Gabriele Coen – Yiddish Melodies in Jazz

Gabriele Coen - Yiddish Melodies in Jazz

Tzadik Records – TZ 8172 – 2013




Gabriele Coen: sax soprano, clarinetto, sax tenore

Pietro Lussu: pianoforte

Lutte Berg: chitarra elettrica

Marco Loddo: contrabbasso

Luca Caponi: batteria





Per il suo secondo lavoro per la Tzadik Records di John Zorn, Gabriele Coen sceglie di ripercorrere la strada seguita nella storia del jazz dai brani portati dagli ebrei sbarcati negli Stati Uniti e trapiantati senza troppe modifiche dalle diverse tradizioni europee nel repertorio del jazz. Yiddish melodies in jazz si compone perciò di dieci brani – di cui solo Jewish Five e Mazal Tov From Tobago sono a firma del leader – capaci di dare un senso e una collocazione storica e musicale a una vicenda in cui si sono uniti il mestiere dei compositori, una continua rielaborazione di materiali e, non ultima, una traccia sotterranea che non sempre ha svelato i nessi e le relativi concatenazioni.


L’operazione condotta da Coen prevede la connessione ormai consolidata tra una sezione ritmica attenta alle necessità formali del jazz e composta da Pietro Lussu, Marco Loddo e Luca Caponi e la front line costituita dai fiati del leader e dalla chitarra visionaria di Lutte Berg. La combinazione offerta dal quintetto permette di tenere conto delle tante implicazioni presenti nel titolo, programmatico e enunciativo, del disco.


Innanzitutto la fusione tra i musicisti: questa è la terza prova insieme sotto la denominazione Jewish Experience e il rapporto di Coen con la ritmica si era iniziato nei precedenti lavori di Atlante Sonoro, nel secondo dei quali Lutte Berg era apparso come ospite. E naturalmente a queste prove vanno aggiunte le reciproche collaborazioni in altri progetti. Questo per dire come il meccanismo proposto dal quintetto sia assolutamente fluido nel seguire le varie inflessioni e intenzioni del discorso intrapreso.


La scelta dei brani presenti nel disco, infatti, coglie momenti diversi di questo rapporto. Basta considerare ad esempio la storia di Leena from Palestina, con cui si conclude il disco: incisa nel 1920 da Eddie Cantor, cantante e attore di origine ebraica, e subito entrata nel repertorio di Nick La Rocca e dalla sua Original Dixieland Jazz Band. Una analoga trafila seguono diversi brani presenti nel lavoro e traghettati da Benny Goodman all’interno del repertorio della sua orchestra e quindi nel novero degli standard della swing era. Gabriele Coen, proseguendo il racconto compiuto con Musica Errante, riporta nelle note di copertina del disco queste ed altre storie legate alle vicende dei vari brani.


L’agilità del quintetto consente al leader di fare incontrare la musica e le suggestioni contenute in essa sia con la matrice originale che con la visione di un quintetto europeo e attuale. Si parte con il recupero dei titoli in lingua yiddish: un’operazione “esterna” quanto efficace a dare di nuovo il senso della storia. In questo modo And The Angels Sing torna ad essere Der Shtiler Bulgar, così come My Little Cousin ritorna Di Grine Kuzine e Joseph Joseph ridiventa Yosel, Yosel. Naturalmente, anche nell’interpretazione viene tolta la patina applicata in maniera “modernista” alle melodie per rimettere al centro la radice del brano: soprattutto l’incontro di clarinetto e chitarra fretless porta una atmosfera evocativa e capace di portare gli aspetti del primo dixieland e delle piccole orchestrine mitteleuropee.


D’altro canto, lo sguardo si posa sulla contemporaneità e sugli sviluppi sonori avvenuti nel corso del novecento e quindi troviamo i brani filtrati attraverso la lente di una interpretazione diversificata: tra le altre atmosfere, una ritmica drum’n’bass sotto la melodia di Bublitcki, la sintesi tra atmosfere yiddish e caraibiche in Mazal tov from Tobago, una tensione modale in Yiddish Mame. Ma, soprattutto, il lavoro di incastro e di dialogo all’interno del quintetto, i ruoli e le sonorità cercate da ognuno, rappresenta la chiave per entrare in profondità nelle pieghe delle varie tracce e dispiegarle secondo la propria voce. Così si sviluppa la versione articolata di Bei Mir Bist Du Schoen, sempre attenta al filo della melodia sia nella libera ed elegiaca introduzione, sia nell’esposizione sincopata del tema e nell’assolo di Coen, che nella swingante sezione affidata agli assolo di Berg e di Lussu.