Foto: Elena Somarè
Slideshow. Ada Montellanico.
Jazz Convention: Così, a bruciapelo chi è Ada Montellanico?
Ada Montellanico: Sono una persona di grande curiosità, che spesso si è imbattuta in scelte che apparentemente potevano sembrare rischiose, ma che in realtà per il mio continuo amore per le sfide, mi hanno portato a trovare e sviluppare la mia identità artistica e umana. Di solito mi guida sempre un grande intuito, qualcosa di irrazionale che appartiene al mio essere e che mi fa muovere nella vita in generale.
JC: Sempre o quasi a bruciapelo, puoi parlarci del tuo nuovo lavoro discografico?
AM: È un lavoro molto diverso dai miei precedenti. La mia intenzione era allargare la tavolozza dei miei colori e sviluppare la mia espressività in ambiti non usuali. Non a caso ho chiesto a Giovanni Falzone di essere l’arrangiatore. Sapevo avrebbe apportato alla forma narrativa dei brani, un elemento di contemporaneità che era quello che cercavo.
JC: Ci racconti ora il primo ricordo che hai della musica?
AM: Il primo ricordo forte che ho della musica, sono le chiacchierate da bambina con mio nonno che suonava il trombone nella banda del paese. Lo ascoltavo esercitarsi a casa e mi faceva vedere come funzionava, i vari suoni che emetteva. Ero affascinata da quello strumento dai suoni cavernosi e chissà se poi questo ha influito sul mio amore per gli strumenti dai suoni gravi.
JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare una cantante?
AM: Ma nessuno in particolare, mi piaceva cantare. Cantavo sempre, ascoltando i miei interpreti preferiti. Imparavo con grande facilità i brani dei miei beniamini. Da piccola mi piaceva Caterina Caselli e Ivano Fossati, andavo pazza per lui quando era nei Delirium. Adoravo i Beatles, ricordo ancora in estate, quando alla radio fecero sentire quel magnifico pezzo, The long and winding road, con cui salutavano per sempre i loro fans sciogliendosi. Quel brano ancora adesso mi commuove. Poi più tardi mi sono spostata sul progressive, sono stata una Crimsoniana fervente!
JC: E perché proprio una cantante jazz?
AM: Il jazz èé arrivato dopo. Prima ho cantato per lungo tempo musica popolare. Avevo un gruppo e andavamo in giro a fare ricerche sul campo e a fare concerti. Studiavo etnomusicologia con Diego Carpitella. Mi intrigava quel mondo che era sempre in bilico tra magia, un legame forte con la natura e un grande senso della collettività. Chiusa quel l’esperienza fui folgorata da Coltrane e iniziai con il jazz, prima come sassofonista, poi invece ripresi il mio primo amore che è e rimane la vocalità.
JC: Ha ancora un significato oggi la parola jazz?
AM: Ma direi di sì, anche se i confini si sono allargati ed è sempre più difficile definirlo. Ma sicuramente oltre ad essere un linguaggio, rimane un approccio alla musica molto diverso dagli altri stili.
JC: Ma cos’è per te il jazz?
AM: Per me, come accennavo prima è un approccio alla musica. È una capacità di recezione e di reazione notevole ai materiali sonori. Quell’immediatezza insita nell’improvvisazione, è qualcosa di unico nel panorama musicale. È una capacità di ricreare le composizioni facendo le diventare un proprio discorso e una propria espressione. È tutto questo avviene in un rapporto stretto con gli altri musicisti che diventa unico quando ci si riesce. E ogni volta è diverso, niente è scontato. Ogni volta sul palco ti giochi tutto e non sai mai quello che uscirà. Questo ovviamente vale per i musicisti che rischiano e non ripetono cliché. Io ogni volta ci provo, a volte riesce di più a volte di meno, a questo è il bello del jazz. Ultima cosa importante per me è avere quell’ateismo di fondo che non ti fa avere paura ad affrontare repertori o autori considerati icone. Se non hai questo, non accade niente di importante. Questo è stato il mio vissuto mentre affrontavo Tenco o Billie Holiday ma anche nell’ultimo CD Suono di donna.
JC: Sai cantare di tutto: jazz song, vocalese, avanguardia; ma come ti consideri o in cosa ti riconosci stilisticamente parlando?
AM: Beh, direi di essere una cantante che predilige la narrazione. Mi piace innanzitutto scegliere brani che abbiano un testo per me rappresentativo. E poi musicalmente parlando amo rielaborare il brano armonicamente e ritmicamente lasciando perlopiù intatta la melodia. Forse potrei definirmi una cantante ancorata alla tradizione con una propensione all’avanguardia.
JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica?
AM: Principale è l’emozione, motore di tutta la vera musica e sicuramente assocerei alla musica anche l’ironia.
JC: Tra i molti dischi che hai fatto ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionata?
AM: Ovviamente l’ultimo! Ma forse guardando indietro il cd a cui sono affezionata perché è stata la mia svolta stilistica è L’Altro Tenco del 1996 prodotto da Philology; è stato l’ inizio di quella che hanno definito “la via italiana del jazz vocale”.
JC: E tra i dischi che hai ascoltato quale porteresti sull’isola deserta?
AM: Kind of blue. Potrei ascoltarlo per ore! Lo conosco praticamente a memoria con tutti gli assoli.
JC: E quali sono le tue cantanti jazz preferite?
AM: Betty Carter e Billie Holiday!
JC: Quali sono stati i tuoi maestri nella voce, nella musica, nella cultura, nella vita?
AM: Maestri nella voce sono stati anche se lontani dalla mia vocalità la Callas e Kraus, nella musica Mozart e Gil Evans, nella cultura, oltre a José Saramago e Ernesto De Martino, Massimo Fagioli, ha saputo darmi anche nella vita una ricchezza umana e una identità che prima non avevo.
JC: Qual è per te il momento più bello della tua carriera di musicista?
AM: Quello in cui stai per elaborare un progetto nuovo, le prove, la messa a punto, lo studio e poi ovviamente la prima esecuzione. Sono momenti ogni volta diversi ma sempre esaltanti.
JC: Quali sono i musicisti con cui ami collaborare?
AM: I musicisti che sanno sorprendermi, che amano cercare nella musica e con cui riesco a stabilire un bel rapporto umano
JC: Come vedi la situazione della musica oggi in Italia?
AM: La vedo malissimo! Venti anni di “berlusconismo” hanno reso la situazione culturale allo stremo. L’eccessiva spettacolarizzazione dell’espressione artistica ha spesso devitalizzato la musica in nome di un successo di pubblico che non è di certo prerogativa del jazz. O lo sarebbe anche, a patto che non si abbassi il livello della proposta. Le istituzioni sono latitanti e non ci sono finanziamenti adeguati. Il jazz rimane una musica di confine e comunque di terzo grado. Quando invece siamo oggi come oggi una vera e propria risorsa economica e culturale del paese. Responsabilità è anche nostra, dei musicisti e degli addetti ai lavori, giornalisti, produttori, organizzatori e quant’altro. Dovremmo riprendere a parlare, a incontrarsi a costruire insieme qualcosa. Ci si è provato molti anni fa e non ci si è riusciti, ma non è detto che ora non possa essere possibile trovare dei punti d’incontro per cui battersi. C’è un grande fermento ora in Italia, e penso anche ai numerosi e talentuosi i giovani musicisti che stanno emergendo, ma c’è bisogno di interlocutori.
JC: E più in particolare la situazione della cultura nella tua città?
AM: La mia città e cioè Roma è allo sbando. La giunta Alemanno ha distrutto qualsiasi forma di iniziativa culturale. Anche se ad essere sincera Veltroni al secondo mandato aveva già abbandonato la città, dirigendo i suoi pensieri ad un incarico nazionale come è stato. La Casa del Jazz è una realtà magnifica che ci invidiano da tutto il mondo, ma in grande difficoltà, perché non ci sono adeguati finanziamenti, quindi difficile fare qualcosa se non si hanno risorse. Tutto ormai è concentrato sull’Auditorium e intorno c’è terra bruciata. Molti locali sono chiusi o fanno programmazione ad intermittenza, rimane per fortuna l’Alexander Platz. Ma direi che i tempi di sete-otto anni fa in cui si apriva il giornale non si sapeva cosa scegliere per le tante proposte che c’erano non esiste più. Aspettiamo il nuovo sindaco e le nuove elezioni in generale sperando che si respiri un po’ di aria fresca.
JC: Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?
AM: A parte portare avanti Suono di donna, vorrei incidere il progetto in duo con il bravissimo Francesco Diodati alla chitarra. è un po’ che ho questa formazione e ci divertiamo molto. È poi sto pensando a fare un progetto su Lee Konitz. In occasione di un concerto fatto alcuni anni fa lui mi propose di fare un progetto di sole sue composizioni. Mi mandò molti suoi brani chiedendomi anche di scrivere dei testi. Lusingatissima da questa proposta, conoscendo un po’ il suo carattere e il suo essere molto esigente, ho aspettato degli anni, ma penso che ora è il caso di metterci le mani.