Foto: Cinzia Guidetti
Slideshow. Silvia Bolognesi.
Jazz Convention: La figura femminile nella musica jazz è storicamente relegata al ruolo della cantante, da sempre i ruoli e gli strumenti che appartenevano a John Coltrane, Duke Ellington o Charles Mingus risultano poco frequentati dalle donne. Perché secondo te?
Silvia Bolognesi: Posso solo fare delle supposizioni, sicuramente sono motivi storico sociali, attualmente la scena jazzistica è molto più frequentata da strumentiste. Certe situazioni nascono anche dall’abitudine, forse se non si è abituati a vedere una contrabbassista non si è nemmeno portati ad immaginarci tali, o forse perché la figura della donna (almeno l’immagine che le veniva data fino ad un po’ di tempo fa, fragile e delicata) poco bene si accostava a strumenti fisicamente più coinvolgenti come un contrabbasso o una batteria?
JC: Nel tuo ultimo disco ti avvali del collega William Parker per le note di copertina; ci sono affinità o sintonie tra il suo modo di suonare e il tuo?
SB: William Parker è stato mio insegnante ai seminari estivi “Marcello Melis” di Sant’Anna Arresi nel 2005, sicuramente un incontro fondamentale per il mio percorso musicale, anche Tomeka e Mazz hanno collaborato con lui e quindi è per noi tutte una figura di riferimento nel panorama del jazz contemporaneo. Le sue note di copertina sono state un vero regalo e ci hanno pure commosso. Grazie Maestro!
JC: Del tuo album vorrei sottolineare l’intensità e la coesione di un gruppo ristretto in grado di rileggere in maniera personalissima bebop, country, blues, classica anche in un’ottica sperimentale. Sei d’accordo con questa breve analisi?
SB: Grazie, è vero siamo molto coese. Crediamo nella musica oltre gli stili e il fatto che ognuna di noi avesse alle spalle una formazione e un percorso diverso nonché la provenienza, credo abbia enfatizzato quest’aspetto. Ma in ognuna di noi c’è la necessità dell’ascolto reciproco, della musica come incontro, credo che siano questi gli aspetti che ci hanno fatto scegliere di rimanere insieme nonostante le difficoltà logistiche (la distanza). E poi in questi 3 anni di esperienze insieme è nata una profonda amicizia.
JC: Cambiando argomento, mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica?
SB: Sicuramente mio fratello con lo stereo a palla che ascolta rock o che prova in soffitta con il gruppo, (lui suona la chitarra).
JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare una musicista jazz?
SB: Sono di Siena, la presenza di Siena Jazz è stata sicuramente fondamentale
JC: E perché una contrabbassista jazz?
SB: Proprio frequentando i corsi di Siena Jazz (quelli invernali) ho ascoltato il disco cruciale (credo che tutti abbiamo il “disco magico” nella loro formazione, io ne ho una sacchettata!). Insomma io suonavo il basso elettrico (dato il “fratello rock” era naturale frequentassi quell’ambiente) e proprio insieme a mio fratello frequentavamo i corsi di Siena Jazz. Ascolto Ah Um! di Mingus e il basso elettrico non mi basta più.
JC: Ma cos’è per te il jazz?
SB: Il jazz.
JC: Cioè?
SB: Una lingua probabilmente, che nel suo percorso storico ha descritto una società, quella afroamericana che lentamente e a fatica ha cercato la propria identità. Oggi non è più necessariamente legata a quell’unica identità sociale, è diventato un linguaggio che poi ha assorbito anche elementi da altri generi musicali, l’elemento ritmico, il legame con lo swing o il blues però almeno per me sono caratteristiche ancora importanti per chiamarlo jazz.
JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica jazz?
SB: Oddio, bella domanda. Sinceramente credo che qualsiasi tipo di idea o concetto sia applicabile oggi nella musica jazz, dovrei fare degli esperimenti prima di sentenziare che qualcosa non è possibile. Per quello che riguarda i sentimenti ovviamente tutti, sia come ascoltatore che esecutore, l’importante è l’onestà.
