JAZU: Jazz from Japan. Intervista. akiko

Foto: Kyosuke Irifune










Intervista a akiko


Recensione a Dark Eyes

Una personalità musicale curiosa e sfaccettata, unita ad una voce raffinata ed espressiva, fanno di akiko una delle top vocalist del Giappone. Nel corso degli anni la cantante ha saputo incarnare la concezione più moderna di cantante jazz attraverso dischi eterogenei, ma sempre fedeli allo spirito del genere. Nel suo ultimo lavoro, intitolato Dark Eyes, akiko si spinge alle radici del jazz regalandoci una sua personale e convincente reinterpretazione dello stile jazzistico più rappresentativo, quello di New Orleans.



Jazz Convention: Quando è avvenuto il tuo primo approccio con il canto e quali sono i tuoi ricordi a riguardo?


akiko: All’età di 19 anni, una sera nel bar in cui lavoravo si esibì un chitarrista. Quando suonò il brano Autumn Leaves, gli dissi: “Hey, io conosco questa canzone!”, al che lui replicò: “Davvero? Allora, canta con me!”. E così tutto ebbe inizio! Sino ad allora non mi ero dedicata tanto al canto, quindi non c’è molto da ricordare.



JC: Come hai scoperto il jazz?


a: Quando ero una teenager, avevo l’abitudine di frequentare party a tema rock’n’roll o jive, in cui c’erano DJ che suonavano vinili nei quali era possibile ascoltare cantanti di rock’n’roll che cantavano standards, in uno stile che all’epoca non sapevo essere jazz. Poi il chitarrista prima citato mi introdusse a dischi di vero jazz e da allora ho iniziato ad ascoltarlo.



JC: Quando hai realizzato che la musica e il canto potevano diventare una parte importante della tua vita?


a: Non c’è un momento specifico in cui ho realizzato questo. Durante il periodo universitario venivo pagata per cantare e la mia carriera artistica non è altro che la naturale evoluzione di un percorso artistico iniziato allora. In qualche modo sono poi riuscita a farne il mio lavoro. Oggi posso dire di avercela fatta, domani si vedrà…



JC: Girl Talk, Il tuo disco d’esordio del 2001, è stato il primo nel quale una importante major come la Verve abbia deciso di mettere sotto contratto una cantante giapponese. Come hai raggiunto un risultato così importante già dal tuo esordio?


a: Semplicemente dall’agenzia per la quale lavoravo, la mia demo è passata alla Universal Music e da lì al meeting internazionale della Verve.



JC: Il tuo disco del 2003, akiko’s Holiday, registrato a New York, è il tuo personale tributo alla leggendaria cantante Billie Holiday. Quanto ha influenzato il tuo modo di cantare l’ascolto di questa straordinaria interprete e in che modo, secondo te, la Holiday ha cambiato il modo tradizionale di cantare il jazz?


a: Rispetto profondamente Billie Holiday per aver saputo distinguersi con tanta originalità. Non ho mai voluto imitarla, piuttosto ho sempre cercato un mio stile, proprio come lei ha fatto.



JC: Nonostante la cultura giapponese e quella brasiliana siano così diverse, stili come la Bossa Nova, nata in Brasile ma influenzata dal jazz, sono sempre stati popolari in Giappone. Nel 2007 sei volata a Rio de Janeiro per incidere un disco intitolato Vida, una raccolta di standards brasiliani in cui è presente anche un brano cantato in duo con l’eclettico musicista carioca Arto Lindsay. Cosa puoi raccontarci della tua esperienza brasiliana e quali sono, secondo te, quelle affinità tra musica giapponese e brasiliana che hanno favorito la popolarità di quest’ultima in Giappone?


