Foto: Fabio Ciminiera
Fabrizio Bosso, premio alla carriera a Valenza.
Venerdì 22 novembre alle ore 21 presso il Teatro Sociale di Valenza Po, in provincia di Alessandria, gli Amici del Jazz di Valenza assieme al Sindaco e all’Assessore alla Cultura conferiscono il Premio ala carriera a Fabrizio Bosso, secondo vincitore dopo il precedente del 2012 conferito al pianista Dado Moroni. Alla Premiazione farà seguito il concerto basato su Enchantment in quartetto e con l’Orchestra Classica di Alessandria diretta dal M° Stefano Fonzi.
Quarant’anni da poco compiuti (nasce infatti a Torino il 5 novembre 1973), immaginifico trombettista, forse, sulla scena italiana, il più dotato a livello tecnico ed espressivo, Fabrizio Bosso in meno di vent’anni, si impone giovanissimo come jazzman di caratura internazionale, mettendo tutti d’accordo, grazie alla mirabile capacità di fondere ogni linguaggio jazz moderno, dal bebop al cool, dal mainstream alla bossanova, dal soul al free, nei più svariati contesti orchestrali dal camerismo del duo alla magniloquenza della big band. Bosso ha sviluppato altresì un virtuosismo strumentistico ragguardevole, perfettamente a proprio agio sui tempi veloci, senza nulla togliere all’intensità delle ballads, nel solco dei grandi maestri da Dizzy Gillespie a Clifford Brown, da Lee Morgan a Wynton Marsalis.
Eccellente accompagnatore di cantanti sia maschili che femminili, Bosso vanta un curriculum strepitoso anche nelle collaborazioni con altri jazzisti sia stranieri che italiani. Bosso, dal carattere tranquillo e riservato, sempre acuto e intelligente durante le interviste, serio e professionale, quando registra o suona davanti a centinaia di persone, mostra da sempre un appassionato desiderio di esibirsi in pubblico come di lavorare in studio: dal 2000 al 2013 sono ben diciannove gli album a suo nome o dove è indicato come guest star, tutti di notevole livello.
Al momento non esistono libri o biografie su Fabrizio Bosso, ma alcuni dati biografici si possono tranquillamente ricavare dalle numerose interviste concesse, a cominciare dai ricordi d’infanzia.
«Ho iniziato da piccolissimo a suonare: sentivo mio padre, che è un trombettista non professionista, e nella mia famiglia c’erano diversi altri musicisti. Dopo aver distrutto tre trombe di plastica a cinque anni me ne regalarono una vera. A dieci anni suonavo con mio padre nelle big band: non so se questo vuole dire essere predestinato, però era quello che desideravo fare. Non sono stato spinto dai miei a farlo ma hanno assecondato i miei desideri.»
È interessante poi sapere quali sono i musicisti fondamentali che Bosso conosce direttamente nel corso degli anni. «Tutti gli incontri che ho fatto sono stati importanti, per un motivo o un altro e ciascuno ha contribuito alla mia crescita artistica. Dunque dovendo darti solo tre nomi vado in ordine di tempo: comincio con Gianni Basso. Ho cominciato a suonare nella sua Big Band che avevo 15 anni. Mi ha condotto per mano, a lui devo, fra le mille cose che mi ha insegnato, la comprensione di che cosa fosse per davvero lo swing. Il secondo è Wynton Marsalis. Ho suonato con lui tre volte in jam session. L’ultima risale a una decina di anni fa. Quello che mi ha colpito di lui è la concretezza di ogni nota che esce dal suo strumento. E la consapevolezza assoluta di ciò che sta facendo. Musicalmente lui fa esattamente ciò che vuole! Il terzo è Charlie Haden. Ho avuto modo di suonare con lui e la sua Liberation Orchestra alcuni anni fa, sostituivo la prima tromba per quattro concerti nel tour europeo che faceva con un repertorio diretto e arrangiato da Carla Bley. L’orchestra suonava acustica sul palco, tutto si svolgeva a volumi naturali, a volte sembrava di sussurrare. Eppure l’impatto che la musica aveva sul pubblico non solo non ne soffriva ma anzi comportava una attenzione e una magia che avvolgeva tutti.» E l’insegnamento che Fabrizio trae da tutto ciò è il seguente: «Una esperienza che ha dato un elemento fondamentale il mio modo di suonare, ho avuto la prova concreta che l’intensità non passa necessariamente dalla forza ma dalla qualità della musica e del suono. Io suono uno strumento molto fisico e dunque mi sono dedicato molto alla ricerca dell’intensità espressiva».
Ed è infine doveroso conoscere (e riconoscere) il parere del diretto interessato a proposito delle numerose collaborazioni con i divi del pop, che sono oggetto di critiche spesso severissime da parte dei puristi del jazz: «Io sono un musicista e un jazzista e non solo amo ma credo di fare il giusto incontrando e confrontandomi con altri generi musicali, se ancora ha senso fare delle distinzioni. Inoltre non faccio nulla di strano, porto il mio linguaggio, che è quello del jazz, laddove me lo chiedono. Musicalmente non scendo a compromessi. La divulgazione dell’arte è qualcosa che dovrebbe interessare a tutti, no?» E la divulgazione resta uno dei fini e dei mezzi di prim’ordine per lui: «Mi diverte, e mi diverte molto. Inoltre quelle situazioni ti costringono a riassumere in poche battute chi sei. In un concerto puoi giocartela molto meglio, hai modo di esprimere tante sfumature della tua personalità. Lì è tutto concentrato, devi essere molto concentrato ed efficace».