ECM Records – ECM 2278 – 2012
Xavier Charles: clarinetto, armonica
Ivar Grydeland: chitarra elettrica, banjo, sruti box
Christian Wallumrød: piano preparato, harmonium
Ingar Zach: grancassa, percussioni
In principio stavano i performer norvegesi Ingar Zach e Ivar Grydeland, duo che si apriva agli apporti pianistici e creativi di Christian Wallumrød, apprezzato di suo già dalle visionarie sortite di Sofienberg Variations, completandosi con un altro partner di palcoscenico, il clarinettista Xavier Charles.
Alla sua seconda espressione discografica, il “discorso musicale” dell’ensemble Dans les Arbres si conferma ambizioso nella sua semplicità fondante, agnostico nella sua sacrale consapevolezza, con l’intatta voglia (e l’ostinazione) di giocare ad un'”altra” musica, guidata dalle forze – evidentemente non poi così irragionevoli né violente – dal Caos e del Caso; di nuovo i quattro si fanno portatori della oscura Luce che rischiara mistero coniugato a doppio filo con naturalezza, fugando ulteriormente le ombre che turbassero l’orizzonte del Suono in libertà.
Già avvezzi alle fervide creatività del sound nordico, già esposti alle costruzioni di Wallumrød e del suo toccante anti-feeling da brivido, raggiunti ancora adesso dai vapori della fucina del quartetto, nel presente caso il notorio gusto sperimentale scandinavo non si fa da parte, ma è una componente di una più estensiva apertura che rialza la posta del rischio; piuttosto ineffabili, le sonorità del quartetto non sono l’unico caso di acusticità nuda che con sfrontatezza si pone a mimesi dell’elettronica estrema.
Il piano preparato di Wallumrød emette una vasta gamma di raccordi emotivi insieme al respiro, ora sincopato ora a più protratta esalazione, delle membrane e degli oggetti a rintocco di Zach, che sembra insistere sul bombardiere delle percussioni in realtà sfiorandolo con esilità e fuori carattere; il mordente banjo ad arco di Grydeland disegna atipiche tracce melodiche, come le ipnotiche spire delle ance di Charles. Frasi corte, di respiro istantaneo, s’instradano lungo strategie alle soglie della leggibilità, un senso intimo della vibrazione fortemente orientalista disegna un increspato giardino Zen del tocco istantaneo e sensibile; il mantice dell’Incognito imprime respiro all’Indeterminato sebbene la “libera arena” dell’aleatorietà qui sembri offrire in una sottile e ondulante filigrana una vissuta accezione della microfisica universale della Composizione.
Titolandosi in iperboliche riletture delle Suites barocche di danza, ne decappano il colorismo e la didascalia dei grandi, rispettivi autori (alla Lully o Rameau), riconducendo la natura e gli impeti della Danza ai meccanismi più sottili e molecolari del movimento e dell’emozione, mutando il senso delle Allegorie prescelte (L’Émanation, L’Éther, L’Immatériel etc. – tutte piuttosto a fuoco nella loro vaghezza), ma il tunnel temporale ancor più a ritroso demarca l’apparentamento dell’ensemble non già a fenomeni stilistici cristallizzati nella forma, ma senza troppo osare amiamo scorgere una ben più grande analogia con l’ispirazione istantanea e la poetica del cammino dei Trovatori.
Sortilegio e contemplazione dell’inatteso, risonanze intime e proiezioni astrali, ritualità ostinata ma sempre e fortemente aperta di alieni meccanismi ad orologeria e, su tutto, le incantatorie anarchie dei quattro segnano un’incisione dichiaratamente per palati idiosincrasici e curiosi, segnata fino all’ossatura da uno spirito di ricerca che, se condiviso, ricaricherebbe le pile immaginative di una gran messe di “creativi”…
Torna l’avventura Dans les Arbres, e il dono della sua musicalità catalizzante e nuova.
E coraggiosa – come la libertà.