a: La mia esperienza in Brasile è stata fruttuosa e difficile allo stesso tempo. Fruttuosa, perché registrare con dei musicisti brasiliani è stato per me completamente nuovo e ne è venuto fuori qualcosa di meraviglioso. Difficile, perché le tecniche di registrazione utilizzate in Brasile sono molto diverse da quelle abitualmente adottate in Giappone ed è stato un po’ complicato adattarsi. A parte questo, i musicisti brasiliani hanno dimostrato un groove formidabile ed è stata un’esperienza rivitalizzante. Per quanto riguarda la seconda domanda, credo che la musica brasiliana sia divenuta davvero popolare in Giappone da circa una decina d’anni, dopo che i locali più frequentati di Tokyo hanno iniziato ad utilizzare la musica brasiliana come musica elegante con la quale potersi rilassare o adatta ad accompagnare una pausa caffè. Penso inoltre che i giapponesi amino quel sentimento di “saudade” così presente in essa.



JC: What’s jazz – STYLE-” e “What’s jazz – SPIRIT-“, entrambi pubblicati nel 2008, fotografano in musica i due aspetti della tua moderna visione del jazz. “STYLE” si concentra sulle forme più tradizionali di jazz; mentre “SPIRIT” sulle sue possibili evoluzioni future. Il tuo omonimo brano originale “What’s jazz”, contenuto in “STYLE”, rappresenta la tua personale riflessione su quell’annoso dilemma tra vecchio e nuovo che il musicista di jazz affronta ogni giorno. Tuttavia in questi anni sei riuscita a mettere insieme gli amanti del jazz più classico e le generazioni più recenti di ascoltatori creando una fusione tra vecchie e nuove influenze. Qual è la tua opinione sul jazz attuale e sul suo sviluppo futuro?


a: Ci sono tanti musicisti come Robert Glasper o il gruppo Jazzanova, tanto per citarne alcuni, che sperimentano e importano nuovi grooves e sonorità nello stile del jazz. Detto questo, una rivoluzione come quella attuata da Miles Davis sarebbe molto difficile oggi, perché l’evoluzione fondamentale nello stile del jazz è già avvenuta nella sua epoca. Oggi credo sia lo spirito a contare di più. Se lo spirito è quello del jazz, allora che si tratti di vecchio o nuovo, fa poca differenza. Questa è ed è sempre stata la mia opinione a riguardo.



JC: Sin dal tuo disco d’esordio Girl Talk, realizzato con il noto produttore francese Henry Renaud, hai collaborato con alcuni dei più importanti produttori della scena musicale mondiale: i giapponesi Tatsuo Sunaga, Yukihiro Fukutomi e Hajime Yoshizawa; l’italiano Nicola Conte, il norvegese Bugge Wesseltoft e molti altri, rivelando come la costante presenza di un bravo produttore, che ti affiancasse nei tuoi progetti, sia stata fondamentale affinchè il tuo stile si andasse a definire lungo il corso degli anni. Ci sono altri produttori con i quali ti piacerebbe collaborare?


a: Solo per citarne alcuni: Moritz von Oswald, Matthew Herbert, Mono Fontana.



JC: Words (2010) è stato registrato con il famoso musicista e produttore norvegese Bugge Wesseltoft, uno degli artefici dietro quelle nuove sonorità tra jazz ed elettronica provenienti dalla Scandinavia. In questo disco Wesseltoft ti ha accompagnato con il solo l’ausilio di tastiere e pianoforte su tuoi brani originali ed alcuni standards. Cosa ti affascina maggiormente di quella estetica musicale così introspettiva, minimalista e pacata, tipica della moderna scena scandinava, e in che modo tale approccio ha influito sulla tua musica?


a: Anche la cultura giapponese è di per sé introspettiva, minimalista e quieta e questo probabilmente è il motivo per il quale ho voluto registrare con Bugge. Non credo che la sua musica abbia avuto alcuna influenza sulla mia, credo invece che entrambi siamo riusciti a condividere la stessa musica in maniera del tutto naturale.



