Da Chicago a New Orleans: in viaggio sulle strade del blues e del jazz. Dialogo con Giulio Brouzet.

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Da Chicago a New Orleans: in viaggio sulle strade del blues e del jazz.

Dialogo con Giulio Brouzet.


L’armonicista milanese Giulio Brouzet si muove tra jazz e blues ed è appena rientrato dagli USA, in un tour che ha toccato Chicago, New Orleans, Memphis, Nashville, Omaha e Clarksdale: un viaggio nella terra del blues e del jazz.



Giulio Brouzet: La distinzione tra blues e jazz, negli Stati Uniti, è meno marcata rispetto a quanto avviene da noi, come ti dicevo a microfono spento. Soprattutto a New Orleans è davvero fare distinzioni tra i generi – rock, jazz, funk, blues e via dicendo – perché ognuno dei musicisti che ho incontrato o che ho ascoltato cercava di utilizzare il massimo spettro espressivo possibile, senza farsi problemi ad usare linguaggi e stilemi.



Jazz Convention: Tra i musicisti di blues, quali sono quelli che ti hanno impressionato di più in questo viaggio americano?


GB: La sonorità più originariamente blues le ho incrociate nel Delta del Mississippi. In una stupenda bettola di Clarksdale, che si chiama Reds, ho ascoltato un ragazzo di 14 anni che suona benissimo la chitarra elettrica e canta. Quando ho provato a parlarci e gli ho chiesto quale fosse il suo nome mi ha risposto: «Mi chiamano King Fish!» Non mi ha detto il suo nome… Un ragazzo un po’ sovrappeso, con la madre che gli faceva inalare il liquido contro l’asma – perchè nel locale si può fumare e, quindi, per i suoi problemi d’asma non era il massimo – ma che suonava un blues elettrico influenzato dal Delta e dalle sonorità ipnotiche alla John Lee Hooker. Poi sicuramente l’armonicista Johnny Sansone, che mi ha dato anche una mano per alloggiare a New Orleans (www.johnnysansone.com).



JC: Naturalmente, hai avuto anche modo di suonare. Con quali musicisti hai condiviso il palco?


GB: Ho suonato al Kingston Mines di Chicago con la strepitosa House Band e poi ho avuto modo di suonare con Sugar Blue al Rosa’s Lounge, sempre a Chicago, dove lui ha una gig fissa e mi ha invitato a suonare con una certa continuità, diciamo praticamente sempre nel periodo in cui sono stato lì. Il Rosa’s Lounge è un locale attivo dal 1983 dove hanno veramente suonato tutti, Buddy Guy, Willie Dixon, Pinetop Perkins, Billy Branch ha cominciato lì quando era ragazzino. Per dare un’idea del posto, nel locale hanno realizzato una cartolina con Obama che si esibisce sul palco e canta per festeggiare le vittoria. Un luogo davvero storico.



JC: Nel tuo viaggio, come dicevamo, sei arrivato a New Orleans. Che situazione musicale hai trovato?


GB: New Orleans ha un’offerta di concerti incredibile, non credo ci siano altre città che possano competere. Ci sono almeno un centinaio di concerti nei club e in più una ventina di concerti “grossi” o musical.



JC: Una città viva, nonostante l’uragano Katrina…


GB: Alcuni abitanti dicono che dopo Katrina la situazione sia anche migliore, nel senso che, anche se ci sono molte zone abbandonate, dove garage e seminterrati sono ancora pieni di acqua e, quindi, le condizioni igienico-sanitarie sono quelle che sono, il fatto di doversi rimboccarsi le maniche e di rimettersi in gioco per certi versi ha migliorato molti aspetti sociali. La criminalità, ad esempio, è calata moltissimo e, anche se ci sono delle sacche di malvivenza, sotto questo aspetto non è più come una volta. Naturalmente sono stato nei luoghi storici dove è nato il jazz come Basin Street, Carnaby Street oppure Bourbon Street. Ho suonato al Second Line Festival a Tremé, sempre nel quartiere francese. In Lafayette Square ho avuto modo di vedere James Cotton che ha fatto un concerto di grande generosità, ha suonato tanto e ha dato tutto. Ha le corde vocali distrutte e quindi non canta più come una volta ma è ancora fortissimo.



JC: Resta sempre un caposcuola…


GB: Nel blues e nel jazz, non contano tanto le capacità tecniche o la perfezione dei dettagli, quello che conta di più è avere qualcosa da dire e entrare in empatia con il pubblico e spesso questo lo si dimentica. Cotton è riuscito con tre parole a conquistare la piazza, a coinvolgerla. Altri musicisti hanno impiegato molto di più per farsi notare: lui è arrivato direttamente al cuore delle persone.



