Louis Sclavis Atlas Trio – Sources

Louis Sclavis Atlas Trio - Sources

ECM Records – ECM 2282 – 2012




Louis Sclavis: clarinetto, clarino basso

Benjamin Moussay: pianoforte, Fender Rhodes, tastiere

Gilles Coronado: chitarra elettrica





Ancora nella memoria, e non deposte, le produzioni lungo cui il grande clarinettista ha spaziato almeno entro l’ultimo triennio: ispirato duo acustico con il piano di Aki Takase, triangolazione choc con Craig Taborn e Tom Rainey, trasvolata avant-garde con Fred Frith e Jean-Pierre Drouet, grande rentrée con Aldo Romano e Henri Texier in trio allargato, il tutto in coda a quel Lost on the Way per ECM e, di nuovo per l’etichetta di Monaco, Louis Sclavis s’ingegna di rifondare ma soprattutto ripensare il trio in una formula strumentale per lui inedita con le tastiere di Benjamin Moussay e la chitarra elettrica di Gilles Coronado.


«Ho dovuto interrogarmi su tutti i miei riflessi compositivi; avevo scritto materiali per questo progetto che mi hanno condotto in regioni ove non avevo mai viaggiato e dove non avevo certezze sulla direzione da prendere. Ma, intendendo suonare con questi musicisti, dovevo inventare musica che “giustificasse” quest’associazione. Perfino io ero insicuro se saremmo stati capaci di suonare i pezzi, ma collettivamente la musica ha preso forma! Non somiglia a nient’altro, davvero concepita per questo gruppo e non avrebbe potuto esistere finché non l’abbiamo eseguita, non c’è alcun momento di “sospensione” mentre suoniamo perché si deve rimanere continuamente all’erta».


Ciò l’antefatto, e il progetto si palesa in una ricerca quasi accidentale, che è input di una progressione nuova che reinventa se stessa di volta in volta, così come la sfaccettata macchina ideativa di Louis Sclavis, che non abdica al “procedimento euristico” – anzi sembrerebbe essere il suo punto di partenza. La sperimentazione di Sclavis si manifesta con intento di alterità, impersonato da un idioma tanto univoco quanto veicolare.


Atlas Trio, insolita congiuntura estetica (Sclavis, Moussay, Coronado), si muove su un frammentario andirivieni di percezioni effimere, armonizzate da un groove ben temprato, a tratti tendente a venature funk, sussunto sotto un ritmo guerrafondaio partecipe e vivo, nonostante l’assenza di batteria o basso. Trattiamo di un ensemble che plasma se stesso ogni volta che crea, attraverso una rigenerazione necessaria e naturale all’interno di un’espressione in continuo mutamento, con il persuasivo Fender Rhodes (Moussay), l’incisiva chitarra (Coronado) e l’impronta ora antica ora moderna, ora etnica ora classica, del clarinetto di Sclavis.


L’energetica discorsività, gli spettri cameristici, il plumbeo, sensibile effetto thriller scaturente dal gioco sottile delle tastiere, le tensioni fitte e le fibrillazioni acide della chitarra, le toniche alonature ritmiche, vive di risonanza coloniale, l’embricazione melodico-funzionale con la fraseologia clarinettistica, rivoltata e al contempo sempre lineare di Sclavis, e il tutto nel gioco alquanto superiore e libero di esperienze apolidi e variegate geografie della memoria.


Di nuovo le “note di viaggio” di Sclavis confermano quanto variamente una tale avventura possa essere intesa: la sua musicalità “importante”, quantunque sia diretta e spoglia per immediatezza, rifugge pesantezze effettistiche e clangori; l’ispirazione pesca sensibilmente nell’istante dipanando intessute tracce che, di questo felicemente operoso trigono, sono testimonianza e firma.