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Travelers, il disco itinerante di Matteo Bortone.
Travelers è il primo disco da leader del contrabbassista e compositore Matteo Bortone. È un lavoro che presenta tratti di originalità e aperture che vanno al di fuori del jazz, verso lidi lambiti dal rock, dal blues e dalle sonorità contemporanee. Travelers è composto da brani originali, che alternano fasi melodiche, nostalgiche e acustiche ad altre elettriche, spigolose e a volte taglienti, che squarciano la realtà come i tagli di Fontana la tela. Al progetto di Bortone hanno preso parte Francesco Diodati alla chitarra, Antonin-Tri Hoang al sax alto e clarinetto basso, e Guilhem Flouzat alla batteria. Un quartetto italo-francese per un cd di spessore, costruito su idee interessanti e di qualità, dove l’iterazione tra i musicisti è la formula vincente di Travelers.
Jazz Convention: Dalla Puglia a Milano e poi a Parigi. Chi è Matteo Bortone?
Matteo Bortone: Prima di tutto un musicista, ma il “prima” non va inteso nel senso cronologico visto che ho scelto di dedicarmi appieno alla musica molto tardi. E visto che sono partito a ritroso, ora sono rientrato a vivere in Italia (a Roma) dopo 8 anni passati a Parigi dove ho conseguito un Master in Jazz al Conservatorio Superiore a Parigi; prima di Parigi ho vissuto a Milano dove ho studiato economia e turismo. Fino a 18 anni sono cresciuto a Otranto in un ambiente familiare nel quale l’imprenditoria era l’attività principale e nel tempo libero suonavo brani dei Beatles e Led Zeppelin alla chitarra nei falò in spiaggia a Otranto.
JC: Ti sei diplomato a Parigi… Cosa c’è di diverso nell’ambiente musicale francese rispetto a quello italiano?
MB: La differenza più significativa è sicuramente la maggiore importanza che l’arte riveste nella società e nella cultura popolare, in Francia. La musica, di conseguenza, viene valorizzata particolarmente e questo crea più stimoli, più agevolazioni e supporto, oltre che più libertà espressiva, in quanto le scelte artistiche non sono dettate esclusivamente da logiche di mercato. Per sintetizzare, c’è più spazio per tutti. Frequentare il Conservatorio a Parigi è stata un’esperienza unica, mi ha fatto capire l’importanza di avere una propria voce e una propria idea della musica, che vada al di là dei generi musicali; ho partecipato a tanti progetti e soprattutto ho avuto la possibilità, irripetibile, di poter scrivere per orchestra sinfonica.
JC: Fai parte del gruppo Oxyd con il quale hai inciso due dischi, Onze heures onze e Oblivious. In Italia hai registrato con Lanzoni, Nicola Sergio e Piero Delle Monache. Inoltre hai suonato con nomi importanti del panorama jazz italiano e straniero. Che ricordi hai di queste collaborazioni?
MB: Ogni collaborazione che sia partecipare in una band stabile è un’esperienza interessante e costruttiva perché, a differenza di quando si fa il “sideman” occasionale, suonare e preparare un repertorio con gli stessi musicisti permette di entrare più a fondo nel “suono” dell’ensemble e nel mondo compositivo del leader. Questo vale a priori, indipendentemente dal genere musicale; in qualsiasi stile musicale, l’importante è reagire in funzione di quello che ti sta intorno e dosare il giusto grado di creatività, prendendo le decisioni che aiutino la musica ad uscire al meglio. Con Alessandro Lanzoni c’è stata subito un’alchimia particolare che ha aiutato a crescere insieme, mentre con Oxyd ricordo che è nato tutto molto lentamente, provavamo molto, la musica era molto difficile e c’è voluto del tempo prima di sentirci a nostro agio e poter esprimerci al meglio.
JC: Travelers, le ragioni di un titolo?
MB: Essendo un gruppo italo/francese, il viaggio è sempre stato un elemento presente nella musica del gruppo. Poi c’è anche dell’autobiografia nella scelta del nome, ovviamente, essendo cresciuto in posti molto diversi a livello culturale. Il disco, ha come tema principale il movimento; ho scritto i brani tra Otranto, Roma e Parigi.
JC: Il disco è realizzato in quartetto, due italiani e due francesi. Come definisci il jazz suonato in Travelers?
MB: Credo che i Travelers suonino una musica sicuramente jazz, in quanto c’è improvvisazione (anche se, non so se l’elemento improvvisazione basti a definire una musica come “jazz”) con risvolti rock e pop. Mi sento affine a diversi generi, senza tuttavia rivendicarne uno in particolare; come compositore cerco piuttosto di sintetizzare le mie influenze, di interiorizzarle, sperando di arrivare ad una sonorità personale. Quello che scrivo per i Travelers è finalizzato a creare qualcosa di collettivo invece di enfatizzare l’abilità solistica dei singoli. In questa prospettiva, essere leader per me è fondamentale quasi solo nel punto di partenza, nel momento in cui scrivo e organizzo il materiale, che alle volte spiego nel dettaglio, alle volte invece lascio libero alle interpretazioni degli altri della band; ci conosciamo da tanto e quando penso ad un nuovo brano, immagino già come lo suonerebbero Antonin, Francesco e Ariel, cerco di scrivere “per” noi. Questo richiede molta fiducia nei propri compagni che, proprio attraverso un’individualità molto definita riescono a elaborare un suono di gruppo.
JC: Le composizioni sono scritte tutte di tuo pugno tranne Man Of The Hour. Come nascono? Ce le puoi descrivere?
MB: Le composizioni non nascono sempre allo stesso modo; spesso è un’idea fortuita, casuale che può essere melodica, ritmica o un accordo particolare. Altre volte improvviso liberamente registrandomi e quando riascolto può succedere che prendo qualche frase qua e là. In ogni caso, cerco di elaborare l’idea provando ad evitare automatismi o cercando soluzioni alternative che mi permettano di dirigermi verso strutture e forme dei brani diversificate. Man of the hour, è un brano che mi è piaciuto subito e la voce di Eddie Vedder è unica, l’ho associata immediatamente alla singolarità del clarinetto basso di Antonin. È sempre difficile analizzare nel dettaglio la musica, personalmente credo che la cosa più complicata sia quella di andare a fondo in una singola idea, svilupparla e indirizzarla verso soluzioni diverse che non siano le più immediate o le più ovvie.
JC: Come vedi il tuo futuro di jazzista?
MB: Mi piacerebbe studiare più musica classica al contrabbasso (a Parigi ho studiato due anni), e sicuramente ho voglia di andare più a fondo nella composizione, sto pensando ad un nuovo disco con i Travelers. Collaboro ancora con qualche formazione francese e, in generale, spero di moltiplicare gli incontri, le collaborazioni e di conoscere personalità sempre più stimolanti dalle quali apprendere e migliorare.