Dodicilune Dischi – Ed313 – 2013
Roberto Ottaviano: sax soprano
Emanuele Parrini: violino
Paolo Botti: viola
Salvatore Maiore: violoncello
Giovanni Maier: contrabbasso
Roberto Dani: batteria
La connessione tra libertà espressiva e richiamo alle radici ancestrali della musica del territorio pugliese è davvero stretta e fertile di spunti in questo “nuovo” lavoro di Roberto Ottaviano. Le virgolette provengono dal fatto che il disco, pubblicato nel 2013 da Dodicilune presenta in realtà materiale registrato nell’autunno del 2006. Questo dislocazione temporale non ne inficia la freschezza, anzi lo rende un naturale prequel, per così dire, di alcune esperienze discografiche e delle linee guida delle scelte artistiche – tra le altre, lo slogan “ancestrale, musicale” che campeggiava nel manifesto di Bari in Jazz 2010.
Ottaviano scrive nelle note che accompagnano il lavoro di aver perseguito meno di altri musicisti il legame con le radici popolari del proprio territorio, senza per altro rinnegare un legame con quelle tradizioni. il sassofonista traduce questa sensazione in un rapporto duplice con il materiale, con le vicende secolari della musica della Puglia: non avere la necessità, l’obbligo o l’incombenza di “dover fare i conti”, ma al contempo sentirsi parte, integralmente, di una eredità forte. E i brani, composti ispirandosi alle poesie di Vittorino Curci, affondano in una dimensione atavica, intimamente legata con quella tradizione eppure capace di sfuggire verso territori – geografici ed espressivi – altri. Le tracce – sei originali e la ripresa di Lule t’bukara ka Tirana, canto del folklore albanese riarrangiato da Ottaviano – intercettano accenti provenienti dal blues, dalle visioni modali, dalle tante radici africane in un continuo scivolamento tra registri espressivi differenti: e come è facile immaginare questo offre a Ottaviano e ai suoi compagni di avventura la possibilità di un continuo rinnovamento della pronuncia delle frasi e una gestione sempre vivace delle atmosfere.
La costruzione di una formazione tutt’altro che consueta e, poi, la scelta dei singoli interpreti offre una connotazione trasversale alle composizioni proposte dal sassofonista. Sax soprano, quartetto d’archi e batteria intrecciano accenti colti e popolari, motivazioni antiche e spunti moderni, improvvisazione e scrittura. Il sassofono si adatta nei toni e nelle movenze alla voce degli archi e gli archi vanno spesso a doppiare le linee di Ottaviano. All’architettura disegnata dal leader, si aggiungono poi le intuizioni e le esperienze di Parrini, Botti, Maiore, Maier e Dani: interpreti capaci di dare sempre un proprio contributo personale, accomunati da una ricerca sonora e linguistica aperta alle sperimentazioni più radicali quanto attenta alle tradizioni del jazz, senza tralasciare quello dei primordi e dei suoi pionieri. Particolare, questo, che torna utile nelle tracce di Soffio Primitivo. Arcthetics può senz’altro significare estetica degli archetipi, una lettura in prospettiva delle matrici prime di linguaggi che affondano in una tradizione anche molto profonda per poter derivare una propria espressione. La scrittura di Ottaviano, come si diceva sopra, richiama nelle note e nelle frasi i punti di contatto tra le varie tradizioni e le rispettive matrici di partenza, offre spazi per la libertà dei singoli ma solo in alcuni passaggi si sciogli in un approccio informale per rimenare legata, piuttosto, alle necessità intrinseche ed espressive della melodia. Gli spigoli cercati in alcuni tratti nascono dalla contrapposizione di melodie, legate pur sempre da un logica di fondo. Il concetto alla base del lavoro rimane però il confronto tra le personalità dei musicisti di oggi e quel materiale originario. Non una riattualizzazione o una rilettura stilistica, quanto come esprime bene il titolo del lavoro, un soffio primitivo da cui prendere le mosse per arrivare al risultato che troviamo nelle tracce, stimolo per il compositore prima e poi per l’interazione tra gli esecutori. E anche quando prende l’ispirazione dai temi della canzone popolare italiana della prima metà del secolo scorso, come accade ne Il Confinato, si tratta sempre di un punto di partenza per andare ad evocare ed esplorare nuove combinazioni e possibili risvolti espressivi da utilizzare nel discorso promosso da Ottaviano.
Pur essendo rimasto svariati anni nel cassetto, Soffio Primitivo mantiene grazie all’approccio duplice – ma si potrebbe dire molteplice, plurale, policentrico – riporta all’interno dei lettori una riflessione matura e attuale sul rapporto tra improvvisazione e radici, tra spinte in avanti e punti di riferimento consolidati.