Auand Records – AU9032 – 2013
Manuel Trabucco: sax alto, sax soprano
Filippo Vignato: trombone
Frank Martino: chitarra, elettroniche
Stefano Dallaporta: basso elettrico, contrabbasso
Diego Pozzan: batteria, percussioni
ospite:
Alfonso Santimone: pianoforte (in # 12, 13)
Difficilmente l’ipercinesi e la comunicativa espressa dal vitale ed agguerrito combo porteranno acqua al mulino dei puristi e dei refrattari alle correnti fusion: prescindendo dai nomi forti e alquanto trasversali che spontaneamente sorgeranno alla memoria nel progredire dell’ascolto (dall’ispido laboratorio Soft Machine ai vigorosi cascami dei palcoscenici alla Frank Zappa così come le severe eccentricità dei Crimson, e via amalgamando) il nuovo appuntamento discografico di MOF ripropone una sintesi tra ribalderia spettacolare ed ingegneria sonora senza però ipotecarsi verso punti d’equilibrio quanto sfruttando il credito (certamente ampio) della vitalità partecipativa.
Di senso “open” e teatrante, il team non si erge con tracotanze inattuabili o sperimentalismi importabili sul ciglio di stupori abissali ma – certo fatte proprie le fattezze del già sentito – riesce a sconfinare con brio dalla “comfort zone” della citazione, aggiornando con freschezza e levigando le morfologie dello stile d’incontro.
Il fresco, pungente impianto delle cornici elettroniche compartecipa all’imbastitura del sound, così come il drumming apertamente forgiato dalla dimestichezza con le più vigorose correnti rock-jazz, le agili trasvolate del trombone e gli alterni flussi della chitarra e via così per tutti i componenti la “generazione fritta” di Trabucco-Vignato-Martino-Dallaporta-Pozzan che si getta con il partecipante Santimone nella graticola della fusione evitando di ridurre in cenere gli ingredienti creativi, oliando il tutto con sana fluvialità e facendo saltare le parti con interplay non sempre “a programma”, non astenendosi dal condire a piacere con l’interpunzione e il raccordo di mini-tracks destrutturate (Pippo & Frank, Learning Values, #10) ed allestendo piatti forti per sapidità e colore (The unconscious Choice, Eureka) per completare la sequenza con Finally Fried – che, se non funge da dessert, ad onta del minaccioso titolo fa da epilogo all’ascolto in guisa di ristoro.
Citando e nella sostanza concordando con le parole del plaudente e garante veterano Patrizio Fariselli, in “area” di jazz-rock di più concreta e politica tensione, «l’innato talento sia nella progettualità compositiva che nell’uso dell’improvvisazione estemporanea», conferisce sul campo alle prodezze dell’articolato ensemble ampia cittadinanza in molte contrade del jazz e non solo per la pertinenza linguistica alacremente spesa, sia pur con predilezione per gli asset di più nuova fattura, quanto per la calorosa discorsività che impronta le molte lunghezze del lavoro conferendovi consistenza ed attrattiva.