Irene Aranda – Yetzer

Irene Aranda - Yetzer

Autoproduzione – 2012




Irene Aranda: pianoforte






Il percorso tracciato da Irene Aranda in Yetzer ci riporta indietro fino al quindicesimo secolo, quando in Andalusia vivevano fianco a fianco cristiani, musulmani ed ebrei in uno dei crogioli più fertili dal punto di vista culturale presenti nella storia europea: una reciproca influenza alla base della tradizione folklorica spagnola, del flamenco, della musica sefardita degli ebrei della diaspora dalle terre iberiche e della musica classica europea: un brodo di coltura dove poi, nei secoli seguenti, sono passate e si sono incrociate quelle tradizioni con i ritmi africani per ampliare ulteriormente gli spunti e le successive soluzioni musicali.


Con questo quadro di riferimento ben presente, la pianista spagnola ha registrato le sei tracce del lavoro in piano solo: l’utilizzo di un contesto familiare tanto al jazz che al mondo classico mette a disposizione delle improvvisazioni un vocabolario trasversale, capace di dare respiro alle varie istanze attraversate dalla pianista. La scelta di chiamare i brani tutti con lo stesso nome – Sebka, vale a dire i decori tipici dei palazzi arabi – e numerarli in ordine progressivo da risalto alla compattezza del materiale. Un gioco di antico e moderno si intreccia nello scorrere delle tracce: le radici vengono riviste secondo la sensibilità di un’interprete di oggi e vengono messe in contatto con le esperienze a cui sono servite da punto di partenza. Un gioco analogo di addizione e di sintesi tra i vari elementi rende ampio e coerente il ragionamento sonoro: la forza solitaria del pianoforte, l’improvvisazione, il respiro del suono acustico, l’intervento sulle corde per modificare il suono sono tutti elementi utili per ricondurre in maniera ordinata nelle linee seguite da Irene Aranda le suggestioni di un materiale vasto e significativo.


Un altro espediente utilizzato dalla pianista è quello di lasciare che la musica prenda corpo e consistenza senza fretta o affanno: i brani acquistano un andamento, a seconda dei casi, solenne, riflessivo, concentrato, sempre misurato e pacato. Ed è questo un tratto che accoglie l’ascoltatore sin dall’inizio del primo brano, aperto da un sottofondo di rumori creati dagli oggetti sulle corde del pianoforte, su cui entrano timide le prime note come a tastare il terreno. La pianista utilizza, invece, la variazione delle dinamiche per creare spazi diversi: si passa così dagli spazi rarefatti a frasi sostenute e sottolineate con forza, ma sempre senza strappi o spigolosità accentuate. A parte il breve e scoppiettante interludio – poco più di un minuto – della quinta traccia, il filo narrativo si sviluppa sempre con calma, proprio per fare incontrare gli spunti di partenza, la storia attraversata dal materiale e la loro interpretazione: l’atteggiamento è se si vuole quello del concerto classico, pur se le composizioni si presentano come un flusso di improvvisazioni, costruite intorno all’assunto di partenza.


Una nota sulle parole che ruotano intorno al disco. Sebka, come abbiamo detto sono le decorazioni reticolari che vediamo spesso nei palazzi arabi e che sono – anche’esse – passate nello stile moresco utilizzato ad esempio in tanta architettura occidentale. Yetzer invece è una parola ebraica e definisce l’impulso umano ad agire, tanto verso il bene che verso il male. Il disco infine è disponibile per il download gratuito sul sito della pianista.