Foto: Fabio Ciminiera
Talos Festival 2013.
Ruvo di Puglia – 13/15.9.2013
Il manifesto del Talos Festival campeggia ovunque a Ruvo di Puglia e reca con sé già molte chiavi di lettura presenti nei concerti programmati nei dieci giorni della rassegna. La parola “bande”, in alto, e la figura stilizzata di un bandista “bardato” di sousaphone; “la melodia, la ricerca, la follia” recita invece il sottotitolo nel taglio basso; la Cattedrale di Ruvo, infine, a dare la traccia dell’appartenenza territoriale.
Il programma si è mosso su queste linee guida con un calendario decisamente ricco di eventi, concerti e spunti. L’anteprima del Talos si è concretizzata in una settimana di concerti, dove sono state protagoniste le bande provenienti da Cisternino, Monopoli, Bari e Matera, realtà che si muovono sul territorio regionale come MusicaIngioco: la kermesse è stata aperta dai “padroni di casa” dell’Orchestra Nicola Cassano di Ruvo di Puglia. Una serie di concerti consistente quanto utile a caratterizzare le intenzioni del festival. E la dimensione, la forza espressiva, le dinamiche della banda sono rientrate poi nel cartellone principale con le esibizioni della di Minafric, Kocani Orkestar, Taraf de Haidouks e lo spettacolo Ebrei e Zingari di Moni Ovadia.
La melodia è stata interpretata principalmente dai concerti di apertura delle serate sul palco di Piazzetta Le Monache. L’incontro ormai stabile e consolidato di Javier Girotto e Luciano Biondini, la storia importante tracciata da Gianluigi Trovesi e Gianni Coscia, i riflessi brasiliani del duo formato da Gabriele Mirabassi e Roberto Taufic, l’esibizione in solo di Enver Izmailov. Senza dimenticare il concerto del sabato pomeriggio di Vincenzo Deluci con il Coro Novo Gaudium ella Chiesa di San Domenico o l’esibizione finale della masterclass di improvvisazione tenuta da Giancarlo Schiaffini.
La ricerca e la follia, in realtà, potrebbero andare di pari passo, nel senso che senza l’intenzione di scardinare i canoni stabiliti non si può cercare qualcosa di nuovo. La scelta dei musicisti presenti nel cartellone premia l’idea di ridefinizione del linguaggio: dai virtuosismi chitarristici di Enver Izmailov alla miscela di sperimentazione, ritmi popolari, improvvisazione radicale e groove della Minafric, dall’incontro tra antico e moderno nel concerto spirituale e lirico proposto da Vincenzo Deluci e dal Coro Novo Gaudium, dove si incontrano le possibilità di manipolazione elettronica del suono e la forza senza tempo del canto gregoriano, ai dialoghi in duo sul palco dove l’improvvisazione e la curiosità trovano la strada per far incontrare suoni, tradizioni, linguaggi e personalità in modo vario. E infine il concerto della masterclass tenuta da Giancarlo Schiaffini dove la formazione ha utilizzato l’eterogeneità dei suoi componenti per interpretare le diverse modalità dell’improvvisazione. Nelle interviste a Pino Minafra e Giancarlo Schiaffini, inoltre, si potranno trovare altri elementi suscitati dal festival nei suoi dieci giorni. Così come si tornerà, partendo da alcune considerazioni presenti nella video intervista al trombettista o evocati dal convegno sulle Bande musicali su questa formazione e sul percorso fatto dal festival, dai Minafra e dalla regista Monica Affatato per rimettere al centro della considerazione un “oggetto” sociale oltre che musicale, culturale nel senso più ampio del termine.
