Yuri Goloubev – Titanic for a Bike

Yuri Goloubev - Titanic for a Bike

Caligola Records – 2145 – 2012




Yuri Golubev: contrabbasso

Claudio Filippini: pianoforte

Asaf Sirkis: batteria

Julian Argüelles: sax soprano





Al di là dei nomi esogeni, trattiamo di un jazz fortemente made in Italy, essendo ormai stanziale l’attività del contrabbassista russo sulle nostre scene e, rodata da una prolungata partnership, la sua diade ritmica con Asaf Sirkis (regolare sulla scena londinese oltre che nel nativo Israele, e anch’egli ben attivo da noi) ha intessuto una nuova triangolazione, dopo Glauco Venier (e trovati tempo e occasione di giocare al rilancio insieme a Gwylim Simcock), con Claudio Filippini.


Numerosi i momenti di particolare buon esito nel presente Titanic for a Bike, alla cui propulsione ritmica contribuisce l’elastica e puntuale macchina percussiva di un Sirkis in tonica forma, graziato da forze jazz-rock e opportuna coscienza jazz, di estesa e sicura scansione e particolarmente sinergico con il contrabbasso in forma ritmico-melodica aperta, e opportunamente articolata lungo la progressione del diversificato album, positivamente tratteggiato dalla fraseologia pianistica, chiaroscurale e d’eloquenza misurata e puntuale, di Filippini che sulla tastiera imprime asciutto vigore ma anche attinge nei più brillanti passaggi a squillante vocalità, trovando comunque un esposto co-protagonista proprio nel titolare Goloubev, che assume grande e slanciato corpo para-solistico (Bill Gates amongst us, Don’t blame me) e attore unico dell’episodio in solo (l’eponima Titanic for a Bike), tratteggiato da arcate e linee melodiche che non rifuggono il retaggio del funzionale background classicista e la connessa e strutturata cantabilità.


Sull’altrimenti assai convincente eloquenza del piano trio, qualche ombra e pruderie formale (si potrebbe imputare meno pertinenza e “veracità” drammatiche) circa la parte attinente alle uscite sopranistiche di Argüelles, almeno sulle prime, che alleggeriscono la trama del discorso conferendovi una leziosità jazzy e qualche caduta di tensione ma la duttilità di fraseggio e il senso di ruolo e misura non gli fanno mancare uscite più sobrie e ad effetto (Bagatelle) scongiurando il marchio di gratuità.


Imbastito su una successione di tracks di mood controllato che privilegia sentori e tinte di brume autunnali, ma con svolgimento capace di vivacizzarsi in solarità (Elmau Revisited, Bill Gates amongst us), l’intesa e i validi esiti del trio conferiscono apprezzabile corpo e sostanziale completezza ad una prova non soltanto di silver-standard della ben trovata band, segnandone più che un punto di ragione d’esistenza e credibilità.