Foto: la copertina del libro
Sisifo, la fatica della ricerca: la ricerca di Massimo Barbiero.
Edizioni del Faro – 2013
A Massimo Barbiero viene dedicato un libro (il quarto nell’ultimo decennio) quasi a voler celebrare il suo cinquantesimo compleanno avvenuto nel febbraio del 2013. L’anniversario personale segue a ruota il venticinquennale di Enten Eller, ricordato nel 2012 con il progetto orchestrale E(x)stinzione, sulle scene di Ivrea in due occasioni e ripreso in un doppio cd da Luigi Naro della Splasc(h). Il titolo del testo si riferisce all’atteggiamento ferocemente tenace verso la sua attività che contraddistingue il percussionista eporediese. Un musicista impegnato a rifuggire dai percorsi più agevoli, dalle scorciatoie, per giungere a produrre un qualcosa di rilevante, di significativo, malgrado le difficoltà della situazione culturale italiana. Come Sisifo, personaggio mitologico costretto da Giove a spingere un macigno fino alla sommità di un monte, per poi ripetere incessantemente la stessa operazione, così Barbiero tira avanti determinato per la sua strada i suoi progetti, saldo nelle sue convinzioni e indisponibile a compromessi di sorta. Per lui la musica è “Tutto o la maggior parte di tutto” e il jazz “è libertà”. Viste queste premesse si può comprendere la personalità, il carattere di un artista rigoroso e intransigente nei confronti di sé medesimo, in primis “Io mi sveglio sempre alle sette, a qualunque ora possa essere andato a dormire, la disciplina è tutto”. Non è meno accomodante rispetto alle istituzioni in generale “…In Italia nemmeno si intuisce quanti danni siano stati fatti da una classe dirigente inadeguata…” Anche riguardo al suo territorio e agli amministratori locali non le manda certo a dire “a Ivrea vi è un deserto culturale, un provincialismo da paesone…”
Il libro è strutturato da Michelone e Nissola seguendo quattro itinerari distinti. Nel primo, Un viaggio quasi solitario viene esaminata la produzione in solo o in duo dal 1997 al 2013. Nel secondo: Il leader dell’aut aut si indaga sui dischi di Enten eller. Nel terzo: Un celebre succo esotico è protagonista il gruppo Odwalla. Nel quarto: Il compagno di strada si tratta delle collaborazioni del batterista con i tanti colleghi-amici con cui ha diviso la responsabilità di alcune incisioni. Per ogni cd sono riportati stralci di recensione provenienti dalle più importanti riviste del settore o dal web. Queste citazioni sono precedute e seguite da considerazioni in tema o fuori argomento da parte del celebrato. L’artista non parla quasi mai di musica in senso stretto o tecnico. Sono quasi sempre riflessioni metalinguistiche. Oppure si dedica ad esporre le sue concezioni estetiche, le sue idee sulla musica afroamericana, sull’esistenza con gli annessi e i connessi del caso. Segue, poi, La storia lineare. In questo capitolo i tragitti prima illustrati si intersecano per dar vita ad un racconto cronologico delle varie tappe di una carriera già lunga e tutta in salita, per scelta di fondo, dove i rettilinei non sono neanche immaginati. Pure qui l’espressione delle argomentazioni di Massimo Barbiero, di sue opinioni a volte fulminanti, si alternano alle valutazione dei critici musicali. Il confronto è su piani diversi. È discordante nell’approccio, ma affascinante per il lettore che si trova davanti due livelli di analisi se non contrapposti non certo conseguenti.
Chiudono il testo due saggi di notevole spessore a firma di Franco Bergoglio e Davide Ielmini. Nel primo lo scrittore torinese smonta e ricompone l’excursus di Enten eller focalizzando l’attenzione sull’ultima fatica, la già menzionata E(x)stinzione. Dalla genesi, un’intuizione del leader del gruppo, alla sua evoluzione e stesura, con il contributo decisivo dello stesso Bergoglio per la parte testuale e di Alberto Mandarini per gli arrangiamenti della sezione archi. Il saggista piemontese mette in risalto il cuore dell’operazione: una riflessione dura sull’esistente che vuole porsi oltre la prospettiva della denuncia sociale per andare verso la poesia, il fatto artistico.
Le recensioni, molto numerose e concordanti nel merito, testimoniano l’attenzione ricevuta dal disco anche oltre i confini nazionali in tutto il 2012.
Davide Ielmini così scrive di Odwalla “Le percussioni non sono più elementi accessori ma coloristici, dialoganti, protagonisti assoluti…e ai quali va riconosciuta pari dignità con gli strumenti canonici…” Da questo punto fermo si parte per chiarire l’ intenzione di Massimo Barbiero di procedere in avanti, accompagnando questo assunto di base con la sua passione per l’aspetto scenografico e teatrale e per la contaminazione fra “Africa e occidente, charleston e congas….” Odwalla sono un ensemble da vedere e da ascoltare insieme. “Nel concerto…l’equilibrio fra il pubblico e gli strumentisti non è mai interrotto”. C’è un’osmosi emozionale dal palco alla platea e viceversa. Ielmini, nella sua dotta disamina, scava profondamente nelle passioni di Barbiero, la filosofia, la danza e si lancia in trattazioni concettose, con florilegio di citazioni intellettuali, in una prosa, però, del tutto accessibile.
La coda del testo è rappresentata da un’intervista sui rapporti con l’etichetta discografica Splasc(h), da cui si può ricavare questa dichiarazione illuminante di Massimo: “Non invio cd in pre-ascolto. Passo direttamente al master per andare in stampa. Ho libertà totale”.
Il libro è stato allestito in tempi piuttosto stretti. Si devono a questa fretta esecutiva, probabilmente, alcuni errori nell’attribuzione di alcune recensioni o l’imprecisione nell’indicare la fonte da cui viene ricavato qualche estratto. Purtuttavia occorre sottolineare la passione e la volontà di raccontare un personaggio importante del jazz italiano, strumentista, compositore e operatore culturale. Un uomo tutto di un pezzo per cui contano poco le mezze misure, gli accomodamenti, le concessioni forzate. Prender(lo) così o lasciare. Aut aut. Enten Eller (come il nome del suo quartetto), che significa proprio questo secondo la lingua di Kierkegard.
Di grande spessore sono le foto a corredo dei testi ad opera di Luca D’Agostino. Il fotografo del jazz, uno dei migliori nel ramo, ritrae i musicisti non solo nello sforzo creativo , ma pure in momenti precedenti o successivi all’esibizione davanti al pubblico, privilegiando il bianco e nero per scelta di fondo. E’ la estrinsecazione visiva del rito del concerto con i suoi momenti di tensione, di relax e di appagamento alla fine della gioiosa fatica.