My fest @ Auditorium Parco della Musica

Foto: da internet









My fest @ Auditorium Parco della Musica

Auditorium Parco della Musica, Roma

12 aprile: Meshell Ndegocello

13 aprile: Roy Paci Corleone

22 aprile: Franco D’Andrea Sextet

25 aprile: Vinicio Capossela


Per celebrare il decimo anno di attività, l’Auditorium Parco della Musica si regala il My Festival, il più importante progetto musicale varato alla fondazione Musica per Roma. Chiamata a dirigere ed organizzare l’evento che ha monopolizzato quasi interamente il cartellone di aprile, l’artista americana Patti Smith, che oltre alle sue perfomance con diversi progetti preparati per l’occasione, ha chiamato a completare il mosaico del festival altri artisti vicini per affinità culturali, includendo parallelamente eventi di cinema, letteratura, pittura e fotografia. All’interno della rassegna il 12 aprile il nuovo progetto della bassista Meshell Ndegeocello dedicato alla figura dell’indimenticata Nina Simone, nato dapprima come album e diventato presto tour mondiale. A capo di un quartetto dal forte sapore psichedelico, l’artista nera di nascita berlinese ma americana di adozione rivisita il repertorio della Simone, dai brani più noti a quelli più nascosti fino a quelli non suoi che più amava riproporre nei live, in maniera del tutto personale, rispettando comunque l’essenza degli originali. Una lunga ed intensa Sinnerman apre il concerto in cui viene subito fuori l’anima più rock del progetto, con uno strepitoso Deantoni Parks alla batteria a completare una ritmica da sogno. La Ndegeocello in verità quando canta si limita a tracciare con il basso le linee essenziali, lasciando assoluta libertà agli altri compagni del gruppo di colorare i brani con interventi minimali ma d’effetto. Purtroppo qualche problema di equalizzazione ne pregiudica il risultato facendo apparire il sound spesso ovattato e monocorde, salvato in qualche circostanza dal basso corposo della leader, che quando mette le mani sullo strumento fa davvero la differenza. La scaletta segue quella dei brani racchiusi nel disco con riusciti accenni al blues africano ed alla psichedelia degli anni settanta con la singolare voce della Ndegeocello che meglio non potrebbe interpretare la figura della Simone, con in conclusione una breve carrellata dei brani più noti, dalla Suzanne di Cohen fino a Revolution e all’immancabile Feeling Good proposta inevitabilmente come bis finale.


All’interno della stessa rassegna anche il nostro Vinicio Capossela che ripercorre un viaggio nel tempo alla riscoperta dei riti e paesaggi sonori comuni ad ogni piccolo centro del meridione degli anni cinquanta e sessanta, ossia quella musica che risuonava in ogni cerimonia nuziale fatta di polke, mazurke, valzer e tarantelle. Dopo una lunga presentazione in cui il cantautore spiega con sagacia ed ironia l’origine di tale progetto, ecco salire sul palco la Banda della posta di Calitri, anziani musicisti del paese di origine dei suoi genitori. Accompagnati dalle immagini d’epoca ed intervallati dai mille aneddoti che la banda si porta dietro, la musica per sposalizi va avanti indisturbata per più di due ore con il pubblico che si diletta in balli al limite tra il folclore ed il grottesco. Fortunatamente nella seconda parte c’è spazio anche per i brani di Capossela che giustamente delizia il pubblico accorso come sempre in massa per sentirlo in ogni suo più disparato progetto. Ecco che riparte un altro concerto, con il generoso cantautore accompagnato dalla banda che riprende alcune delle sue composizioni più romantiche, da Pena de l’alma a Con una rosa fino a Che coss’è l’amor, trasformando il tutto in una grande festa danzante tipica delle cerimonie di un’Italia che non c’è più.


Sempre nel mese di aprile, ma fuori dal festival, altri concerti altrettanto attesi completano il ricco cartellone. In primis la curiosità era per sestetto di Franco D’Andrea, che dopo aver sbancato ogni classifica dello storico Top Jazz indetto della rivista Musica Jazz, fa tappa a Roma per registrare il concerto che presto sarà disco per la Parco della Musica Records nell’ambito della rassegna Recording Studio. Il pianista sceglie di cimentarsi con il repertorio di quello che definisce uno dei suoi modelli, ossia il geniale Thelonious Monk, partendo dalle radici, da quel dixieland degli anni venti e trenta con cui anche lui da ragazzino aveva mosso i primi passi. Dopo questo breve incipit musicale ecco che fanno eco le memorabili composizioni di Monk tutte ormai arcinote e reinterpretate da ogni musicista di jazz di ogni latitudine, da Monk’s Mood a Misterioso, da I Mean You fino a Well, You Needn’t, qui riarrangiate per un sestetto di qualità in cui spiccano le pelli di Zeno De Rossi ed il trombone di un sempre più lanciato Mauro Ottolini. Ma la sensazione che si ha durante tutta l’esibizione è che i brani fatichino a prendere corpo risultando alla fine fiacchi e sfibrati, deboli nelle dinamiche e negli arrangiamenti, lasciando ai vari solisti il compito di tirare fuori dal cilindro qualcosa di originale, cosa che salvo rari momenti accade nonostante i nomi che compongono l’ensemble.


Di ben altro tono il nuovo progetto di Roy Paci “Corleone”, un mix di metal-punk e free jazz davvero travolgente. Composto da una ritmica dura composta da basso, chitarra elettrica e batteria da una parte, e da una sezione fiati fatta di tromba, sax contralto e baritono dall’altra, l’eclettico trombettista dà vita ad un concerto che emana energia da tutti i pori. L’impatto iniziale è subito travolgente e carico, con l’artista siciliano che detta stacchi, tempi e improvvisa in movenze che ricordano da vicino Lester Bowie e i suoi svariati progetti. La ritmica davvero incalzante lascia inizialmente spiazzati, ma ben presto, una volta entrati nel mood che richiama le atmosfere disegnate dai gruppi di John Zorn, si viene inevitabilmente rapiti dalla vitalità dei sei che finalmente fanno vedere qualcosa di nuovo in una miscela genuina e coraggiosa di sperimentazione e avanguardia difficilmente etichettabile, ma che funziona davvero bene soprattutto nella dimensione live.