JC: Per quanto riguarda il jazz, qual’è la situazione in città?


GB: Ci sono senz’altro i gruppi tradizionali, però già gli stessi gruppi per turisti, soprattutto quelli di maggiore qualità, non sono “gruppi per turisti”, nel senso che lavorano sulla musica e si impegnano per mantenere la tradizione del suono di New Orleans. La cosa fondamentale è che il ritmo della marching band, quel modo di concepire la musica si trasmette a tutti coloro che fanno musica, anche in altri generi. Ogni cosa viene “trasformata” da quel tipo di sonorità che noi siamo soliti associare alla città.



JC: Mi hai anche raccontato di essere stato nel famoso incrocio dove Robert Johnson ha incontrato il Diavolo.


GB: Ero in questo jukejoint, da Reds come dicevo prima, e ho incontrato un signore che assomigliava a Charlie Musselwhite. Sapevo che Musselwhite era in città e volevo conoscerlo, per cui, un po’ per le luci basse un po’ per la suggestione, pensavo fosse lui e mi sono avvicinato. L’incontro però è stato interessante lo stesso perchè questo signore mi ha mostrato il Crossroad originale dove si dice Robert Johnson abbia fatto il patto con il diavolo e non quello solito tra la 49 e la Interstate 61, perchè al tempo la 61 non era dove è oggi. E io a mezzanotte sono andato a suonare lì, a fare la mia “offerta”: non è successo niente fino a mezzanotte meno un minuto… a mezzanotte precisa è successa qualche cosa, ma non ve la posso raccontare. Contrariamente a quanto si può immaginare, è un posto che rimane all’interno della città.



JC: Torniamo a Guido Brouzet armonicista. Parliamo della tua formazione e del tuo percorso…


GB: Ho cominciato, penso, per “colpa” di Bruno De Filippi, prima di tutti gli altri musicisti. In Nero a Metà c’era l’assolo con l’armonica cromatica di Bruno, in I say I sto ‘cca. Quel suono lì mi ha accompagnato quando ero piccolo e i miei genitori mettevano su il disco. Poi sono stato folgorato dai Blues Brothers negli anni ’80, quando è uscito il film. La cosa incredibile che ho scoperto in questo viaggio è che il film è realizzato benissimo perchè tutte le cose di cui parlano sono tutte le cose di cui sono fatte gli Stati Uniti. La convivenza razziale, la presenza della chiesa per gli afro-americani, la potenza tipica del blues per far stare insieme le persone.



JC: Vorrei che mi raccontassi l’incontro con Bruno De Filippi.


GB: Come nel film di Woody Allen, con Sean Penn che sviene non appena viene a sapere che c’è Django Reinhardt nelle vicinanze, io ero davvero molto emozionato quando incontravo Bruno De Filippi. All’inizio, cercavo di tendergli degli “agguati” dove suonava – ai festival de L’Unità, al Capolinea – per conoscerlo, una volta entrati in confidenza è sempre stato molto gentile e mi ha incoraggiato a proseguire.



JC: Ti ha dato anche qualche consiglio?…


GB: I consigli in realtà me li ha dati con la musica, mai dicendomi espressamente cosa fare. La passione che metteva nel suonare l’armonica è stata sicuramente una ispirazione. Mi diceva che gli piaceva moltissimo il modo in cui mi mangio e piego le note, fatto che proviene dal mio lato più blues. Ho sempre adorato le sue scelte di repertorio: Bruno trovava pezzi bellissimi e mi piaceva molto la combinazione del suo suono con quello dell’organo Hammond. Dal 2003, ho frequentato i Corsi della Civica dove ho potuto conoscere grandi musicisti milanesi, come Franco Cerri, Enrico Intra o Fabio Jegher che in quel periodo era l’insegnante di composizione. È stata un’esperienza importante, tanto che ho frequentato un anno di più i corsi di musica di insieme rispetto ai quattro anni canonici e poter migliorare le mie capacità.



JC: Veniamo alle tue esperienze di musicista. Quali sono stati i musicisti più importanti e i concerti più significativi che hai fatto?


