Foto: Gianmichele Taormina
Roccella Jazz Festival 2013
Nell’anno della crisi planetaria abbattutasi come una scure sulle manifestazioni italiane, nell’anno delle dimissioni da direttore artistico del Maestro Paolo Damiani (trent’anni consecutivi di onorata attività), nell’anno in cui nessun neroamericano ha calcato i palcoscenici del festival, Roccella Jazz 2013 giunta all’edizione numero 33, ha raggiunto ugualmente il miracolo. Paola Pinchera e Vincenzo Staiano, direttori artistici del cartellone, hanno così trincerato e protetto con le unghia una rassegna oramai storica in Italia ma pericolosamente in bilico, destinata solo pochi giorni prima del 14 agosto a chiudere tristemente i battenti.
In attesa delle spettanze destinate a musicisti, albergatori e operatori del settore – somme da erogare che risalgono addirittura al 2009 – il programma ha comunque preso il via, come previsto, davanti alla consueta cornice del Castello Aragonese di Reggio Calabria con l’esibizione del trio guidato da Noam Vazana. Muovendosi tra morbide e raffinate sonorità cantautoriali, colorazioni jazz e riferimenti tradizionali, la giovane pianista, trombonista e vocalist di Gerusalemme ha emozionato non poco il pubblico accorso al primo appuntamento del festival.
L’altro trio a seguire – caratterizzato dalle tinte possenti e dalla libera natura espressiva – è stato quello capitanato dal pianista tedesco Joachim Kühn. Imbracciando come di suo consueto anche il sax contralto, Kühn insieme al duttile e solidissimo drummer Ramon Lopez e a Majid Bekkas (guembri, oud e voce), si è esibito senza freni inibitori, offrendo una carrellata di sonorità torrenziali, talvolta etniche e inaspettatamente suggestive, ricche di pathos e di inarrestabile energia creativa.
“Shalom” era il titolo della manifestazione di quest’anno, dedicata idealmente a Israele o comunque a quei suoni vicini al medio oriente ma che guardano con curiosità alle interconnessioni col jazz, con la musica occidentale e, come da spirito e filosofia del festival, ai molteplici linguaggi del Mediterraneo.
Così, in quel confluire ideale di un continuum di razze e culture provenienti da quelle terre, non possiamo non citare Omer Klein, pianista israeliano proveniente da una ferrea impostazione accademica ma con evidenti debiti nei confronti di Bill Evans. Classe 1982 e debutto presso la scuderia di John Zorn, Klein ha presentato nella splendida area archeologica di Monasterace “To The Unknown”, quinto sfavillante lavoro discografico pubblicato a suo nome e inciso con i suoi fidati compagni di viaggio: Haggai Cohen-Milo al contrabbasso e Ziv Ravitz alla batteria.
Non dimeno, seppur con differenti connotazioni estetiche ma con una esibizione sempre coinvolgente e senza alcun vuoto da colmare, Noa, insieme al fido Gil Dor, alla collega Mira Awad e alla sua inseparabile band ha incantato l’affollata platea del Teatro al Castello di Roccella, regalando un “concertone” trascinante e, come previsto, commovente e applauditissimo.
Tra le serate più belle, quella del 23 è stata probabilmente la più ricca di contenuti e di innovativo spessore dialettico.
Giacca bianca e tromba luccicante tra le mani, Rob Mazurek con i suoi São Paolo Underground ha decisamente spiazzato per la sua caleidoscopica ed energica valenza creativa. Grande musica quella espressa dal trombettista di Jersey City lungo ottanta minuti di esibizione, generosa di epicità e ricolma di toccante “modern drama”. In definitiva un progetto fondato sull’elettronica e dalla vastità del suo lessico, ma saggiamente dispensata dentro temi accattivanti, mai complessi, seppur avvolti in tappeti sonori costruiti su insoliti intrecciatissimi reticolati.
Prima di questi era toccato al Trio Libero di Andy Sheppard ad aprire le danze con un percorso oseremmo dire opposto. Musica acustica dal sostanzioso retaggio compositivo che guarda Ornette ma che svolazza dentro tavolozze melodiche aereiformi, sospese e riflessive, con un Michel Benita in stato di grazia e un Sebastian Rochford ad intessere lievemente trame ritmiche leggiadre e parsimoniose.
Due “senatori” del jazz italiano hanno poi divertito e appassionato in separate sedi offrendo i loro nuovi progetti concertistico-discografici: Enzo Pietropaoli Yatra 2 e Roberto Gatto Perfect Trio.
Tra suoni e memorie del passato ma con un presente ben assestato nella solidità di una formazione oramai collaudata, Pietropaoli, affiancato brillantemente da Julian Oliver Mazzariello, Fulvio Sigurtà e Alessandro Paternesi, ha alternato nel piatto composizioni autografe e altre classiche di un repertorio che va da Gracias A La Vida di Violeta Parra a Tonight di Iggy Pop fino allo splendido bis di Binkys Beam firmato da John McLaughlin.
