Slideshow. Joe Pisto

Foto: Ilaria Marè










Slideshow. Joe Pisto.


Jazz Convention: Così, a bruciapelo chi è Joe Pisto?


Joe Pisto: Bene, iniziamo già con le domande difficili… Joe Pisto è tante cose, è un cantante, un chitarrista e nel suo piccolo un compositore. È l’insieme di molteplici esperienze musicali e di vita, che alla fine escono fuori liberamente senza vincoli di genere e/o stile, e quando suona cerca di esprimerlo comunicandolo a chi ascolta.



JC: E, altrettanto a bruciapelo, mi spieghi cos’è London Vibes, il tuo nuovo cd?


JP: London Vibes è il mio debut album da vocalist registrato a Londra lo scorso anno e uscito per la EmArcy/Universal Music ad Ottobre 2012. Registrare un album come vocalist era un’idea che covavo già da tempo, avevo voglia di fare un omaggio al songbook americano e quindi al Jazz tradizionale – sempre alla mia maniera – da qui il mio viaggio a Londra per poter vivere la città musicalmente e poter conoscere e suonare con tantissimi e validissimi musicisti, tra cui i musicisti che poi hanno suonato nel disco: un’esperienza che mi ha dato la spinta e lo stimolo definitivo per realizzare il progetto, che ho dedicato appunto alle vibes londinesi, al mood e alle emozioni che ho vissuto in quel periodo. Ho scelto le canzoni che più amavo in quel momento e ho cercato di comunicare le sensazioni che suscitano in me, interpretandole in questo album che contiene nove brani di cui sette standards – tra gli autori Cole Porter, Gershwin, Sonny Rollins, Young, un vecchio blues di Fats Domino – e due miei brani originali. Ne approfitto per ricordare e ringraziare i grandissimi musicisti che ne fanno parte e quindi Ross Stanley al pianoforte, Quentin Collins alla tromba, Tim Thornton al contrabbasso e Enzo Zirilli alla batteria.



JC: Mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica?


JP: Beh, bisogna andare molto indietro negli anni, a quando avevo 6-7 anni ed ascoltavo mio padre suonare la fisarmonica – e cantare – in casa. Ho scoperto crescendo che suonava ad orecchio alcune canzoni popolari e canzoni napoletane: da lì mio padre ha iniziato ad iscrivermi ai piccoli concorsi canori del mio paese e dei dintorni facendomi appassionare al canto e alla musica. Quindi il mio primo strumento è stato la voce.



JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare un musicista jazz? E in particolare un chitarrista e cantante jazz?


JP: Non mi piace essere definito un musicista jazz, mi sento più una persona che fa musica a 360 gradi e quindi un musicista. Ho avuto talmente tante esperienze musicali diverse che è impossibile a mio avviso essere un musicista jazz “puro” e poi a me piace tutta la bella musica. Se poi vogliamo andare nel particolare, al jazz in senso tradizionale sono approdato da poco in realtà: è dal 2006 che mi sono avvicinato più seriamente al jazz anche da un punto di vista dell’ascolto. Ho un percorso musicale particolare nel senso che ho iniziato a cantare da piccolissimo per poi, verso i 16 anni, innamorarmi della chitarra classica diplomandomi al Conservatorio di Matera nel 1995. Ho suonato musica classica come solista e in formazioni da camera fino quasi al 2000 anche se contemporaneamente mi appassionava e studiavo da autodidatta la musica rock, soul, funk e jazz, ho anche scritto canzoni. Da qui poi l’ascolto di grandi solisti jazz e soul – primo fra tutti George Benson, del quale ho quasi tutti i dischi, ma anche i grandissimi Stevie Wonder, Al Jarreau, Marvin Gaye, Chet Baker, Ella Fitzgerald, Herbie Hancock – mi ha “allontanato” dalla musica classica e mi ha avvicinato al jazz e alla musica moderna.



JC: Cosa prevale in te, il cantante o il chitarrista?


JP: Dipende dal contesto musicale in cui sto suonando. Ad esempio nel mio progetto musicale “Jazzango” – un misto di tango, musica mediterranea, improvvisazione – uso prevalentemente la chitarra classica e utilizzo la voce soltanto come suono, mentre quando canto gli standards sono magari più concentrato sulla voce e di contorno c’è la chitarra: va a momenti. Diciamo che vanno di pari passo: avrei solo bisogno di una giornata più lunga per poter riuscire a dedicare ad entrambi in egual misura del tempo per studiare.



JC: Hai dei modelli di riferimento al proposito?


JP: Ce ne sono tantissimi… Wes Montgomery, Benson, Scofield, Jim Hall, Joe Pass, Chet Baker, Ella, Jobim, Sarah Vaughan, Stevie Wonder, Marvin Gaye, Donny Hathaway, Betty Carter e l’elenco potrebbe continuare per molto…



JC: Cos’è per te il jazz?


JP: Il jazz è il linguaggio che ti permette infinite possibilità espressive, è espressione della libertà, è una forma d’arte meravigliosa ed incredibile.



JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica jazz?


