Eric Legnini & the Afro Jazz Beat – Sing Twice!

Eric Legnini & the Afro Jazz Beat - Sing Twice!

Discograph – 6150022 – 2013




Eric Legnini: pianoforte, Fender Rhodes, tastiere, percussioni

Thomas Bramerie: contrabbasso

Franck Agulhon: batteria, percussioni

Hugh Coltman: voce

Mamani Keita: voce

Emi Meyer: voce

Boris Pokora: sax tenore, flauto, sax baritono

Julien Alour: tromba, flicorno

Jerry Edwards: tromone

Da Romeo: chitarra elettrica

Xavier Tribolet: G Nord Modular

David Donatien: percussioni





Il trio, le voci, una serie di ospiti capaci di spostare di volta in volta le atmosfere disegnate dai brani. Sing Twice! segue il precedente The Vox e, se si vuole, ne espande le tematiche strumentali e il vocabolario. Innanzitutto Eric Legnini stabilisce i punti essenziali del lavoro con la forza espressiva del proprio: insieme a Thomas Bramerie e Franck Agulhon, infatti, mette in pratica una scrittura capace di aprirsi in direzioni diverse. E così, traccia dopo traccia, troviamo i riferimenti ai grandi pianisti del passato, alle ambientazioni vintage, alle esperienze recenti del piano trio e alla canzone pop e rock di migliore fattura rielaborati in una fusione del tutto caratteristica, con una produzione mirata, una attenta manipolazione dei suoni e un interplay agile e sempre brillante.


Su questa base, si innestano le voci. Hugh Coltman, Mamani Keita e Emi Meyer rappresentano tre indirizzi decisamente divergenti tra loro ma capaci di collegarsi con il trio. Una connessione stretta, al punto da mettere in risalto le peculiarità di ciascuna voce e permettere quel cambio di atmosfere che si menzionava in apertura. Si passa così dall’afrobeat di Yan Kadi al passo incalzante e vicino al trip-hop di Salisbury Plain, dall’incontro sul terreno della contemporaneità tra jazz e rock melodico di tracce come Snow Falls e Winter Heron, affidati rispettivamente a Coltman e Meyer, alla visione circolare e ipnotica di The Source, intreccio serrato e profondo della matrice africana con la forza espressiva del piano trio, per arrivare infine a We Love Shibuya, la versione in piano trio di tutto quello che viene avvicinato e interpretato negli altri brani.


In una ulteriore stratificazione si aggiungono gli altri musicisti presenti e il lavoro sui suoni. Ogni tassello si colloca nel suo posto con fluidità: una attenzione he si riflette nella successione tra i vari brani, senza frizioni traumatiche anche nei passaggi meno attesi. Il risultato è in una sorpresa che non spiazza l’ascoltare e non interrompe il flusso logico del disco: si avverte, cioè, la differenza, ma si viene subito “recuperati” dalla presenza coerente del lavoro del trio, vero collante di Sing Twice!


In questo senso, i quattro brani affidati al trio – vale a dire, l’apertura eponima con Sing Twice!, Carmignano, la già citata We Love Shibuya e la conclusiva Cinecittà – fungono da linea guida e si raccordano con gli assolo e gli intermezzi strumentali degli altri brani. Elettrici o acustici, a seconda che Legnini si misuri con il pianoforte o le altre tastiere, danno una visione completa di quello che è il percorso del trio, un progresso continuo sin dai lavori pubblicati per Label Bleu alla metà dello scorso decennio, alla ricerca di un legame quanto più stretto possibile tra forma canzone, vocabolario del piano trio e le varie formule vicine al jazz: un nesso forte e tale da pensare e far funzionare i brani, come rivela lo stesso Legnini nell’intervista pubblicata su Jazz Convention, sia nella versione con il testo che in quella affidata al solo trio.


Le composizioni sfruttano, a seconda dei casi, strutture circolarità e ripetute così come si lanciano in scenari lineari, affrontati con spirito e slancio dal trio in improvvisazioni serrate. Il disco scorre così su un filo espressivo, allo stesso tempo, sognante e malinconico, accogliente e inquietante, sempre intrigante.