Franco D’Andrea Traditions and Clusters @ MITO 2013

Foto: Flavio Caprera










Franco D’Andrea Traditions and Clusters @ MITO 2013.

Milano, Teatro Manzoni – 10.9.2013

Franco D’Andrea: pianoforte

Dave Douglas: tromba

Han Bennink: batteria

Zeno De Rossi: batteria

Aldo Mella: contrabbasso:

Mauro Ottolini: trombone

Daniele D’Agaro: clarinetto

Andrea Ayassot: sassofoni

Assistere a un concerto di Franco D’Andrea vuol dire prendere parte a un avvenimento non replicabile, un’emozione del momento, esclusiva, un frammento di storia improvvisata che non si ripeterà più allo stesso modo. Non è forse questo l’arcano del jazz? Il nostro pianista conosce profondamente la sua essenza e il segreto della circolarità, ne ha decifrato il dna e sa come usarlo nella creazione di nuovi episodi, nell’inventare un altro momento di storia da registrare nei manuali del jazz. In un teatro gremito, attorniato dai suoi musicisti, ha offerto l’ennesima prova di come si costruisce un concerto di jazz, di come si possa suonare “improvvisando con ordine” dando l’impressione di essere li quasi per caso, e di come tutto fili liscio e di quanto la gente si sia divertita e di come, ancora una volta, lo spirito e la genuinità primigenia del jazz, si siano rivelati in tutte le loro fattezze. Bisogna avere la statura, la libertà espressiva, e la personalità di D’Andrea affinché questo accada, e naturalmente l’assistenza di validi musicisti per completare l’opera. Su quel palco, per MITO Settembre in Musica, accanto a lui c’erano oltre al suo inossidabile sestetto, il grande trombettista americano Dave Douglas e il funambolico istrione della batteria, l’olandese Han Bennink. D’Andrea apre in piano solo un concerto il cui repertorio spazierà da Today, suo ultimo disco, a Traditions and Clusters, eletto disco dell’anno per il Top Jazz 2012, passando attraverso una serie di standard e di pezzi inediti, che immaginiamo assumeranno presto una dimensione discografica. La “solitudine” al pianoforte di D’Andrea dura solo qualche minuto perché un indemoniato Bennink, e lo sarà per tutto il concerto, comincia a pestare con le bacchette la sedia su cui è adagiato. E così il monologo pianistico su un solipsistico Take The A Train si trasforma in un dialogo primordiale, un botta e risposta tra uno strumento gentile e un improvvisato, ortodosso e urlato tip tap percussivo.


È l’overture di un concerto che si prevede pirotecnico. Il pianista accende la miccia già dal secondo brano, una sua composizione intitolata A4 + m2, eseguito dal gruppo al completo che riscalda subito l’atmosfera tra gli urli mingusiani di Bennink e le tirate dei fiati. L’altro ospite di prestigio, Dave Douglas, fornisce un assaggio della sua bravura con una sofisticata e lirica versione di Goodbye, sostenuto da un perfetto accompagnamento di D’Andrea al pianoforte. Un’ora e mezza di concerto fila via tra assolo di classe, Ellington, Monk, una magmatica versione di Turkish Mambo di Tristano, una dinoccolata Caravan, e poi tanto D’Andrea ascoltato attraverso le sue raffinate partiture, il suo estro, le improvvisazioni del momento, specchiate negli occhi attenti di Douglas, i cambi di rotta, le trovate, le soluzioni, le chiusure, le sorprese, le catarsi, le sterzate verso vicoli oscuri e affascinati. È l’arte di D’Andrea! Il suo live act è un’esperienza unica per il pubblico e per i musicisti. Un rito laico in cui si celebra il jazz. Standing ovation!