Foto: Fabio Ciminiera
Rotta verso Guantanamo. Guantanamo @ Zingarò Jazz Club, Faenza.
Faenza, Zingarò Jazz Club – 27.11.2013
Fabrizio Puglisi: pianoforte, sinth ARP
Pasquale Mirra: vibrafono
Davide Lanzarini: contrabbasso
Danilo Mineo: percussioni
William Simone: percussioni
Gaetano Alfonsi: batteria
La prima cosa che si nota è la massa di insieme degli strumenti: un tutt’uno totalizzante, debordante nello spazio già di per sè contenuto del club. Una macchina sonora ampia, articolata, proteiforme. Guantanamo annovera quattro strumenti a percussione – se tra essi vogliamo inserire anche il vibrafono – e gli stessi Puglisi e Lanzarini spesso e volentieri si ritrovano a percuotere e agitare strumenti diversi da pianoforte e contrabbasso. Questo ci porta alla seconda considerazione, alla seconda evidenza che appare non appena il gruppo comincia a suonare: il volume dell’ensemble è contenuto, soffuso quasi, bisogna stare in silenzio e prestare attenzione alla musica per ascoltarne tutte le sfumature. La macchina, articolata e proteiforme, “parla” piano e sfrutta così le dinamiche con la massima ampiezza possibile e si pone nei confronti del pubblico con una sorta di cortesia, una buona creanza tutta meridionale nei confronti del pubblico, e una gentilezza nei confronti della musica che invita quasi automaticamente gli spettatori alla concentrazione.
Come terzo elemento arriva il repertorio scelto. Guantanamo è un lembo di terra dell’isola di Cuba sul quale gli Stati Uniti hanno installato una base navale: le relazioni tra i due stati e le scelte fatte negli anni – il carcere e le relative situazioni – hanno contribuito a tenere alta l’attenzione della politica internazionale su questo luogo . Il sestetto utilizza questo nome per individuare un viaggio multiplo e plurale di andata e ritorno tra Cuba e gli Stati Uniti e, in particolare, New York, un incontro tra jazz e ritmi caraibici e le loro successive contaminazioni e, soprattutto, non fa mistero alcuno del debito verso le radici africane, le poliritmie e l’ancestralità dei suoni.
Il concerto tenuto allo Zingarò Jazz Club si apre subito con Un poco loco di Bud Powell e con la presentazione-manifesto che ne fa lo stesso Puglisi: se Powell all’inizio degli anni cinquanta compone e registra un brano del genere, con un titolo in spagnolo e con i chiari riferimenti stilistici che lo attraversano è perché a New York la comunità dei musicisti provenienti da Cuba e dalle altre isole dei Caraibi è già importante e portatrice di accenti tanto nuovi ed esotici all’orecchio dei musicisti e del pubblico quanto presenti nelle radici del jazz, arrivato nel frattempo agli anni del bebop e delle esperienze latin di Dizzy Gillespie e molti altri. Il repertorio si sviluppa attraverso standard rivisti al ritmo di bolero – come My one and only love – e le visioni afrocentriche della versione proposta di Turkish Mambo, brano di Lennie Tristano già intriso di soluzioni poliritmiche, e gli originali che ben si prestano al lavoro della formazione.
Guantanamo si prefigura, in tutto e per tutto, come sestetto a guida collettiva: formazione compatta dove spiccano la combinazione percussivo-melodica degli assolo di Pasquale Mirra e Fabrizio Puglisi a dare un indirizzo al lavoro costante ed estremamente curato della ritmica. Le sfaccettature dell’intervento di e Lanzarini, Mineo, Simone e Alfonsi creano un tessuto denso ma mai ridondante o affollato, discreto quanto possibile e attento ai particolari. La musica di Guantanamo è carica di una energia che viene rilasciata con oculata gradualità: si avverte la spinta ritmica ma l’idea è quella di coinvolgere l’ascoltatore in un ragionamento dalle varie implicazioni.