JC: Tra i dischi che hai fatto ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionata?
SB: Più d’uno, forse tutti. Sebbene in fasi diverse del mio percorso musicale rappresentano tutti un momento sincero del mio rapporto con la musica, sono molto legata a Large dell’Open Combo perché l’ho prodotto da me, è stata una “fatica” che però mi ha dato molte soddisfazioni (sono legatissima ai musicisti del combo con i quali sono praticamente cresciuta) è inoltre il primo lavoro con Antonio Castiello il fonico con il quale da allora produco ogni mio lavoro.
JC: E tra i dischi che hai ascoltato quale porteresti sull’isola deserta?
SB: Sicuramente troppi! Tutta la discografia di Ellington e di Mingus in primis!
JC: E poi?
SB: Armstrong ci vuole, pure Billie Holiday e Ella Fitzgerald, perchè qualche parola ogni tanto ci vuole, Art ensemble of Chicago come Archie Shepp e Albert Ayler. E sicuramente qualche russo, perché a me tanto piace anche la musica classica russa dall’Ottocento in poi, cosi come il rock e Frank Zappa, per non parlare della musica africana, fra tutti i musicisti del Mali, e nonostante questa lunga lista ho già rinunciato a molto altro.
JC: Quali sono stati i tuoi maestri nella musica?
SB: Nel contrabbasso sicuramente il mio Maestro di conservatorio Andrea Granai, non è stato un cammino facile ma proprio per questo gli devo molto, mi ha insegnato oltre a suonare lo strumento ad essere tenace e Albero Bocini che mi ha aiutato a riconoscere quale fosse il mio posto nella musica e a seguire le mie naturali inclinazioni, così come Paolino Dalla Porta che mi ha trasmesso l’entusiasmo. Poi è arrivato William Parker che non mi ha detto molto, ha detto solo: suona! Ma è stato il via per mettere tutto insieme e suonare.
JC: E maestri nella cultura, nella vita ne hai avuti?
SB: Tantissimi maestri, tutte le persone che ho incontrato e mi hanno raccontato qualcosa di loro, i maestri di Siena Jazz (tanti), la mia famiglia e anche le clienti di bottega quando facevo la parrucchiera, avevano tutte molte storie da raccontare!
JC: E i contrabbassisti che ti hanno maggiormente influenzato?
SB: Da Mingus a William molti, Paul Chambers, Scott LaFaro, Dave Holland, Charlie Haden, per fare dei nomi, gli ho studiati tutti ma poi il suono che ho in testa, quello a cui sono più affezionata è quello di Mingus.
JC: Qual è per te il momento più bello della tua carriera di musicista?
SB: Uh mamma, tanti… ricordo tanti momenti di forte emozione (poi io sono estremamente emotiva), sono anche stata piuttosto fortunata nel mio cammino quindi mi vengono in mente tantissimi momenti belli, suonare in giro per gli States con il trio, il concerto in diretta a Radio3 con l’Open Combo, il primo concerto con i Nexus, il concerto al Velvet Lounge di Chicago con Ken Vandermark, Ernest Dawkins e Vincent Davis con Fred Anderson che girellava per il locale, mi tremavano le gambe!
JC: Quali sono i musicisti con cui ami collaborare?
SB: Sono tanti, l’Italia è piena di bravissimi musicisti che hanno voglia anche di mettersi in gioco sia nell’improvvisazione e quindi nell’ascolto reciproco che nel prestarsi a suonare la musica originale.
JC: Ma a chi ti senti molto legata?
SB: Ai musicisti dell’Open Combo e al loro personalissimo suono, ma allo stesso tempo mi piace essere sorpresa da modi diversi d’interagire e da suoni diversi quindi anche l’incontro estemporaneo con musicisti che non frequento spesso o abitualmente mi piace molto.
