Abeat Records – AB JZ 111 – 2012
Ben Allison: contrabbasso
Michael Blake: sax tenore, sax soprano
Rudy Royston: batteria
Un insieme non troppo ineffabile anzi percettivamente nitido di armonici, combinazioni timbriche e senso dimensionale dichiara senza troppe possibilità d’equivoco la schietta matrice statunitense dei materiali qui esposti; la titolante Union Square è poi di suo un “must” dei crocevia dei frequentatori del mitologico Greenwich Village, e contestuale intersezione d’istanze e filoni d’interesse.
Carriere piuttosto indipendenti per tre giovani leoni adulti della scena USA del jazz, dei quali colpirà l’estremo agio in esposizione delle trovate solistiche e nello sviluppo del funzionale e felice interplay: controllata, comunque brillante effervescenza del drumming “old-school” di Rudy Royston, piuttosto impeccabile nel sostenere con energia lo sviluppo melodico ed enfatizzare i salti di tempo, complicandosi il gioco con le figurazioni ellittiche e talvolta iperboliche dell’inventivo contrabbasso di Ben Allison, che s’imprime nel lungo periodo dell’album una fisionomia di plastico interesse, e la triangolazione perviene a dinamico compimento con la voce sassofonistica duttile, autorevole, sapida di Michael Blake che conferisce alla linea solistica voce sfaccettata e, senza eccessi che stonerebbero nell’accorto contesto, tarando il corpo acustico tra presenza e sensibilità, senso del dramma e gioco di sottrazione.
Ripartizione degli spazi compositivi fra i tre, ponendo a momento centrale l’ellingtoniana Wig Wise, giocata in sagace austerità, toccando luminosi momenti confessionali quale Compassion, dinamismo asciutto in Angry Angus, tratteggi ammiccanti in Lucky Man, incontro di collisioni urbane e ritmiche del profondo in Run Southern Boy, non mancando l’epilogo “politico” in Freedom Square, di tensione febbrile e cadenzata drammaticità, per un album che trova già una memorabile apertura nella strutturata Strays.
Spogliandosi delle (pur all’occasione benvenute) tendenze avanguardiste e multimediali attivamente coltivate dai tre, questa band si palesa non soltanto di mano felice nell’infondere vita e alimentare vitalità a sculture-composizioni accessibilmente conformate, ma anche responsabilmente forte nel non ambire a rivoltare l’insieme delle tradizionali forme del jazz, e dello stesso captando la sostanza almeno in termini di vigile comunicativa.