Slam Records – SLAM CD 540 – 2012
Antonio Ragosta: chitarra elettrica, chitarra portoghese
Paolo Damiani: violoncello
Tony Cattaneo: trombone
Irene Angelino: flauto
Emiliano Pallotti: fisarmonica
Stefano Napoli: contrabbasso
Pasquale Angelini: batteria
Primo lavoro da leader del chitarrista napoletano Antonio Ragosta, Il mare e l’incanto a Roma est racchiude e sintetizza il mondo musicale di Ragosta, che ha scelto Roma come città di elezione. Scrivere da sé i brani suonati ed esordire con un proprio disco significa avere fiducia nelle proprie capacità compositive e di aver maturato una voce distintiva e chiara che possa dare alle composizioni un aspetto originale e moderno. Diciamo subito che è un buon esordio e che lascia intravedere momenti a venire favorevoli e interessanti negli sviluppi artistici di Ragosta.
Il disco è composto di nove brani di cui otto a firma di Ragosta e uno, Invisibile, siglato da Paolo Damiani. L’andamento rarefatto e crepuscolare di Lascio al caso apre le “danze”. Il violoncello di Damiani contribuisce a tenere l’atmosfera sospesa, in bilico tra concretezza e astrazione. La ronda, invece, ha un che di più concreto, di ritmico, cadenzato da una linea di liricità dettata dal trombone di Cattaneo e dallo stesso Ragosta. Il violoncello di Damiani apre con echi camerali Invisibile, un pezzo che si sviluppa negli step seguenti in maniera corale, con un interessante duetto chitarra/trombone e il contrabbasso a fare da sostegno e guida, mentre Alessandra cadenza ritmi latini, piacevoli e rilassanti. La fisarmonica di Pallotti gioca con la fantasia, il sogno, lo scherzo, la ballata in Tristalia, pezzo che si ispira agli scritti di Stefano Benni. L’intrigante Viaggiaman riscrive una o più storie di viaggio con un ritmo che ricorda l’andare di un treno o lo scorrere continuo di immagini e panorami sbirciati dal finestrino. L’attacco rock di Variabile e la chitarra blues di Ragosta aprono un pezzo da strada con il trombone che fa il verso e la batteria che avanza aggressiva e decisa. Consumo ha un inizio filmico, il trombone ne accentua la drammaticità della narrazione, che si sviluppa in un attimo di rabbia elettrica per poi cedere alla dolcezza del violoncello e al ritorno del trombone, prima di chiudere con muscoli e furia il pezzo.
Il disco finisce in letteratura con L’ultimo Baol, brano che si rifà alle scritture di Benni. È un racconto con fisarmonica in salsa folk.