JC: Nel 2012 è ricorso il 50mo anniversario dall’uscita del primo disco dei Beatles. Hai festeggiato la band inglese, icona per eccellenza del pop mondiale, con la pubblicazione di un album che raccoglie alcune sue cover eseguite attraverso il tuo stile personale. Qual è secondo te il messaggio universale contenuto nelle canzoni dei Beatles e qual è la tua preferita tra esse?


a: E’ possibile riconoscere il loro messaggio universale attraverso i testi scritti da John Lennon, soprattutto in quelli dei suoi ultimi anni, oltre a poter percepire in essi il loro amore per la musica. Tra le mie canzoni preferite ci sono: Lady Madonna, Come Together, Get Back, Penny Lane, Hey Jude, All You Need is Love e molte altre.



JC: Il tuo interesse per la moda è un altro degli aspetti importanti dello “stile akiko”. Quali sono le tue attività più recenti in questo ambito?


a: Collaborerò con il marchio di un mio amico, chiamato N_DRESS. Amo gli abiti in stile classico ed insieme realizzeremo un tessuto in stile vintage ed alcune stampe.



JC: Il tuo ultimo lavoro Dark Eyes è un ulteriore passo in avanti nel tuo viaggio attraverso il jazz. Com’è nata l’idea di incidere a New Orleans? Quali emozioni ti ha dato essere nella culla del jazz e poter suonare con musicisti nativi di quella città?


a: E’ nata semplicemente come un’idea. Ho pensato che sarebbe stato divertente. New Orleans è senza alcun dubbio la città della musica. Sia i musicisti che il pubblico amano la musica. I musicisti con i quali ho registrato non erano sofisticati come quelli di New York o Los Angeles, ma hanno passione ed amore per la musica ed il risultato sonoro, intenso e caldo, è lì a testimoniarlo. C’è un sapore un po’ più “rustico” nella musica di New Orleans ed è qualcosa che mi è piaciuto sentire.



JC: It’s Just the Blues è un Blues originale scritto da te e presente in Dark Eyes. Il Blues, un sentimento musicale un tempo ritenuto prerogativa esclusiva degli afroamericani, oggi si è diffuso in tutto il mondo prendendo diverse forme. Cos’è il Blues per te? Cosa ti procura un emozione simile a quella del Blues? Esiste un particolare tipo di Blues giapponese?


a: Blues, soul, jazz e rock sono per me la stessa cosa. Il Blues è come la vita. Esiste qualcosa di simile al Blues qui in Giappone e viene chiamato enka. Ci sono tanti canti popolari giapponesi chiamati min’you (folk song) che, a mio avviso, hanno dato origine al genere enka. Sebbene questo genere oggi non sia più così popolare, rimane qualcosa al quale tutti i giapponesi si relazionano nel profondo del cuore. Ascoltandolo vi accorgereste della sensibilità Blues giapponese presente in esso.



JC: Dalle session di New Orleans proviene anche Swingy, Swingy, il mini disc che ha preceduto l’uscita di Dark Eyes, nel quale collabori con il duo canoro Chai Chii Sisters, presente anche nel tuo ultimo lavoro. Cosa puoi raccontarci della tua collaborazione con queste cantanti che si esibiscono attraverso il classico stile vocale del doo wop?


a: Ascolto questo genere da quando ero una teenager ed è quello a cui sono più interessata adesso.



JC: Su Swingy, Swingy e Dark Eyes, brani come East of the Sun, I like to riff e Love me or leave me sono cantati in giapponese. Come mai hai sentito il bisogno di cantare questi vecchi standards americani nella tua lingua madre?


a: Per diverso tempo non mi è piaciuto cantare nella mia lingua. Tuttavia negli ultimi tempi ho sentito il bisogno di farlo, in particolare dopo che il terribile tsunami dell’11 marzo 2011 ha colpito il mio paese.



JC: Dopo aver esplorato jazz, bossa nova, groove ed altri stili, cosa c’è nei tuoi prossimi progetti musicali?


a: Non dimentichiamo la musica classica. L’ho sempre amata ed ultimamente mi capita di ascoltarla molto spesso insieme a quella “ambient”. Questo, però, non vuol dire che il mio prossimo progetto sarà incentrato sulla musica classica. Quindi, non vi resta che restare sintonizzati ed attendere.