Cristiano Arcelli – Brooks

Cristiano Arcelli - Brooks

Auand – AU9031 – 2013




Cristiano Arcelli: sax contralto

Federico Casagrande: chitarra

Marcello Giannini: chitarra

Zeno De Rossi: batteria

Cristina Zavalloni: voce





Cristiano Arcelli, per questo omaggio a Louise Brooks, accanto al suo sax di spinta energetica e di tensione ha voluto due chitarre elettriche di timbro aspro, duro e una batteria ruvidamente impegnata su tempi e ritmi di un rock sporco e selvaggio. Così ha confezionato un disco molto lontano dalle musiche tipiche del periodo storico, la prima metà del novecento, in cui ha vissuto la diva del cinema muto. Un’attrice sottostimata, rispetto al suo carisma, al suo magnetismo, come sostengono autorevoli critici cinematografici. La musica del cd si pone, invece, nell’ambito di un jazz inquinato profondamente da inflessioni punk della più bella (infetta) acqua. A dire il vero non mancano squarci lirici e momenti di pausa e di ripensamento. Il sound complessivo è, però, di questa fattura, in prevalenza pesante e impuro.


Il dialogo fra Marcello Giannini e Federico Casagrande è, a conti fatti, uno dei punti di forza dell’album. I due alternano i ruoli fra ritmica e solista e vanno giù decisi con chitarrate contraddistinte da suoni distorti e crudi o ripiegano, a volte, eccezionalmente, su toni caldi e pastosi. Cristiano Arcelli prende quanto succede accanto a lui come base di un trampolino di lancio per assoli che partono piano, tranquilli per arrivare in crescendo al vertice dell’eccitazione. È fondamentale l’apporto di Zeno De Rossi in tutto l’album. Non dà un colpo fuori squadra e accompagna trovando sempre la soluzione meno ovvia fra le altre possibili, con la sua batteria. I brani migliori sono Elison Parade, dove Cristina Zavalloni, ospite di prestigio in un solo pezzo, accarezza, blandisce le parole con una voce strumentale volutamente uniforme, ma tanto espressiva. Si fa apprezzare pure The City Gone Wild per il contrasto fra parti hard core e altre meno estreme e violente. Tutto, però, all’interno di un contesto acceso e surriscaldato.


Brooks, in sintesi, è un disco progettuale, curato nella strumentazione e nella messa in opera, ma che custodisce la freschezza della realizzazione all’insegna del “buona la prima”. L’incisione, infatti, sembra nascere dall’intenzione di catturare in presa diretta l’esecuzione e le relative improvvisazioni sui temi del sassofonista perugino. È come se i metri di pellicola a disposizione del regista fossero appena sufficienti per consentire la conclusione di un film. E come colonna sonora visionaria e impudente del ricordo di un’artista entrata nel mito della cinematografia mondiale, questo tipo di scelte estetiche pagano e appagano certamente.