Il punto centrale della riflessione proposta da Minafra con il programma e con l’esibizione-manifesto della Minafric è unire il senso ancestrale delle tradizioni con le pulsioni di ricerca e di sperimentazione. A seconda dei contesti e delle propensioni espressive delle formazioni la novità, la personalità del musicista, l’intuizione prendono un significato diverso e più completo se vengono innestate su una radice profonda e stabile e invece di essere gettate nel nulla di una sperimentazione fine a sè stessa. Ed è questo il filo rosso disposto nel programma, utile per connettere le varie esibizioni e leggere come si sono evolute nel tempo. Per fare un esempio, l’incontro tra Mirabassi e Taufic parte dai repertori della musica brasiliana per inserire via via suggestioni, improvvisazioni e interventi che trascendono dai generi, li mescolano e, senza rivoluzioni ma attraverso un dialogo condotto con estrema padronanza, danno una nuova visione di un materiale già ricco in partenza. Lo stesso accade nel sodalizio già più longevo di Biondini e Girotto: cambiano i punti di partenza, ma resta la stessa attitudine all’interazione, la necessità di mettere la forza e la tecnica al servizio del discorso musicale. Allo stesso modo, il termine esibizione-manifesto usato per Minafric non tragga in inganno: la band condotta dalla “Dinastia Minafra” propone le varie direttrici – sperimentazione, suono bandistico ricco di fiati, territorio, personalità artistiche sviluppate ciascuna secondo i propri intenti – su un groove sempre propulsivo e con una attenzione complessiva alla melodia, pur nelle libere esplosioni sonore che caratterizzano il concerto. Come nella partenza spigolosa del concerto che si apre in maniera graduale e coinvolgente nel ritmo, disegnato da due batteristi e sostenuto alle percussioni dallo stesso Pino Minafra. La presenza del gruppo vocale Faraualla esalta ancora più la necessità della melodia e condiziona positivamente al dialogo le varie intenzioni della formazione.
Il ponte tra antico e moderno si è manifestato ancor più nel concerto del sabato pomeriggio nella Chiesa di San Domenico. Vincenzo Deluci ha ripreso, sopo un incidente automobilistico che lo ha quasi completamente paralizzato, una nuova carriera musicale: una particolare tromba a coulisse e un sistema computerizzato di controllo visivo del suono sono gli strumenti utilizzati che portano a un suono rarefatto, fluido e lirico. L’incontro con il canto gregoriano dell’ensemble Novum Gaudium ha creato una situazione sospesa e intrigante, felicemente indipendente e connessa, allo stesso tempo, con le proprie radici. La melodia, anzi le melodie e la loro trama, si pongono al centro del ragionamento sonoro. Anche la fisarmonica è uno strumento della tradizione, reinterpretato negli ultimi anni in chiave jazzistica da musicisti di varia estrazione. Vince Abbracciante e Giorgio Albanese hanno proposto due possibili letture: entrambi in solo, entrambi negli appuntamenti pomeridiani della domenica, se il concerto di Albanese si è indirizzato verso una suite spigolosa e radicale, giocata sui timbri dello strumento e sviluppata attraverso un’improvvisazione più libera, Abbracciante si muove in un ambito più legato alla melodia e a un’improvvisazione tematica il primo. Entrambi musicisti emergenti e talentuosi mettono in luce secondo un riflesso diverso, quello della fisarmonica, il tema del festival e costituiscono con Gianni Coscia e Luciano Biondini, con le fisarmoniche presenti nelle line-up della Kocani Orkestar e dei Taraf de Haidouks un secondo filo di connessione tra i vari spunti della rassegna.
Il concerto finale della masterclass di Giancarlo Schiaffini ha concluso in qualche modo, tutto il percorso delle attività collaterali del festival. Dalla mostra fotografica di Maria Pansini, dove erano raccolti gli scatti nell’edizione precedente del festival, alla collettiva di Albore, Boccalini, Cataldi, Laera, Paparella e Tattoli, dalla proiezione de La voce Stratos alla mostra dei taccuini di viaggio illustrati da Sebi Tramontana alla presentazione di E non chiamatelo jazz, il libro dello stesso Schiaffini al convegno sulle bande. Un gruppo di musicisti ampio, 18 elementi differenti per percorso, formazione ed esperienze, alle prese con l’improvvisazione e con le diverse maniere di guidarne gli impulsi. Complici l’atmosfera dell’imbrunire, il cambiamento meteorologico, la stratificazione e l’intreccio delle melodie si è creata una dimensione sospesa, rarefatta: se si vuole il terrore di esplodere in un caos totale ha contenuto, ha portato ogni musicista a prediligere la sottrazione negli interventi.
E, infine, la conclusione del festival con le bande. La Kocani Orkestar si era esibita già nella sera del sabato: il concerto finale si è aperto con la tumultuosa performance dei Taraf de Haidouks, una velocità fulminante unita a una pronuncia precisa, i ritmi ipnotici e trascinanti, la capacità di puntare con forza sulla tradizione facendone risaltare i valori e le peculiarità. Dopo il concerto di Enver Izmailov, in solo, si, ma capace di proporre più linee contemporaneamente sulla chitarra, le due formazioni balcaniche sono tornate sul palco per Bands of Gypsies, l’unione di due tra le esperienze più rinomate del panorama internazionale, un concerto che negli anni è stato sui palchi dei festival più importanti.