Zeno De Rossi Trio – Kepos

Zeno De Rossi Trio - Kepos

El Gallo Rojo/Musica Jazz – MJCD 1271 – 2013




Francesco Bigoni: sax tenore, clarinetto

Giorgio Pacorig: Fender Rhodes

Zeno De Rossi: batteria





Sax tenore, Fender Rhodes e batteria: formazione senza basso e con le tastiere utilizzate in una maniera che richiama da vicino una concezione chitarristica, una sintesi intrigante tra elemento acustico e suoni elettrici e manipolati. Zeno De Rossi conduce la maggior parte del lavoro attraverso atmosfere soffuse e dai toni contenuti, guidato da un’attitudine che punta a sottrarre e a limare. Altra peculiarità è quella di costruire o utilizzare in diversi casi andamenti cicliche che permettano ai tre musicisti di non dover dire tutto subito, ma di poter tornare sul punto e completare il discorso.


All’interno dello sviluppo del disco ci sono brani come Sournoise o Shades of Bill Frisell dove volumi si fanno più alti e le dinamiche più aggressive. La confidenza reciproca e l’agilità del trio permettono alla formazione di spostare velocemente il proprio baricentro per affrontare le diverse situazioni. La visione collettiva del trio “elimina”, per così dire, il concetto di assolo tipicamente inteso per lasciare spazio a una andatura condotta in maniera condivisa.


Kepos diventa in questo modo un disco fortemente basato sulla melodia. Anche negli episodi più informali come ad esempio Funis ambulans è la linea cantabile del sassofono, seguita dal Fender Rhodes, a dare le coordinate di quanto viene sviluppato dal trio. La combinazione cercata delle tre voci diventa la spina dorsale del lavoro: De Rossi, Bigoni e Pacorig utilizzano l’assenza del basso per punteggiare e sottintendere quanto dovrebbe accadere in quel “luogo”, senza assumersi il compito di disegnare una linea per dare respiro alle interpretazioni. Il fatto che Pacorig utilizzi un approccio più vicino a quello di un chitarrista ha come contraltare la leggerezza degli interventi di De Rossi: i musicisti suonano come se avessero in mente la linea di basso che talvolta viene intercettata da qualcuno dei tre e che viene lasciata all’immaginazione dell’ascoltatore.


Su queste combinazioni fluide e “spaziose” Bigoni dispone i suoi interventi con matura sicurezza e pertinenza sia al tenore che al clarinetto. Una prova giocata in maniera equilibrata, senza essere mai contratto o impaziente. Come si diceva sopra, il sassofonista interpreta al meglio le strutture circolari di alcuni brani per completare senza fretta i discorsi, tornando con calma e razionalità sulle frasi e lasciando che la musica proceda secondo i suoi tempi. La medesima attitudine paziente del sassofonista la ritroviamo anche nei due temi più aggressivi e diventando così una delle chiavi per la gestione coerente del lavoro.


Nella scaletta del disco, oltre ai brani di Zeno De Rossi e ai due brevi intermezzi a firma collettiva, troviamo tracce di provenienza differente: dall’apertura di Khaim firmata da Alfonso Santimone, a Deep Dead Blue di Bill Frisell ed Elvis Costello, da Cheyenne di Robin Holcomb alla chiusura con il crescendo intenso e austero di Forthright, brano del cantautore Vic Chestnutt. Le stesse composizioni del batterista, d’altronde, offrono chiavi interpretative differenti tra loro: la formazione, così, delinea attraverso i brani un filo narrativo reso unitario dalla propria voce e dai procedimenti utilizzati ma, al tempo stesso, variegato dalla diversa prospettiva dei vari momenti del disco.