Foto: da internet
Slideshow. Paolo Carrus.
Jazz Convention: Così, a bruciapelo chi è Paolo Carrus?
Paolo Carrus: Principalmente un appassionato di jazz! Poi un pianista, compositore e direttore di una big band…
JC: Ci parli del tuo nuovo lavoro Open View?
PC: Il lavoro è il frutto di un lungo periodo di frequentazioni con gruppi orchestrali, che ha avuto inizio negli anni Ottanta con i corsi di arrangiamento e i laboratori tenuti da Bruno Tommaso che mi ha avviato alla scrittura musicale. Grazie a Bruno e ai suoi consigli ho anche partecipato ai concorsi per arrangiatore, attraverso i quali ho apprezzato questa pratica. Mi considero un artigiano della composizione: ho iniziato a scrivere per quartetto e ho proseguito per formazioni sempre più ampie fino alla big band. Al contrario non ho mai pensato alle difficoltà che obiettivamente rendono più difficile l’attività concertistica di una formazione numerosa: ha prevalso il mio forte interesse per le sonorità affascinanti delle formazioni orchestrali.
JC: È comunque importante in Open View la scrittura musicale?
PC: Sì, Open View è un lavoro di scrittura densa che tende a considerare l’ensemble come il protagonista e non solo l’accompagnatore di solisti. Spesso nella forma orchestrale concepita dai jazzisti, la scrittura si limita a esporre i temi e ad arricchire l’improvvisazione dei solisti che sviluppano i temi; personalmente ho considerato come protagonista assoluto l’ensemble che introduce, narra, ma anche sviluppa e conclude.
JC: Che tipo di organico hai utilizzato?
PC: La formazione, comprendente cinque sassofoni (oltre la ritmica), si fonda sul dialogo fra le due sezioni: la ritmica ed i sax. La sezione di cinque sax ha una sonorità omogenea e completa, che può avere anche una totale autonomia. Inoltre dispiega ed amplifica la linea dei temi e delle melodie conferendo agli stessi una forza sonora particolare. Il protagonista del lavoro è sempre l’ensemble che non abbandona mai il campo; anche gli interventi solistici sono racchiusi dalle tematiche del gruppo orchestrale. Provenendo da una lunga esperienza con la big band della Scuola Civica di Musica di Cagliari, formata da più di venti musicisti, l’ensemble a volte mi pareva persino ridotto.
JC: Come hai strutturato i brani del disco?
PC: Le composizioni dell’album sono pensate per una formazione orchestrale. Alcune di esse sono adattamenti di brani scritti per big band, mentre altre fra cui Wait, Rapsodia e Swing tomorrow sono scritte apposta per il New Ensemble.
JC: Ti va di commentare alcuni pezzi di Open View?
PC: Sì, certo, parlerei ad esempio di Wait, Rapsodia, Swing Tomorrow, Margie rhythm e Bells…
JC: D’accordo, cominciamo con Wait.
PC: In Wait ho costruito un tema molto ritmico che viene esposto dai sax dopo una breve introduzione che ha come protagonista la batteria; la struttura dell’improvvisazione, ottenuta come dilatazione della struttura tematica consente un maggior respiro al discorso musicale che prepara l’esposizione del tema ampliato. L’idea del brano è proprio il senso di apertura di una melodia sottoposta al procedimento di dilatazione descritto.
JC: Rapsodia.
PC: Rapsodia nasce da un’idea similare, in questo caso l’effetto voluto è la rielaborazione di un tema che viene forgiato ritmicamente in base alle necessità della melodia.
JC: Swing tomorrow.
PC: Swing tomorrow è un tema che parte dalla ripetizione di un riff con voci diverse che si susseguono sovrapponendosi e che poi improvvisamente danno vita ad un tema con un tempo swing: il confronto fra diversi stili ritmici evidenzia la fluidità e la scorrevolezza dello swing.
JC: Margie rhythm.
PC: Penso che Margie rhythm nasca in maniera spontanea con un tema essenziale ed una struttura armonica breve come nella tradizione dei brani funky. In questo brano prevale sicuramente l’aspetto ritmico e il gusto dei riff punteggiati dai fiati con la ritmica di rinforzo.
JC: Armodale.
PC: Armodale, al contrario di Margie rhythm, è il brano più complesso perché nasce da un’introduzione lenta di soli fiati, seguita poi da un tema cantabile scritto con il sax soprano in evidenza. La struttura sfocia in uno special che rende molto fitto il discorso musicale e che conduce al tema di base rielaborato ed integrato.
JC: Bells.