GB: Sicuramente mi piace dire, come prima cosa, il concerto con l’Orchestra al Piccolo Teatro. Alle dieci del mattino, con arrangiamenti di Marco Gotti e Ennio Morricone seduto in prima fila pronto a ricevere un premio dal Comune di Milano, il primo pezzo era la colonna sonora di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto. C’era un passaggio un po’ storto, dispari, e poi rimaneva l’armonica da sola per la frase conosciutissima del tema. Ero nervoso perchè nelle prove avevo ciccato e nessuno era convinto che ce l’avrei fatta. Invece sul palco poi è andata bene e sono riuscito anche a divertirmi nel resto del concerto. Ho suonato a Break in Jazz con l’orchestra di Tomelleri e poi con i miei gruppi o con i gruppi di musica di insieme della Civica. E poi, insieme a Giuseppe Roccazzella, abbiamo realizzato un disco dedicato alle musiche di Monk.



JC: Per il futuro, cosa bolle in pentola?


GB: Abbiamo realizzato un EP, quattro brani in tutto, con l’etichetta Rogues Records (www.roguesrecords.com) di Londra diretta da Carlos Craparotta. Due sono in chiave più blues, gli altri guardano più al jazz: abbiamo limitato gli assolo e abbiamo cercato di creare un timbro acustico. Abbiamo suonato due cover – Midnight Cowboy, dall’omonimo film, e Stone fox Chase – e poi un mio brano Don’t fuss around me, un brano blues dove per l’improvvisazione guarda al jazz, e infine un brano lento suggestivo e rilassante, The Photographer, composto da me. Da dicembre sarà disponibile negli store online. Questo è un primo passo verso la realizzazione di un CD “completo” che mi piacerebbe chiamare, anche se può sembrare banale, Bye bye Tristezza: non se ne può più della negatività di questi tempi. La crisi ad esempio ha fatto si che a Milano, ad esempio, sia rimasto un solo locale con una vera e propria jam session dedicata al blues, che teniamo al Sittin Bull, vicino Porta Ticinese.



JC: Quali sono i tuoi riferimenti nel jazz, i musicisti che ti appassionano?


GB: A me piacciono tutti i tipi di jazz, sia quello più impegnativo dove c’è bisogno di una attenzione “millimetrica”, sia quelli più rilassati dove puoi godere dell’onda lunga del brano. Adoro Horace Silver e Kenny Dorham, ma amo anche Lee Konitz e Lennie Tristano, situazioni agli antipodi per certi versi.



JC: Quali sono, oltre al celeberrimo Toots Thielemans, gli armonicisti che ti hanno ispirato per quanto riguarda il jazz e gli armonicisti attivi in Italia?


GB: Cominciamo dagli italiani e spero di nominarli tutti, mi scuso sin d’ora con quelli che dimenticherò. Alberto Varaldo di Torino, è bravissimo, ad esempio. Giuseppe D’Adamo, Giuseppe Milici e Max De Aloe stanno facendo delle cose interessanti. Un musicista che lavora in America e che mi piace molto è Gregoire Maret, ma anche Rob Paparozzi che si muove attraverso i vari generi, oppure il Trio Adler, un trio di musicisti israeliani. E ancora mi interessa molto Brendan Power, che lavora in Gran Bretagna, oppure Bart Leczycki, polacco con cui ho avuto modo di suonare quando sono stato a Varsavia.



JC: Parlaci dell’armonica. Che strumento è? È piccolo, economico…


GB: Si, non costa caro, ma se la usi professionalmente si rompe spesso e, quindi, diventa meno economica di quanto sembri. Ci sono tre o quattro tipo principali di armonica: le diatoniche, usate nel blues e nel folk, le armoniche cromatiche, quelle con i registri; le armoniche da accompagnamento, ad accordi e possono avere ance per creare effetti diversi e, infine, ci sono le armoniche basso che sono preparate per creare linee di basso. Un professionista deve avere diverse armoniche, diverse per tipo, quelle da studio e quelle da concerto: io ne ho una per i concerti importanti che so che non mi tradirà mai.



JC: Per chiudere, si riesce oggi a vivere di musica in Italia? E, soprattutto, come si può entrare in contatto con la tua musica?


GB: Diciamo che ho deciso di fare il musicista a tempo pieno quando ho visto che i contratti che si potevano ottenere con li lavori “tradizionali” erano del tutto simili a quelli da musicisti e allora mi son detto che valeva la pena tentare: se devo fare una “vitaccia”, almeno la faccio seguendo una passione. Per chi vuole scoprire la mia musica c’è il mio sito (giuliobrouzet.com) e la mia pagina su soundcloud (soundcloud.com/giulio-brouzet)