Bee Jazz – BEE 056 – 2012 (edizione in CD)
Qilin Records – LC 27129 – 2012 (edizione in vinile)
Stefan Rusconi: pianoforte, piano preparato, voce, space echo
Fabian Gisler: contrabbasso, distorsioni-feedback, elettroniche, voce
Claudio Strüby: batteria, percussioni, nastri, voce
Fred Frith: chitarra (in Alice in the Sky)
Con giovanile, e alquanto auto-promozionale baldanza, i tre non esitano a definirsi confratelli del forzatamente disciolto trio di Esbjorn Svensson, ma un breve colpo d’occhio (e un’attenta puntata d’orecchio) al giovane trio elvetico chiarirà come nemmeno in questo caso si tratti di un fenomeno last-minute o ancor meno di un prodotto d’improntitudine.
Formatisi tra le native Basilea e la quasi inevitabile Zurigo, rispettivamente il bassista-effettista Fabian Gisler, il batterista Claudio Struby e il tastierista Stefan Rusconi, oltre ad una fitta agenda concertistica internazionale (che li ha visti anche a Milano giusto in questi giorni) sono giunti a licenziare il quinto album infatti (a seguire Scenes & Sceneries, Stop & Go, One up down left right e It’s a sonic Life), e il recentissimo Revolution ha a sua volta una doppia vita almeno in termini di supporto, essendo l’elegante versione in vinile provvista di grafica e scaletta piuttosto differenti.
Attenendoci comunque alla sequenza in CD, apertura in piena solarità con gli umori positivi del mattino nel “fischiettante” Tempelhof, e il minimal-drama di Alice in the Sky, introdotto dalle risonanti, flottanti soluzioni Gamelan, s’innerva delle vigorie della vissuta, nervosa chitarra di Fred Frith, intessuta di un suo fascinoso colorismo; le riflessive dissonanze ed esile baldanza di Milk si oppongono, in Kaonashi, a reminiscenze fortemente E.S.T. bilanciate da differenti intendimenti ritmici, le urticanti, ondulanti “pesantezze” della centrale Berlin Blues trovano antitesi nelle effervescenze melodiche di Massage the History again.
Album stilisticamente articolato, Revolution condensa grande attenzione verso le architetture della pop-song importando del jazz il più attuale senso del cross-over; prescindendo dall’ambizione di colmare i vuoti dello Svensson-Öström-Berglund trio (nella cui eterogenea lizza s’incrociano il Bollani Danish trio, Espen Eriksen e quant’altri fantasisti) sembra vada delineandosi con questo gruppo aperto di performer una sorta di “scuderia” in cui potremmo accomunare stilemi ormai definiti, estesi dalle soluzioni modulari dei conterranei Ronin ai britannici Portico Quartet: difficili ignorare a priori le assonanze (palesi, peraltro, con i dichiarati modelli),ma il lavoro dei Rusconi esita comunque in un aggiornato playground, palesemente temperato dalle sdoganabili elettroacustiche post-fusion, concessivo nella forma ma che non abdica alle attenzioni creative.
Link di riferimento: rusconi.bandcamp.com.