Traumton Records – Traumton 4590 – 2012
Erika Stucky: voce, elettroniche, digi-bass, fisarmonica, violini
Michael Blair: batteria, percussioni, dropbox, loops, cori
David Coulter: chitarra elettrica tenore, violectra, piano preparato, sega musicale, cori
Terry Edwards: sassofoni, flicorno, organo, chitarre, basso elettrico, cori
Knut Jensen: ukulele, glockenspiel, elettroniche, clavicembalo, cori
Steve Nieve: piano preparato, elettroniche
Lucas Niggli: batteria, percussioni, glockenspiel
Marc Unternahrer: tuba
Ioanna Seira: violoncello
Tra fumo ed arrosto, operare una demarcazione netta e funzionale non è sempre impresa proba, e nemmeno meritoria: ma il fumo delle citazioni e dei seminali ancestors non è qui fuorviante, ancor meno nebuloso, e in poche mosse si svela ancorato a solide concretezze di background ed ispirazioni.
L’artista nativa di San Francisco e precocemente reincorporata nell’originaria Svizzera ha metodologicamente fatto della necessità di sopravvivere al “trauma culturale” la virtù di elaborare in celerità la peculiare miscela di Swiss-American-feel-of-Life – testuale! – coerentemente devoluto fino al sesto lavoro discografico: album palesemente còlto e di vaste prospettive, Black Widow non sembra marcare poi nemmeno più di tanto il pedale del caratterismo d’immagine né cercare approcci catturanti giocati sull’effimero.
Modellandosi su un pop-rock d’allure ampiamente ibrida e morfologicamente senza membrane protettive, pur strutturandosi su un sapiente senso sell’orchestrazione, incorporando sapientemente un camerismo còlto su matrici da blues primigenio e portando a remote conseguenze i segni della psichedelia e certi umori da Kraut-Kabarett (con tutta la legittima repulsa per quante (il)legittime etichette) e non ignorando la formazione semanticamente molto USA e segnatamente molto indie, il lavoro – in diretta discendenza dal grande cantautorato “deviante” – non difetta però di progettualità palese ed estensiva fruibilità.
Tra le fitte, godibili campiture chitarristiche, le spiazzanti libertà foniche del piano preparato, le vigorose marce degli ottoni, qualche rotondità “Isham-style” della tromba e le stimolanti macchinazioni elettroniche, la varia ricchezza dell’effettistico puzzle timbrico incastona da gran cornice la vocalità “adeguatamente” segnata, abile nel dosare humour e sempre calibratamente drammatica di una protagonista che non s’atteggia né gioca di bluff nel non manifestare complessi d’inferiorità e declinare il proprio solido retaggio.
Registrato ed edito tra Londra, Berlino e Stoccolma, sotto l’egida della Stadt Zürich, opera che certamente tanto deve all’oculato casting nella scuderia di talenti prevalentemente votati al multistrumentismo e di mai banale apporto, Black Widow è opera sfaccettata, articolata e completa, che della peculiare solista disvela il talento maturo, “diversamente empatico” e variamente coinvolgente.