Foto: Fabio Ciminiera
Chieti in Jazz 2013.
Chieti, Palazzo de’ Mayo – Auditorium Cianfarani. 26/29.9.2013 – 17/20.10.2013
La nona edizione di Chieti in Jazz ha giocato in maniera efficace sulle proprie specificità. Come avviene da qualche anno, le attività didattiche dell’appuntamento organizzato dalla SIdMA nel capoluogo teatino si suddividono in due week end distinti, con un intervallo di circa venti giorni, e in queste due sessioni si apre al pubblico con eventi vari per natura e conformazione, legati alle attività dei vari docenti e a quanto avviene nelle “segrete stanze” dei corsi oppure spunto di riflessione per i partecipanti ai seminari e per il pubblico.
A Giovanni Falzone è stato affidato il compito di accogliere il pubblico. Alla prima esperienza nel corpo dei docenti, il trombettista ha preso il ruolo che storicamente era stato di Bruno Tommaso e ha condotto insieme a Roberto Spadoni i seminari di composizione e arrangiamento. Falzone si è impegnato in un concerto in solo, itinerante nei vari spazi all’aperto del Palazzo de’ Mayo, lo splendido spazio che ospita i seminari. Un concerto dedicato a Verdi e a Bach, gestito in maniera equilibrata con l’elettronica, condito dalla verve e dall’empatia del trombettista. L’apertura e la conclusione del concerto nel primo cortile, senza l’amplificazione, hanno offerto il lato più situazionista della performance – dallo squillo di tromba dalla finestra del piano di sopra alla conclusione, un vero e proprio encore per il pubblico, con gli standard. Nella sezione centrale, svoltasi nel secondo cortile il luogo deputato al concerto, Falzone ha messo in opera l’incontro con l’elettronica e ha portato la musica verso un discorso più strutturato: le arie verdiane prese come punti di partenza per l’improvvisazione e per un discorso stratificato attraverso maniere diverse di intendere la musica.
Sempre nella prima sessione, si è tenuta la conferenza di Luca Bragalini – docente con Stefano Zenni dei corsi di Musicologia e Giornalismo. Il tema Jazz e cartoons, o dei principi e ranocchi è stato un abile modo per mettere in luce due aspetti importanti nella storia del jazz come il rapporto con il cinema di animazione e le sue colonne sonore e il razzismo con cui da sempre i jazzisti di colore e il genere stesso hanno dovuto rapportarsi nel corso del novecento.
La seconda sessione si è aperta con una conferenza di Marcello Piras dall’eloquente titolo “Dove gli USA hanno preso il jazz?”: una vera e propria indagine investigativa alla ricerca delle radici che hanno portato il jazz a New Orleans. Una operazione ardita quanto documentata per colmare i buchi nella storia e rendere meno indistinti i contorni delle origini del genere. L’obiettivo è quello di demistificare ruoli e percorsi per mettere in risalto secondo coordinate più efficaci dal punto di vista storico il melting pot della “città crescente” e unire i suoi destini con quelli della regione caraibica in modo da offrire un carattere più storiografico e sfaccettato, plurale e meno favolistico delle vicende alla base della nascita del jazz. E il risultato tracciato da Piras – che non sveliamo fino in fondo per lasciare il gusto narrativo del finale a coloro che seguiranno in altre sedi la conferenza – sovverte in maniera copernicana i consueti punti di riferimento per dare nuove chiavi di comprensione.