Gatto dal canto suo, affiancato da Pierpaolo Ranieri e Alfonso Santimone, con splendide escursioni elettriche usate con ingegno e sapienza, ha smontato con tangenti variabili e sorprendenti alternative sonore musiche totalmente improvvisate ed altre meno frequentate, pescando dai songobook di Ellington (Black and Tan Fantasy), Henry Mancini (Lujon, davvero splendida), Monk (Off Minor) e Davis (meravigliosa la versione ciondolante di Mood co-composta in realtà insieme a Ron Carter per lo storico E.S.P.).
Ma è in realtà l’ottimo stato di salute del jazz italiano ad aver assunto valenza e rappresentanza assai elevata nel corso della prima parte del festival. A partire da Enrico Zanisi, nuovo talento al Top Jazz 2012, delizioso strumentista e compositore, già in possesso di una vasta letteratura pianistica nel suo solidissimo bagaglio culturale.
Altro artista dotato di notevole efficacia rivelatoria è stato inoltre Fabio Giachino. Sul palco del teatro romano di Marina di Gioiosa il giovane pianista cuneense si è esibito insieme a suoi conterranei piemontesi: Davide Liberati e Ruben Bellavia. Nel corso della serata dedicata a quell’area anche l’altosassofonista Gianni Denitto ha splendidamente figurato con un songbook di standard poco battuti ma ugualmente efficace e coinvolgente grazie alla presenza di un grande maestro delle quattro corde ovvero Furio Di Castri.
Tra gli altri capostipite di casa nostra, a Roccella (insieme agli inossidabili Beggio e Bulgarelli), applauditissimo è stato il progetto Fellini Jazz firmato da Enrico Pieranunzi tratto dal bel disco datato 2003 ma ripubblicato recentemente e con maggiori contenuti dalla CAM Records.
Nel corso del fitto cartellone non vanno dimenticate altre stelle del nostro odierno panorama nazionale.
Altosassofonista dalla versatile e impareggiabile impostazione, Matteo Cigalini è “il nuovo che avanza” (grande espressività ed enorme padronanza delle strumento). Laura Lala e Sade Mangiaracina hanno invece ben figurato col loro nuovo intrigante progetto “Anche Le Briciole Hanno Un Sapore” presentando un programma mobile tra jazz, musica mediterranea e testi in lingua siciliana, mentre con la formazione dei Neko il chitarrista Francesco Diodati affiancato da Gaetano Partipilo al contralto, Ermanno Baron alla batteria e Francesco Ponticelli al basso elettrico ha offerto bella e intrigante musica moderna dai risvolti inaspettati e sapientemente creativi.
Plauso va anche ai musicisti esibitisi per gli afosi pomeriggi musicali presso l’Ex Convento dei Minimi con gli interventi in cartellone di Silvia Bolognesi in duo insieme ad Angelo Valori (improvvisazioni, standard e grande divertimento), Fausto Mesolella (classici di tutti i tempi ed enorme potenza narrativa), Riccardo Arrighini (Wagner e Verdi saggiamente reinterpretati in chiave jazz), Raffaele Casarano e Marco Bardoscia (melodia e tanto cuore per questi bravi e valenti musicisti leccesi davanti allo splendido parter della Chiesa di Santa Maria delle Grazie).
A parte il soul bop ben teperato di Gegè Telesforo egli scritti di Giovanni Pascoli interpretati da Giuseppe Battiston accompagnato da Gianmaria Testa, degna di nota, affiancata da un bel quartetto guidato dal pianista Colin Vallon è stata poi la vocalist albanese Elina Duni. Bella ed intrigante nei suoi movimenti e nel saper dominare il palco, la giovane cantante di Tirana ha proposto nel concerto di ferragosto musiche tradizionali provenienti da diverse aree ed epoche (nord, sud e centro dell’Albania, composizioni degli anni Venti, canzoni partigiane, canti di nozze dal Kosovo, traditional dei balcani, protest songs proibite dal regime comunista degli anni Sessanta).
Al Teatro al Castello di Roccella, a parte il già citato affollatissimo concerto di Noa, grande apprezzamento del pubblico è stato tributato al chitarrista franco-vietnamita Nguyên Lê e al suo progetto – un po’ usurato oramai – “Songs Of Freedom”, imperniato sul repertorio rock degli anni Settanta così come un’ora prima all’immenso Trilok Gurtu, percussionista indiano sempre benvenuto in Italia, assai apprezzato al suo ritorno a Roccella.
Lo spirito genuino del mainstream nell’edizione di quest’anno è stato invece ben rappresentato da due protagonisti oramai storici degli ultimi quarant’anni: Randy Breker e Franco Ambrosetti (con loro Roberto Gatto, Riccardo Fioravanti e un insostituibile Andrea Pozza), mentre per chiudere in bellezza, sintetizzando le tematiche affrontate dal festival è d’obbligo citare i tre interventi di Gabriele Cohen: la sua interessantissima conferenza sulla musica yiddish in America, il sui splendidi interventi per la lettura di “Racconti Ritrovati – Scrittrici d’Israele e degli USA” ed ovviamente il suo bel concerto insieme ai Jewish Experience giunti oramai al loro secondo notevole lavoro discografico – “Yiddish Melodies in Jazz” – inciso per la Tzadik di John Zorn.