PhonoMetak Labs – PM 08 – 2012
Cristiano Calcagnile: batteria
Xabier Iriondo: mahai metak, taisho koto, live-electronics
Gianni Mimmo: sax soprano
Diverse interpretazioni di look per un (volutamente frainteso) misticismo “concreto e di strada” – tali le improbabili “mises” dei laceri, contusi e blandamente assorti personaggi di copertina che tanto andrebbero a suggerire – ma certo i nomi in campo sono forti, e almeno altrettanto consistenti le energie spese sulla pedana sonora, così come gli intenti ad osare e sovvertire le regole del gioco.
Né sospetteremmo per un attimo, viste l’esplosive discese sul terreno, che qui si abbia a che fare con accademici praticanti di canto piano o disarmanti mantra: l’indocile e triangolare fucina trae linfa e segni vitali da disfonie melodizzanti che non s’alienano falso pudore di rinunciare a forme proto-cantabili (ma di grande e libera primordialità – e qui invochiamo grandi indulgenti attitudini all’astrazione).
Acri e belligeranti in apertura, le forme del trio si coagulano tra la voce urticante e chioccia del soprano di Gianni Mimmo, l’iperacido e distorsivo turbinio delle live-electronics di Xabier Iriondo, le schegge sonore, gli squillanti metalli, i tonfi possenti del kit di Calcagnile – fiati, affondi, ondulazioni, sinusoidi, picchi, onomatopee ornitologiche, chincaglierie e spettri meccanici, scalpellano un mondo fantasmatico di lividi spettri e meditanti monadi non dominato a priori da agnosticismi o laicità.
La tonificante incursione sonora muta il corso da radure quasi prive di volume (Multiple, l’articolata Tale to be told) a scacchieri da battaglia (Glance Dance) e destrutturazioni emotive (Mantic), indi tocca picchi d’asperità saliente bilanciata, e in ciò resa ancor più estraniante, da risonanze d’Oriente – inflessione di colore in un quadro sfaccettato e da vivere nell’apolide istantaneità (Antenna revelation): un brulicante, per nulla domestico micro-bestiario è animato dalle furie cosmogoniche e dalle contemplazioni pallide dei tre, tesi ad esporre nella concitata ora (limite costrittivo, ma indice efficace) di sì agitanti movenze un rivoltamento della linearità che pur a suo modo riesce agglutinante, e la dichiarata intolleranza per la forma, sia epidermica che di sostanza, è pur in vario modo discorsiva.
Trovando un valore aggiunto nella semi-involontaria filiera di citazioni – di segno più che personologiche – degli illustri spettri dei Lacy, Lytton, Teitelbaum e quant’altri indocili analoghi, i Mistaking Monks portano avanti il passo ancor oltre gli orizzonti tracciati dalla lezione del free; articolata e vivente lungo blocchi d’aggregazione sonora d’impatto e di carattere, l’operazione non appaia solo “di testa” quanto piuttosto di partecipazione psico-fisica e umorale, imbevuta delle istanze del performing istantaneo e dei variegati passaggi del filone forte, e tuttora vitale, della Musica Creativa.