Foto: Fabio Ciminiera
La Banda, una realtà dimenticata?
Riflessioni a margine del Talos Festival 2013.
Rimettiamo insieme la Banda… urla Joliet Jake, una volta ricevuta l’illuminazione al termine del sermone del Reverendo James Brown. Ho sempre pensato che nella traduzione dei dialoghi del film, stiamo parlando dei Blues Brothers, sia stato usato questo termine per assonanza con quello inglese, senza pensare più di tanto alle implicazioni musicali. La band e la banda sono due concetti diversi, distanti per portato e per sonorità: qualunque formazione italiana userà gruppo, complesso, ensemble oppure le definizioni “numerali” o ancora lascerà intatto il vocabolo inglese, perché la differenza tra band e banda salta agli occhi evidente, con connotazioni diverse a seconda dei percorsi. Il suono della banda non lascia dubbi e la parola individua un concetto musicale ben preciso.
Premesse a parte, questo articolo nasce intorno all’edizione 2013 del Talos Festival, una rassegna in cui si è parlato di bande e ascoltato il loro suono. Ma anche dalle riflessioni di Pino Minafra, tagliate per motivi di spazio dal reportage video che abbiamo registrato sul festival, e dal lavoro che sta realizzando Monica Affatato, già autrice con Luciano D’Onofrio de La Voce Stratos, sul mondo dell bande pugliesi (al seguente link il teaser del lavoro).
La banda come testimonianza di un percorso culturale. Pino Minafra lo dice in modo chiaro da tempo: la vicenda delle bande ha portato, nel corso dei decenni, la cultura musicale alle popolazioni rurali dell’Italia del Sud e, nell’ottica di rivalutare il territorio, vanno messe in evidenza le pietre angolari di una cultura secolare. Secondo il trombettista, molti ritengono quello della banda “un suono finito, per pregiudizio o per ignoranza, di cui vergognarsi perché non nobile”. Il radicato senso di appartenenza, le sonorità portate sul palco del festival da Taraf de Haidoucks e Kocani Orkestar, per limitarsi al programma del Talos, la ripresa da parte di musicisti come Gianni Coscia e Gianluigi Trovesi di chiavi espressive e stilistiche vicine a quel mondo e la ridefinizione operata da formazioni come la Banda Sonora di Battista Lena, per allontanarci da quello stesso programma, dimostrano che è tutt’altro che così.
L’anteprima del festival, la settimana dedicata alle bande, diventa così la strada per instaurare un dialogo con il territorio. “Porgere un valore forte”, afferma Minafra, riconoscibile da una parte e allo stesso buono per scoprire cose diverse, vicine alla sperimentazione e al percorso seguito negli anni dal trombettista e band leader: un punto dove trovare identità, l’essenza primigenia per proseguire lo sviluppo delle nostre culture, mettendo economie, istituzioni al servizio delle persone e delle loro necessità. anche quelle non primarie. E d’altronde il repertorio storico della Banda, la traduzione del materiale operistico per gli ottoni, è stata la chiave per portare alle popolazioni rurali del Meridione una cultura musicale ampia e raffinata ed educarne un gusto in quanto ascoltatori, prima, e poi come motivazione per entrare in contatto con lo strumento ed essere parte della banda del proprio paese.
Il convegno sulla bande proposto dal festival con la presenza – e soprattutto l’intervento documentato e puntuale, tecnico quasi – di Silvia Godelli, assessore alla cultura della Regione Puglia, oltre a quella di critici,accademici e direttori di Banda, ha dato evidenza alle difficoltà di un progetto complessivo e alla prsa di coscienza relativa a un patrimonio “immateriale”. Il rapporto – controverso, riottoso, nascosto – tra mondo accademico e pratica delle bande e l’ambiguità di alcuni musicisti hanno creato una lettura gerarchica delle connessioni tra i diversi contesti. Come si riportava nel convegno, non è raro il caso di musicisti che sdegnano “ufficialmente” il mondo delle Casse Armoniche – vale a dire i Gazebo colorati che prendono possesso delle piazze dei paesi nei giorni di festa – per ritrovarsi poi proprio lì alla sera e intascare in modo, quasi simoniaco, il ricco appannaggio destinato al “solista”. E in musica, si sa, quante volte si è dovuto sovvertire o comunque mutare il senso di concetti come “alto” e “colto”. La convergenza di lavori diversi – quello di Minafra, dal punto di vista musicale, e quello di Affatato, per quanto riguarda il racconto – e la presenza numerica smepre forte di bande e bandisti conferma come questo mondo conosca un fermento mai sopito negli anni e rivela anche la presenza della disponibilità – non generale e non indistinta, come è naturale – a raccogliere e fare propri stimoli di varia provenienza, sia artistica che organizzativa.
Ed è proprio nella definizione di quello che dovrà accadere in futuro, dei passi da stabilire per dare riconoscimento e valore all’intero panorama, che il convegno ha sollevato le giuste domande, ha manifestato il suo senso. Pur nelle difficoltà, sia chiaro, perché non è facile trovare gli strumenti utili a dare conto di tutti i fenomeni, perché c’è una frammentazione sul territorio ed è difficile tenere conto di tutte le esperienze, delle loro specificità e del loro radicamento e perché, come sappiamo e come spesso funge da facile “schermo”, c’è la crisi. Ma se una esperienza come quella della Banda deve diventare un patrimonio e non rimanere un ricordo – prestigioso quanto si vuole ma confinato nel tempo passato – bisogna affrontare tutti i passi necessari per dare prospettive concrete alle singole associazioni e al movimento in generale.