Foto: Alessandro Riva – Courtesy: Nau Music Company, Milano
Gianni Barone e NAU records. Una possible strada verso la musica dell’oggi.
La NAU Records è un’etichetta discografica “anomala” nel panorama musicale italiano. Il suo atteggiamento verso la musica non si limita all’esclusiva produzione e promozione del prodotto discografica ma va oltre questo aspetto interessandosi coraggiosamente e globalmente delle diverse sfaccettature del business. Non è poco per una label sorta qualche anno fa e quindi relativamente giovane. La mission è quella di produrre giovani musicisti agli esordi discografici senza rinchiuderli nel recinto di categorie musicali ben definite, ma lasciandoli liberi di produrre musica improvvisata e contemporanea. Dunque, è la creatività la costante, il carburante, che alimenta l’attività della Nau, e sono i giovani artisti, quelli con progetti innovativi, che abbracciano un contemporaneo in perenne movimento, ad essere i prescelti per una sfida che richiede rigore e coerenza d’intenti. Gianni Barone, intraprendente fondatore della NAU Records, con ammirevole dedizione sta realizzando un progetto che sicuramente lo porterà lontano. Allora, chi meglio di lui potrà raccontarci una sfida così affascinante e coraggiosa.
Jazz Convention: Gianni Barone, come nasce la casa discografica NAU Records? Qual è l’idea di partenza?
GB:La casa discografica l’ho fondata all’indomani di una produzione che feci nel 2010 a Parigi: un progetto pluridisciplinare (musica + video installazione) avente come oggetto l’opera artistica del compositore lirico Francesco Cilea. Da quell’esperienza si consolidò l’idea di dare vita ad una etichetta discografica con l’obiettivo di produrre progetti di giovani autori. Così, nel 2011, nacque la NAU Records.
JC:Quando hai messo in piedi la NAU sapevi quali musiche produrre e incidere? O gli spunti, le idee, sono venuti dopo, mentre si costruiva il progetto?
GB:La mia preferenza si orienta sempre verso la musica improvvisata. Chiaramente ricerco nella musica un carattere e un’estetica contemporanei, attuali, qualcosa che possa stupirmi. Il nome stesso NAU non è altro che una traslitterazione del termine inglese now ovvero adesso. Come produttore mi interessa l’attualità, culturalmente preferisco guardare alla musica del presente cercando di documentarla e “interpretarla”. La musica improvvisata che produco e che ascolto è spesso contaminata e la stessa mi deve stimolare intellettualmente; non tutta la musica di oggi infatti, a mio avviso, ha senso che sia documentata. Questo modo di operare ci ha portato a selezionare con molta cura i progetti che produciamo.
JC:Quale iter seguite per le produzioni?
GB:Seguiamo l’intero processo produttivo finanziandolo in toto. Probabilmente siamo tra i pochi, non solo in Italia, che ancora operano così. Insomma non siamo “stampatori” ma veri produttori-editori. Malgrado le difficoltà del momento e le numerose richieste di stampa che arrivano e che potrebbero rappresentare guadagni sicuri, preferiamo comunque agire così.
JC:Qual è il modello di business della NAU?
GB:La NAU è un progetto integrato. Ogni produzione non è fine a se stessa ma segue un piano di sviluppo ed integrazione specifico. Per quanto sia ancora una struttura giovanissima, ancora da sviluppare, la NAU si divide in quattro dipartimenti, che in realtà sono interdipendenti. Vi è la label che si occupa delle produzioni discografiche, l’area dedicata al management che si occupa della promozione e in parte del booking dei musicisti del nostro roster, vi è quindi l’area pictures dedicata alle produzioni video che realizziamo per noi e per terzi; infine abbiamo l’area events, dove la NAU produce eventi e opera per conto proprio e raramente per terzi.
JC:I live per la promozione della musica sono nel sistema attuale fondamentali. Cosa avete prodotto in questo ultimo anno?
