Uscita Nord – Non Aspettare

Uscita Nord - Non Aspettare

Wide Production – WP013 – 2013




Marco Belisario: voce, percussioni

Marcello Malatesta: pianoforte, tastiere

Mauro De Federicis: chitarre

Angelo Albano: basso elettrico

Sergio Malatesta: batteria





Non aspettare è il quinto album di Uscita Nord, il marchio di fabbrica utilizzato per il solido sodalizio formato da Marco Belisario e Marcello Malatesta. Se a tutta prima la proposta del gruppo può essere catalogata in canzone a ritmo di jazz, si manifesta da sempre una passione per il lirismo dei testi, tanto da avere in Giancarlo Sputore il supporto poetico come viene riportato nelle note di copertina.


Il nuovo lavoro mette in evidenza una svolta più cantautoriale nelle sonorità e nelle scelte stilistiche rispetto a quanto proposto ne La nostra cecità, disco del 2006: è la prosecuzione del percorso intrapreso con il penultimo Prova d’artista, pubblicato nel 2010. La formazione si asciuga al quintetto ma diventa compatta, con i cinque elementi a portare sempre il proprio contributo in tutti i brani, tranne nella conclusiva Carillon eseguita in duo da Belisario e Malatesta; la gestione ritmica si sgancia spesso dalle coordinate jazzistiche, seguendo in questo le necessità dei vari brani e il dettato complessivo segnato dal gruppo.


E questo diventa il punto caratterizzante del disco. La ricerca di ritmi latineggianti – come ad esempio Ultimo Minuto e, sia pure meno evidenti in Non aspettare e Una volta in più – si accosta alla visione più italiana di canzoni come D’incanto, Tempo non mio e Le occasioni. L’apertura con l’autobiografica L’Imprendautore unisce una strofa swingante, un ritornello reggae e una coda con assolo di chitarra distorta e aggressiva. E per concludere con la melodrammatica e teatrale Carillon in cui il pianoforte riprende la trama di un valzer da carillon e la voce la interpreta con spirito appassionato per sfociare nel passaggio centrale, cantato senza parole ma proposto in modo stentoreo, e terminare con il raccoglimento compunto del finale.


L’attenzione alle parole dei brani si manifesta anche in un continuo gioco di equilibrio su rime e assonanze, accostamenti di significati duplici e piccoli scarti utili per creare sorprese e movimento all’interno del testo. Sin dall’apertura quando, al grido Mayday, la risposta prevedibile sarebbe stata “paranoia delle sei” invece della “paranoia delle otto” che troviamo nel brano. Un continuo gioco innescato con gli ascoltatori presi all’amo dall’abitudine della rima e poi spiazzati con elegante condiscendenza. Per riprendere le metafore calcistiche di Ultimo Minuto è come se il gruppo facesse un cucchiaio alla Totti al portiere ma, con una strizzatina d’occhio e dopo averlo fatto sedere, gli porgesse poi la palla con ironica gentilezza senza trafiggerlo.


E per quanto non si perda l’ironia e la voglia del gioco di parole, il riflesso dei tempi o una spinta personale portano una vena malinconica nei testi, il tono è intimo e raccolto, l’attenzione si posa spesso su parole ed espressioni disilluse. Leggerezza e maturità si intrecciano e danno più letture possibili alle frasi, divertimento e riflessione si aiutano, per contrasto, a mettersi in evidenza nel corso delle vare canzoni. La maturità del progetto, infine, passa anche attraverso la concisione – otto brani per poco più di trentacinque minuti complessivi di musica – e la capacità di sapere che aggiungere quantità tanto per fare non sempre porta buoni risultati.