temi pensati nel modo che ho spiegato prima? La voce del suo clarinetto contraddistingue perfettamente lo spirito creativo del progetto! Il clarinetto come voce swing che suona note a suo tempo eseguite da voci liriche. Tomelleri crea un contraltare sonoro perfetto, con un timbro divertente e severo al tempo stesso con contrappunti armonico-melodici pensati come in un jazz combo degli anni ?50. Il drumming di Bradascio, invece, da vita a un tappeto ritmico ideale che evidenzia le linee improvvisate dei due fiati, il walking e l’accompagnamento al piano. La ritmica suona in stile swing, senza troppi fronzoli, con aperture ritmiche e senza nascondere le matrici e le origini moderne delle nostre esperienze musicali. A tutto questo si aggiunge la pluriennale collaborazione fra noi nei concerti” .
JC: Il disco è composto da undici brani, di cui uno è originale. Perché la scelta è caduta su quelle arie di Verdi?
DC: L’idea di fondere melodie notissime e ad altri elementi musicali facenti parte del jazz ci ha dato già un’indicazione sulla scelta da fare. Abbiamo cercato quelle arie d’opera che colpivano di più la nostra immaginazione musicale e ci davano la possibilità di collegare tutti gli elementi di cui parlavo. In sintesi melodia e swing. Un altro elemento fondamentale è stata la voglia di porre in rilievo la forza espressiva dei temi stessi. È il caso, ad esempio dell’aria di Amelia tratta dal Ballo in Maschera dove è stato molto bello trasformarla in una struggente ballad con le parti dei cantanti adattata agli strumenti solisti (clarinetto e trombone), così come per Amami Alfredo. Nella Donna è mobile invece ho preferito stravolgere la linearità della melodia conosciuta e ho inserito degli elementi estranei costruendo una cosa diversa e stimolante con una serie di sorprese che l’ascoltatore certo non si aspetta. E ancora, Il duetto Spara fucile dal Rigoletto, pezzo che abbiamo voluto suonare in trio ha perfettamente incarnato lo spirito del progetto. In casi come Questa o quella o Bella figlia dell’amore invece l’elemento ritmico e un mood scanzonato, hanno agito da elementi caratterizzanti. Quindi a seconda dei tratti ritmici della melodia iniziale e del carattere melodico e comunicativo dell’originale, abbiamo poi fatto le nostre scelte sicuramente limitate rispetto alle enormi possibilità che via via abbiamo scoperto. Il pezzo originale è invece un modestissimo omaggio al grande maestro. In un progetto del genere ci sembrava carino e doveroso.
JC: Quali difficoltà avete incontrato nell’arrangiare i pezzi?
DC: Il problema è di natura strutturale. Verdi non era un jazzista! Il jazz per l’80% viaggia su strutture di canzone ben incastonate in una griglia: sta poi al jazzista liberarsene e creare. Le arie d’opera sono pensate per un contesto ovviamente assai diverso. Il problema quindi è di dare una struttura che poi consenta di poter improvvisare e chiudere il giro del brano jazzistico. Infatti adattare e arrangiare questi brani ha avuto la difficoltà maggiore nel pensare alla parte principale del jazz che è l’elemento improvvisativo. I temi verdiani colpiscono fortemente l’immaginario collettivo e quando poi inserisci i le improvvisazioni devi stare attento a come lo fai dove lo fai o addirittura creare un terreno diverso appositamente per la scelta impovvisativa che hai pensato. In alcuni brani ho aggiunto delle parti armoniche per collegare l’arrangiamento del tema al solo. È stato molto divertente e stimolante. Poi c’è l’elemento ritmico, pensare allo swing e agli incastri tra melodia e armonia verdiane con ritmi lontani anni luce da quel contesto.
JC: A quale tipo di pubblico si rivolge il disco?
DC: Beh! Spero a tutti! Il chiaro intento del progetto è quello di coinvolgere tutti gli ascoltatori. L’intento è di mantenere il carattere divulgativo dell’opera originale. Non c’è ambizione di stravolgimento artistico. C’è un gran rispetto per il materiale melodico originale. Io mi aspetto che diventi una bella sorpresa per l’ascoltatore avvezzo al jazz, e una grande novità per chi si ritrova un prodotto come questo tra le mani. Senza peccare di superbia, un disco del genere è molto piacevole e “poco” impegnativo all’ascolto, ma lascia una traccia. È godibile, leggero, ma tratta un materiale presente nella nostra memoria d’italiani creatori e custodi della più alta tradizione operistica, ma ancor più melodica. La melodia è l’elemento che caratterizza in maniera inequivocabile la musica. In questo lavoro discografico, l’abbiamo presa in prestito come un bellissimo e pregiatissimo abito, lo abbiamo indossato e, come accade per queste cose, abbiamo cercato di far emergere anche la nostra personalità di musicisti di jazz.
JC: Che risposte state avendo nel proporlo in concerto?
DC: Inizialmente avvertiamo tanta curiosità, ma questo mi sembra più che lecito e normale. La curiosità poi si trasforma in ascolto attento e divertito. Fantastiche! Soprattutto (e non lo avremmo mai detto) in ambito classico! Diciamo in sintesi che “divertiamo”! Il pubblico secondo me avverte il nostro coraggio, la modestia nel porci di fronte a questa grande musica, ma allo stesso tempo coglie la voglia di fare bella musica e il rispetto verso la tradizione più alta della musica del nostro paese. Arriva il messaggio di omaggio al mestro, ma anche l’intento di creare un prodotto particolare e diverso.
JC: La casa discografica?
DC: Music center di Alessio brocca è un raro esempio di mecenatismo del XXI secolo. Un simpaticissimo e lungimirante signore appassionato che investe del suo per portare avanti la musica che altrimenti verrebbe accantonata.
JC: Ci sarà un seguito a questo disco, magari con un altro compositore che non appartiene al mondo del jazz?
DC: Non lo so. Il lavoro di arrangiamento che ho svolto insieme a Luca mi ha coinvolto parecchio e siccome sono una persona molto riflessiva ci metto del tempo a metabolizzare le cose che si fanno. Potrebbe essere l’inizio di un nuovo modo di utilizzare il materiale sonoro. Del resto la fusione è la possibilità compositiva vera e attuale che forse più di ogni altra ci permette di andare avanti. C’è da dire che quando abbiamo scelto queste arie d’opera, mi sono accorto che si poteva fare tanto di più. Le possibilità che si sono aperte sono infinite. Direi che anche se non ci sarà un seguito, questo esperimento mi ha dato una grande voglia di lavorare su materiali sonori tra i più diversi con l’intento di fondere, cambiare, arrangiare tentando di creare cose interessanti quanto meno stimolanti per l’ascoltatore.