GB:Abbiamo operato nelle due città più importanti per la scena jazzistica italiana: Roma e Milano, producendo due rassegne che, pur essendo molto diverse, hanno avuto un obbiettivo comune: promuovere una nuova generazione di musicisti e di pubblico; cose di cui il jazz italiano ha molto bisogno. A Roma in associazione con il Teatro della Dodicesima abbiamo realizzato FRIDAY SOUNDS GOOD con protagonisti giovani musicisti romani che hanno presentato un progetto originale; mentre a Milano abbiamo ideato e prodotto JAZZ INDIEHUB in collaborazione con INDIEHUB fondata da Andrea Dolcino, un’infrastruttura assolutamente unica nel panorama musicale europeo: studio di registrazione e area coworking dove i vari attori del sistema musicale hanno la possibilità di interagire e creare plusvalore. La rassegna nata come house concerts proseguirà nei prossimi mesi.
JC:Dove trovi i musicisti? Quali sono i luoghi dello scouting? Vi contattano loro?
GB: Noi facciamo scounting nel vero senso della parola. Ascolto molto, seleziono, e “giro” alla ricerca di talenti in Italia e all’estero. Capita anche che alcuni critici che stimo particolarmente mi segnalino dei musicisti validi. Non ti nascondo che riceviamo tantissima musica, spesso sono progetti molto interessanti che si discostano totalmente dalle “tradizionali” scelte editoriali fatte dalla maggior parte delle etichette discografiche di settore. Secondo me, questa vitalità testimonia che la musica è più viva che mai e che molto sta cambiando.
JC:Nel 2013 la NAU produrrà e pubblicherà quattro dischi…
GB:I quattro dischi di quest’anno hanno caratteri assolutamente diversi. Il primo è già in distribuzione ed è Forward l’opera prima di Gabriele Buonasorte, straordinario sassofonista tra i più originali della “young generation”. A novembre sarà rilasciato Unfold degli Slanting Dots, un trio il cui leader è Luca Perciballi, talentuoso giovane chitarrista che si divide tra l’Olanda e l’Italia. Una produzione questa, con un forte impatto sonoro che accosta gli esperimenti post-rock di matrice canterburiana alle innovazioni degli improvvisatori della scena downtown newyorkese. A febbraio 2014 sarà la volta di Outside the Cave di Luca Pietropaoli, un trombettista e polistrumentista talentuoso che manipola l’elettronica con una tale naturalezza da farla diventare essa stessa strumento musicale, un progetto in cui Luca è il protagonista assoluto essendo un “solo”. L’uscita di febbraio sarà preceduta dall’EP in versione digitale che sarà rilasciato a metà luglio. La seconda pubblicazione del 2014, prevista ad aprile, sarà The Beginning del duo Electric Posh, ovvero il chitarrista Luca Nostro e Luca Pietropaoli. Seguirà What do you think? degli Airfinger, band nata in seno alla NAU e il cui leader è il giovane pianista Luigi Di Chiappari, un progetto nato con l’obiettivo di indagare le possibili convergenze tra il suono acustico degli strumenti e l’elettronica. Infine il 2014 vedrà l’uscita del primo progetto della collana Solitarie pubblicata in vinile.
JC:Cosa ti affascina del tuo lavoro?
GB:Dare vita a qualcosa di nuovo o almeno provarci. Mi affascina lavorare in team, motivarlo fino a raggiungere l’obiettivo. E poi produrre le cose che a me piacciono, senza alcun tipo di preclusione. Penso che oggi sia facile definire jazz una certa musica, o forse troppa musica è definita jazz. La cosa certa è che trovo oggi assurdo suonare il jazz come si faceva appena dieci anni fa, perché la musica si evolve come l’uomo, la cultura e la società. L’evoluzione del linguaggio è una cosa naturale ma non scontata, questo aspetto lo trovo irresistibile. Per questo noi siamo qui, per documentare il nuovo e stimolarne la crescita.