JC: E fra gli stranieri?
SB: C’è Sabir Mateen dal quale imparo moltissimo ogni volta che suoniamo, eppoi Mazz e Tomeka con le quali ancora ci stupiamo della sintonia, ultimamente ho avuto il piacere di suonare nel Black Earth Ensemble di Nicole Mitchell con il quale spero di collaborare nuovamente, Nicole è una fantastica strumentista e mi è piaciuto molto anche l’approccio compositivo… visto quante donne?
JC: Come vedi la situazione della musica in Italia?
SB: La musica non sta male, è tutto il resto che è malconcio. Ci sono musicisti, gruppi e collettivi che fanno della musica bellissima e credo anche che ci sia un bel fermento creativo. Da Franco Ferguson a Roma alle ImproZero in Toscana, gli Improring in Puglia e Sardegna (e chissà cos’altro c’è di cui però non sappiamo niente), mi pare che i musicisti s’incontrino sempre di più dando un netto segnale di vivacità e creatività. Ma questa sembra essere una scena “underground” e sicuramente anche poco redditizia.
JC: E per quanto riguarda gli spazi per suonare dal vivo?
SB: Quelli con musica remunerata onestamente e con un minimo di visibilità, sono sempre meno e quindi l’accesso è sempre più limitato, spesso le scelte volgono verso i nomi che assicurano più pubblico che siano italiani o stranieri, non ci si prende nessun rischio. Insomma si fa fatica.
JC: Cosa pensi oggi, più in generale, della cultura in Italia?
SB: Credo come sopra, non che gli eventi non ci siano, ma sono relegati in ambienti poco noti e quindi dobbiamo andare a cercarceli e insegnare ai più giovani che esistono. E qui si aprirebbe una parentesi enorme su come insegnare ai più giovani un atteggiamento più profondo verso la cultura. Da insegnante noto un atteggiamento diverso nei miei allievi rispetto a quello che avevo io da giovane, forse per le modalità dei tempi moderni, le possibilità attraverso internet che rendono l’approccio alla cultura e alla musica molto più superficiale e dispersivo.
JC: Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?
SB: Quest’anno vorrei concretizzare almeno un paio di progetti che da tempo porto avanti come leader. A marzo registrerò il primo cd dell’Almond Tree il quartetto che ho con Tony Cattano al Trombone, Pasquale Mirra al vibrafono e Daniele Paoletti alla batteria. È già da un po’ che suoniamo il nostro repertorio (tutti nostri brani originali) ma non abbiamo ancora concretizzato su cd.
JC: Ma immagino che non ci sia solo Almond Tree…
SB: A giugno ritorno all’attacco con il mio vecchio progetto Xilo Music, una sorta di gruppo cameristico, un ottetto, formato da strumenti prevalentemente di legno, registrerò anche con loro e sul repertorio stiamo organizzando un intervento narrativo con l’uso del teatro d’ombre di cui si occupa Federico Biancalani, anche questo lo monteremo in giugno, non vedo l’ora! Entrambi questi progetti usciranno per la Fonterossa Records che adesso fa parte del Jambona Lab, laboratorio musicale e studio di registrazione nati dalla collaborazione con Antonio Castiello.
JC: Come riuscirai a realizzarli?
SB: Concretizzare questi progetti non sarebbe possibile senza il coinvolgimento delle persone che ne fanno parte che si prestano alla registrazione o alle prove spesso solo per il rimborso spese dei viaggi, ci tengo a dire questo perché se loro non si approcciassero così alla mia musica e alle mie idee io non mi sarei potuta permettere di concretizzare il lavoro fatto fino ad oggi e nemmeno di sognarmi quello futuro.
JC: Altre novità?
SB: Con Hear in Now abbiamo registrato nuovo materiale lo scorso dicembre a Chicago, abbiamo avuto anche il piacere di ospitare Dee Alexander alla voce in un brano, speriamo di poter far uscire il cd entro la fine dell’anno.