PC: In Bells lo spazio espressivo è lasciato interamente all’estro del sassofonista solista Stefano D’Anna, che reinventa il brano e lo sviluppa con grande maestria.
JC: Ci racconti ora il primo ricordo che hai della musica?
PC: A sei anni ricordo l’emozione ascoltando un organista alle scuole elementari: suonava un organo elettronico con i ritmi automatici: allora (anni Settanta) questi strumenti avevano un grande fascino.
JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare un musicista?
PC: La passione per la musica e le possibilità creative del jazz. Anzi ho inziato a suonare per gioco da solo e, da bambino, ho rifiutato le lezioni di musica in quanto, a quei tempi, i maestri di accademia spaventavano un po’!!!
JC: E in particolare perché un pianista jazz?
PC: Già nel 1977 guardando Franco Cerri nel programma di jazz in jazz con la Big Band della RAI diretta da Giampiero Boneschi, avevo iniziato a capire che quella musica aveva un qualcosa in più rispetto alla musica classica. Avevo un organo Bontempi e desideravo un pianoforte, che i miei acquistarono solo dopo aver accertato che volevo “fare sul serio”.
JC: Ma cos’è per te il jazz?
PC: È una musica ricca di groove, che mi fa emozionare e muovere.
JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica jazz?
PC: Il ritmo swingante, l’armonia ricca e articolata, le continue manipolazioni degli improvvisatori, l’impatto sonoro della big band che swinga. L’aspetto più scontato, ma per certi aspetti non palese è il suono espressivo, mutante e non pulito, che distingue il jazz dall’accademia.
JC: Tra i dischi che hai fatto ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionato?
PC: La mia prima opera orchestrale è racchiusa nel CD Odras (pubblicato nel 1998 per la Splasch) che è stato il punto di arrivo della costruzione delle mie composizioni orchestrali basate sulla musica popolare della Sardegna.
JC: E tra i dischi che hai ascoltato quale porteresti sull’isola deserta?
PC: Sicuramente Affinity di Bill Evans, Montreaux 1977 di Oscar Peterson, My Funny Valentine di Miles Davis, It’ Don’t Mean a Thing di Duke Ellington e Fancy Pants diCount Basie.
JC: Quali sono stati i tuoi maestri nella musica, nella cultura, nella vita?
PC: Mio padre, nonostante non fosse un musicista, ma un lettore appassionato, mi ha trasmesso i valori fondamentali della vita, fra cui l’onestà, la lealtà, ma anche il valore imprescindibile della cultura Paolo Fresu è stato mio compagno di Conservatorio nel 1979, ancora non era conosciuto, ma già era una figura carismatica che mi ha trasmesso la forza del jazz, in un ambiente dove il jazz non era ben visto, Io studiavo la classica, ma ascoltavo solo il jazz e i racconti di Paolo.
JC: E i pianisti che ti hanno maggiormente influenzato?
PC: In ordine cronologico: Oscar Peterson, Bill Evans, Chick Corea, Herbie Hancock.
JC: Qual è per te il momento più bello della tua carriera di musicista?
PC: Il primo LP, Billy’s garage, con Paolo Fresu, Salvatore Maiore al contrabbasso e Roberto Billy Sechi alla batteria, musicista che purtroppo ci ha lasciato e con il quale ho condiviso più di venti anni di musica e di vita.
JC: Quali sono i musicisti con cui ami collaborare?
PC: I musicisti del Paolo Carrus New Ensemble, il Maestro di sax Stefano D’Anna, Corrado Salis ( contrabbasso), Alessandro Garau (batteria), i sassofonisti Andrea Morelli, Dario Pirodda, Francesco Sangiovanni, Valter Alberton. I musicisti con i quali condivido l’esperienza del Lov’n Jazz Quartet: Lucia Fodde (voce) , Massimo Tore (contrabbasso), Roberto Migoni (batteria)
JC: Come vedi la situazione della musica in Sardegna?
PC: Ci sono ottimi musicisti ed è un ambiente ideale, ma solo per iniziare l’attività di jazzista. Nel seguito, per i musicisti di una certa esperienza è difficile promuovere i progetti ed esportarli fuori dalla Sardegna.
JC: E più in generale della cultura in Italia?
PC: E’ un momento difficile sia in senso assoluto per la crisi economica. In senso relativo, il decadimento culturale che si registra nel nostro paese, lo rende peggiore degli altri paesi europei.
JC: Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?
PC: Un nuovo CD di brani originali con il Lov’n Jazz Quartet e un lavoro orchestrale basato sulla musica popolare della mia terra, che realizzerò con il mio ensemble.