JP: Sono svariati e diversi: dipende dal momento che sto vivendo… malinconia, incisività, tranquillità, sofferenza, gioia, ma anche un viaggio, racconto, un film.



JC: Tra i dischi che hai fatto ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionato?


JP: In realtà sono due i dischi a cui tengo in particolar modo, proprio perché mi rappresentano nei miei due aspetti, il chitarrista/compositore da una parte e il cantante dall’altra, e sono appunto Sole di Notte del mio già citato progetto Jazzango e il mio ultimo cd London Vibes.



JC: E tra i dischi che hai ascoltato quale porteresti sull’isola deserta?


JP: Sicuramente Blue Benson di George Benson! Perchè è stato il primo vinile di jazz che ho acquistato nel periodo in cui studiavo musica classica e che mi ha letteralmente conquistato. Qui Benson è in compagnia dei grandissimi Herbie Hancock e Ron Carter. Poi Kind of Blue di Davis e per finire il Requiem di Mozart, immenso, diretto da Harnoncurt.



JC: Quali sono stati i tuoi maestri nella musica, nella cultura, nella vita?


JP: Bach, Mozart, Chopin, Coltrane, Davis, Hendrix, Mingus, Pink Floyd, Gandhi, Mandela, i miei genitori e tutta la mia famiglia ma anche gli amici più cari.



JC: C’è per te un momento più bello degli altri nella tua carriera di musicista?


JP: Ce ne sono diversi in realtà perché ogni momento è unico e irripetibile a patto che ci si diverta sempre! Forse però quello che rimarrà indelebile nella mia mente risale all’anno in cui partecipai ad una Masterclass con il grandissimo chitarrista venezuelano Alirio Diaz, un mito per me. Io suonai uno dei suoi cavalli di battaglia, la Suite in La minore di Manuel Ponce, e alla fine lui si alzò in piedi applaudendomi e incitando l’intera classe ad alzarsi e ad applaudirmi. Fu un momento molto emozionante e gratificante per me!



JC: Quali sono i musicisti con cui ami collaborare?


JP: Non c’è un musicista in particolare, ognuno dei musicisti con cui ho collaborato o collaboro ha saputo regalarmi delle grandi emozioni. Alcune sono state collaborazioni sporadiche mentre altre più costanti ma allo stesso modo hanno contribuito e contribuiscono alla mia crescita musicale e non. Sì, perché ogni collaborazione è stata importante sia sotto il profilo umano che musicale… sicuramente ricordo con piacere la collaborazione con Fresu, con Eumir Deodato, ma anche con Fabrizio Bosso, con il cantante soul Omar Lye Fook, con l’amico Fausto Beccalossi enorme talento della fisarmonica, con gli stessi musicisti inglesi presenti nel mio ultimo lavoro, ognuno ha saputo trasmettermi la propria poetica musicale lasciandomi qualcosa da cui attingere.



JC: Come vedi la situazione della musica in Italia?


JP: Sicuramente si potrebbe fare di più per la musica e per la cultura in genere… non c’è spazio ad un ricambio generazionale, l’arte in tutte le sue espressioni dovrebbe essere alla base della vita dell’individuo ed invece non succede questo: ci sono tagli, tagli alla scuola,al cinema, alla cultura, e di conseguenza c’è meno possibilità di crescita e spazio per esprimere se stessi e la propria arte…non dimentichiamoci che già per l’uomo preistorico la prima forma di espressione era quella artistica, quella del disegno!



JC: Avendo vissuto per qualche tempo a Londra, che differenze riscontri nel jazz fra Italia e Inghilterra a tutti i livelli?


JP: In realtà sono stato soltanto un breve periodo a Londra e ora vivo in Italia anche se appena posso volo in Inghilterra. Ho frequentato molto spesso Londra negli ultimi due anni e posso dire che la città pullula di musicisti eccezionali non solo nell’ambito jazz ma nei diversi generi musicali. La musica live è presente ovunque nella città anche perché non ci sono tutti i problemi burocratici presenti in Italia. Per cui risulta essere un’ottima palestra per i musicisti con la possibilità di poter suonare ogni giorno con grandissimi talenti. C’è un’ampia scelta di scuole in cui poter studiare musica o arte e i giovani sono molto preparati perché iniziano da piccoli a studiare. A Londra ancora oggi vengono creati i nuovi modi di fare musica, che poi prendono il volo verso il mondo intero. L’Inghilterra è la patria dei Beatles, dei Rolling Stones, Led Zeppelin, Genesis, di David Bowie ma anche di Kenny Wheeler, John Taylor, Norma Winston. Per cui è luogo di grande cultura musicale e crescita professionale a 360 gradi. Senza dubbio, il clima e il cibo sono meglio in Italia.



JC: Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?


JP: Sto ultimando di scrivere ed arrangiare i pezzi per registrare il secondo album con il mio progetto “Jazzango” ed entro la fine dell’anno registrerò a Barcellona un disco con il pianista Ignasi Terraza con il quale quest’anno ho iniziato una collaborazione. Poi altre idee in cantiere ma che hanno bisogno di un po’ più di tempo per essere realizzate.