Abeat Records – ABJZ 118 – 2013
Alessio Menconi: chitarra
Alberto Gurrisi: organo Hammond
Alessandro Minetto: batteria
Affrontare il repertorio di Miles Davis significa in qualche maniera ripercorrere la storia del jazz e, ancor più, sviscerarne il periodo di maggiore impulso e i cambiamenti proposti in generale dall’evoluzione storica e in particolare dalle intuizioni del trombettista. Alessio Menconi si cimenta in questa impresa con il trio formiato da chitarra, organo Hammond e batteria, una formazione con un suo linguaggio definito e con una storia ben caratterizzata dalle interpretazioni di personaggi dal grande spessore artistico.
Sketches of Miles diventa la somma di queste due esplorazioni. Un lavoro fluido, giocato sul dialogo costante di organo e chitarra, sugli incroci agili delle linee melodiche e sulla necessaria disposizione all’accompagnamento di tutti e tre i protagonisti – vale a dire Alberto Gurrisi all’organo Hammond e Alessandro Minetto alla batteria oltre al già citato Menconi. Allo stesso tempo, il filo del discorso si sviluppa all’interno del repertorio di Davis. Si parte da Four e In Your Own Sweet Way, composta da Dave Brubeck, presenti in Working with the Miles Davis Quintet, si passa per un ballad di Kurt, Weill My Ship, per affrontare Miles Ahead, mentre Kind of Blue è rappresentato da Blue in green, brano firmato Davis, ma al quale ha quanto meno contribuito Bill Evans. Sei brani, infine, sono ripresi dalle registrazioni del Secondo Quintetto, quello con Shorter, Hancock, Carter e Williams: 81, Gingerbread boy, Fall, ESP, Iris, The Sorcerer. Quindi la scelta di guardare all'”effetto Miles” più che al compositore Davis: perchè se è vero che molti brani sono stati composti da altri musicisti – Jimmy Heath per Gingerbread boy, Shorter per Fall e Iris, Hancock per The Sorcerer, oltre ai brani già citati sopra – al centro dell’attenzione si pone la capacità del trombettista di evocare, suscitare, stimolare e trovare nuove strade plasmando e utilizzando le intenzioni creative dei suoi collaboratori e la forza presente nei brani e non rivelata a pieno dagli esecutori che li avevano affrontati in precedenza.
Il senso delle due esplorazioni viene evidenziato dalla dimensione elettrica e suggestiva delle sonorità del trio. Menconi, Gurrisi e Minetto passano con agilità dalle fondamenta mainstream di In Your Own Sweet Way alle escursioni modali e all’atteggiamento rigoroso delle composizioni di Shorter, senza tralasciare le possibili derive funky e gli evocativi richiami dell’esperienza elettrica del Miles di Bitches Brew e In a silent way e a tanti altri piccoli elementi davisiani che vengono messi in luce nel corso delle tracce. Allo stesso tempo, cosa forse più significativa nell’ordine di dare vita ad un lavoro che non si limita ad erigere un tribuito al monumento Miles, il trio mette a fuoco la propria voce e la applica a questi che sono divenuti standard a tutti gli effetti, una sezione importante del vocabolario comune ai jazzisti. Il trio si muove con leggerezza e dispone una base sempre efficace per le improvvisazioni del solista di turno. Se il punto di partenza è Miles, l’obiettivo traccia dopo traccia è quello di cercare la quadratura della formazione per dare vita a un’interpretazione presente del repertorio, e mirata alle specificità del trio e allo stile dei singoli.