Albore Jazz – ALBCD-021 – 2013
Paolo Recchia: sax alto
Enrico Bracco: chitarra
Nicola Borrelli: contrabbasso
Three for Getz mette in luce l’aspetto melodico, morbido e delicato dell’approccio musicale di Paolo Recchia. Accompagnato dalla chitarra di Enrico Bracco e dal contrabbasso di Nicola Borrelli, il sassofonista si misura con un repertorio ispirato a Stan Getz, costituito da brani spesso affrontati dal sassofonista statunitense: il confronto diventa, di volta in volta, omaggio, riflessione in musica, confronto tra generazioni e attitudini interpretative, rinnovamento dei propri punti fermi e sguardo alla storia del jazz.
I tre elementi presenti in questo lavoro, vale a dire un nume tutelare come Stan Getz, il repertorio normalmente collegato alle sue performance e una formazione, appunto, più leggera come il trio composto da sassofono, chitarra e contrabbasso, offrono il destro a Paolo Recchia per esplorare le proprie peculiarità su un terreno meno frequentato nei suoi precedenti lavori, per mettere da parte la parte più energica e muscolare a favore di una fluida disposizione melodica.
In Three for Getz, il sassofonista italiano riprende temi meno scontati o meno “blasonati” tra quelli solitamente suonati dal Maestro statunitense e si applica alla ricerca di un rapporto fertile con i cardini espressivi e semantici dello stile di Stan Getz. Melodia, naturalmente, ma anche intensità emotiva, la ricerca di una cantabilità semplice e immediata e allo stesso mai banale e poggiata su fondamenta solide. Stan Getz è stato tra coloro che meglio hanno rappresentato l’incontro del jazz con le sonorità del Brasile, uno tra i primi jazzisti riconosciuti a livello popolare a collaborare con Joao e Astrud Gilberto, con Tom Jobim e gli altri campioni della bossanova. Un’operazione fortunata sotto ogni punto di vista, fondamentale per aver creato una strada utile e battuta da tantissimo jazz venuto alla luce negli ultimi cinquant’anni, vale a dire una musica spesso aperta all’incontro. Getz ha realizzato quei lavori mantenendo ben salde le proprie premesse di partenza, ma aprendo al tempo stesso la possibilità di mettere in gioco stile e personalità per un approccio che si è rivelato quanto mai fertile. Come è ovvio, Stan Getz non è stato solo questo: negli anni cinquanta ha rappresentato una alternativa tanto al bebop quanto alle evoluzioni meno significative del jazz californiano. Se si vuole riassumerlo in una definizione è stato uno dei grandissimi del jazz e, fino alla fine della sua carriera, ha mantenuto fede al suo modus operandi, alla radice del suo stile, senza tentare goffe trasformazioni.
Paolo Recchia dal canto suo entra in modo gentile e rispettoso in questo mondo e lo fa con un atteggiamento simile, se si vuole. Tradizione e melodia sono i riferimenti attestati sin dall’apertura: l’intenzione è quella di smussare ogni spigolo, di rendere rotondo e fluido ogni passaggio. Recchia conferisce peso e importanza alla melodia e usa la tradizione per andare a cogliere quanto si possa ancora esprimere a partire da quel materiale. E nel fare questo, una volta chiarito il terreno su cui ci si muove, il trio non rinuncia ad inserire alcune spinte più energiche e a dare la giusta varietà al discorso sonoro, a dare spazio alla propria cifra interpretativa. Il tutto avviene naturalmente senza prese di posizione che risulterebbero fuorvianti, senza stravolgimenti stilistici che sarebbero senz’altro fuori luogo: la rilettura di Recchia, Bracco e Borrelli è rispettosa, senza essere supina, e cerca di trarre dal materiale tutte le chiavi possibili per dar spazio alla propria voce.