Music Center – BA323 CD – 2012
Ferdinando Faraò: direzione
Marco Fior, Diego Ruvidotti, Giovanni Sansone: tromba, flicorno
Francesca Petrolo: trombone
Felice Clemente: clarinetto, sax soprano
Paolo Profeti: sax alto
Filippo Cozzi, Germano Zenga: sax tenore
Rudi Manzoli: sax tenore, sax baritono
Simone Mauri: clarinetto basso
Carlo Nicita: flauti
Francesco Forges: voce, flauto
Paolo Botti: viola
Carmelo Patti: violino
Beppe Barbera: piano
Massimo Giuntoli: pianoforte, sintetizzatore
Giampiero Spina: chitarra elettrica
Gianluca Alberti: contrabbasso
Stefano Lecchi: batteria
Lorenzo Gasperoni: percussioni
Naima Faraò, Giusy Lupis, Serena Ferrara, Filippo Pascuzzi: voce
Phil Miller: chitarra elettrica, chitarra acustica
Never Odd or Even è un disco di forte impatto. Racconta una musica sottaciuta nel mondo ufficiale del jazz, passata di soppiatto forse perché offuscata da giganti che folleggiavano durante gli anni sessanta/settanta, periodo in cui Westbrook produceva idee nelle terre d’Albione, divertendosi a mischiare il jazz con il rock, il folk, il musical britannico, e il progressive.
Il batterista Ferdinando Faraò, questa volta nei panni di direttore e non di percussionista, ha messo insieme una consistente formazione, Artchipel Orchestra, fatta di musicisti di esperienza e di affermata professionalità per illustrare in maniera vivida, energica e accurata negli arrangiamenti una stagione musicale poco “trattata” in Italia ma che in Inghilterra prese il nome, tra l’altro, di Scuola di Canterbury. Jonathan Coe tesse le lodi, attraverso il suo intervento scritto racchiuso nel folder del disco, di quella scuola e del risultato raggiunto con Never Odd or Even.
Il cd si apre con tre composizioni di Mike e Kate Westbrook. Sono brani recenti, 1998, e fanno parte di un loro lavoro intitolato Platterback, una sorta di musical in cui si incontrano jazz, folk, pop e rock e dove si cantano le vicende di un uomo e una donna su un treno nella città di Platterback. Faraò usa le composizioni più incisive del disco – Riding Down to Platterback, Strafe Me With Friendly Fire e Love Letter from Stiltsville – e gli da nuova vita, ne attualizza il messaggio attraverso un intreccio ben ingegnato di suoni e di colori, esaltando la timbrica e il dialogo tra voci e strumenti. I fiati, poi, svolgono un ruolo fondamentale nello spingere in avanti la musica ed enfatizzare la drammaticità del canto. Dopo i Westbrook tocca a due composizioni di quel genio che fu Alan Gowen. Il compianto tastierista e compositore, agitatore della scena di Canterbury, ha inventato due gioiellini intitolati Shining Water e Arriving Twice.
Faraò ci restituisce due versioni in linea con l’idea di Gowen, rispettose della trama originaria ma riedificate attraverso un’operazione di grande respiro, ricche di interventi solistici, cariche di sfumature e impreziosite dagli spunti alla chitarra di Phil Miller e dalle puntuali notazioni di Massimo Giuntoli alle tastiere. Nella scaletta di Never Odd or Even compare anche un altro protagonista di quel periodo, il chitarrista e compositore Fred Frith con il suo Moeris Dancing. Anche qui Faraò tiene la barra dritta e non si discosta dal cuore del progetto: riprodurre lo spirito del tempo attraverso una modernità espressiva vivida d’immagini e contributi sonori. Lo stesso si può dire del brano seguente scritto da Dave Stewart, The Tenemos Road Variations, ripreso con equilibrio bandistico e tratteggiato con dovizia di particolari negli interventi solistici, nonostante la rude e ostica tempra rock del pezzo. Su linee funky e ritmi labirintici si sviluppa Original Peter, ultima composizione di Westbrook presente nel disco e scritta nel 1970. La sonorità rispecchia l’atmosfera musicale che si udiva nella Londra di quegli anni, il caos ordinato degli interventi, gli spunti dei singoli come voci che si levano protagoniste di una scena che non c’è più, ma che è rivista con lo sguardo di chi ne ammira senza rimpianti la vivacità e il messaggio. Faraò chiude Never Odd or Even con una sua composizione del 2007 intitolata Big Orange e dedicata al batterista Pip Pyle scomparso nel 2006. È una ballad dai toni sinfonici, un’opera che è allo stesso tempo rock, folk, jazz, blues, gospel e classica. Una “pretestuosa” marcia funebre che globalizza e fonde generi musicali attraverso la matrice del jazz.
Non è forse questa la chiave di Never Odd or Even, una sapiente modernizzazione e rievocazione in forma orchestrale di movimenti, suoni e temi di un mondo dalle tante sfaccettature e significati.