SKYCAP – 2013
Fabio Delvò: sassofoni
Jeff Platz: chitarra, electronics
Kit Demos: basso, electronics
John McLellan: batteria
Fabio Delvò, dopo il disco DNA, autoprodotto e inciso con compagni di viaggio italiani, pubblica per la Skycap tedesca questo cd, frutto del sodalizio con musicisti americani votati al jazz di ricerca e registrato negli USA. I tre collaboratori statunitensi si conoscono bene, avendo suonato insieme con Daniel Carter e in altri progetti con la leadership di Jeff Platz, sempre orientati verso una musica di spessore e antiroutiniera.
Così risulta facile il dialogo fra l’artista lombardo e gli ospiti stranieri, ma il termine ospite è improprio poichè l’album è assegnato a tutto il quartetto. Tutti ci mettono del loro, infatti, per comporre una musica tesa, obliqua e che si sostiene su piani inclinati, ma non traballanti, in un equilibrio comunque volutamente instabile. È un sound decisamente caratterizzato e metropolitano. Fa venire in mente di primo acchito Steve Coleman e il movimento M-base, ma ascoltando meglio il cd si scoprono altri riferimenti e si apprezza l’abilità di riappropriarsi di determinate suggestioni per produrre un discorso unitario e coerente, da parte di tutto il gruppo.
Si comincia con Carribean, dove aleggia l’ombra lunga del Prime time di Ornette Coleman. Il free funk è sempre attuale e viene mantenuto vivo e vitale da un dialogo fitto e nervoso fra sax e chitarra e nel gioco poliritmico della batteria. Bell clear è su tempo veloce e si posiziona in un clima bop molto libero. La chitarra, a un certo punto, distilla suoni elettrici scanditi e distorti, squassando l’aria già agitata. Bill Burroughs ha un inizio cauto ed effettistico con l’elettronica protagonista discreta. Poi ognuno prende una strada diversa, ma tutto concorre a creare un’atmosfera di caos ben controllato. In Son of Clooney si distingue il brandello di un motivo fatto a pezzi, cammin facendo, dalle strappate decise della chitarra e dal solismo fra il meditativo e il concitato dell’alto. Non cambia molto l’atmosfera in Urla libere. Qui Delvò si fa prendere dalla foga espressiva e spinge con vigore sul suo strumento. Sono grida dominate, ma veementi. Sonar è un’oasi di calma apparente. I due solisti intrecciano frasi di una melodia scabra, severa e dolente, mentre basso e batteria vanno in assolo prolungato, tentando di condurre altrove il discorso complessivo. Il momento giusto conferma la formula precedentemente annunciata. Il tema enunciato è semplice e riconoscibile. Lo svolgimento, invece, è accidentato e dirompente. What phenomenal è sfilacciata, convulsa, indirizzata da un’improvvisazione scevra da vincoli nei modi e nei toni. Chiude Onda e lamenti dal cosmo, descrittiva di un dramma spaziale e determinata dai rumori elettronici appuntiti di Jeff Platz e soci, mentre il sax sembra perdersi nell’infinito e nell’indistinto.
È fin troppo scontato concludere che Fabio Delvò con questo disco dimostra di poter inserirsi favorevolmente in situazioni di questo tipo, di respiro internazionale. Al suo sassofono e alle sue composizioni stanno stretti, cioè, i confini del nostro paese. Può dire la sua con competenza anche fuori dall’ambito nazionale.