Free über alles – I dieci anni di Hyperactive Kid

Foto: Aldo Del Noce










Free über alles – I dieci anni di Hyperactive Kid.

Palermo, Goethe-Institut (Cantieri Culturali alla Zisa) – 21.11.2013.

Philipp Gropper: sax tenore

Ronny Graupe: chitarra a sette corde

Christian Lillinger: batteria


Costituito da autentici cavalli di razza, e già non più rising-stars, del free all’europea nonché dei rispettivi profili strumentali, il berlinese trio Hyperactive Kid ha in questi giorni effettuato un tour di ritorno sui nostri palcoscenici, secondo gli intenti dichiarati “tornando a suonare nei luoghi in cui è stato registrato il maggiore gradimento”.


Si torna così a calcare anche il palcoscenico dei Cantieri Culturali di Palermo, un bis dopo la loro indimenticata performance di tre anni orsono (epoca in cui uscì anche il comune lavoro discografico per JazzWerkstatt), ancora una volta grazie al già apprezzato sostegno del Goethe-Institut (tradizionalmente a supporto degli artisti germanici), che ha operato anche in questo caso in sinergia con l’associazione Curva Minore, di particolare spicco nell’investimento a favore di progetti eminentemente avant-garde.


A presentazione del presento concerto (che come nelle manifestazioni analoghe ha registrato il sold-out) abbiamo coinvolto l’animatore di quest’ultima, il contrabbassista-performer Lelio Giannetto.



Jazz Convention: «Una breve presentazione del concerto e del gruppo che ci accingiamo ad ascoltare?»


Lelio Giannetto: «Strepitoso, originale! Il trio Hyperactive Kid torna a Palermo per festeggiare 10 anni di attività. Hyperactive Kid, costituito nel 2003, è un gruppo composto da tre giovani, ma espertissimi, musicisti di Berlino, città che riunisce giovani musicisti provenienti da tutto il mondo. Il progetto proviene dalla ex Berlino Est e nasce in seno a questo contesto di originale sintesi fin dall’atipico organico che, nella scelta timbrica, trova inusitate quanto sorprendenti soluzioni musicali alle spesso intricate ramificazioni della musica di oggi, uno tra i più singolari progetti di musica attuale, fondendo jazz e rock, drum&bass e musica nuova, strutture e improvvisazioni che vengono legate ad un suono di sintesi, pieno di fresca energia. Le loro composizioni non cedono mai all’espressione per sezioni e trasformano così tempo e spazio sonoro in un unico suono, percepibile come una soluzione di logica continuità: attraverso network sonori inimmaginabili prima della loro costituzione, creano collegamenti tra ambienti e linguaggi della musica che lasciano a bocca aperta anche i più esperti ascoltatori, per la coerenza della costruzione sintattica e timbrica. Dal vivo sposano una straordinaria ed efficace sensibilità musicale: quella che attiene ad un perfetto equilibrio tra le ragioni del cuore e della mente. È la musica di oggi.»



Potremmo in effetti co-optare il non proprio reticente Maestro Giannetto come ghost-writer nel caso di un calo d’ispirazione, ma certo non discordiamo nella sostanza, nemmeno più di tanto nella forma: piuttosto tangibile, nella performance, la partecipazione individuale e l’impegno collettivo pervasi da un’espressione particolarmente “fisica” del free e dell’elettroacustica di elevate temperature e spiccatamente d’azione.
Nell’esposizione dei passaggi Hyperactive Kid non teme di esporsi a soluzioni in apparenza elementari, astutamente giocate e che non ostano sviluppi anche vertiginosi delle tracks, con violenti ingrossamenti dei volumi ritmici e incarnazioni piuttosto impetuose dell’ormai “classica” dualità sax-chitarra, così come non s’aliena da un senso proto-melodico genuino, spesso primitivo nello slancio ma nell’esito finale assai avanzato nei segni.


Il soundscape mostrava un’evidente revisione rispetto al concerto (non poi così remoto) di tre anni fa nella medesima sede, in cui si percepiva un’amalgama più contrastata e violenta, “diversamente spettacolare”, con più percettibile gusto dell’eccesso, oltre ai più decisi estri (incorporazioni hip-hop e slogature “benninkiane” incluse) del batterista Lillinger, che pur mantiene un drumming spregiudicato e letteralmente “all’ultimo respiro”, così come persistono le violenze salmodianti e le tensioni liquidamente bronzee delle sette corde di Graupe, e l’effettistica cruda e senza filtri delle possente ancia di Gropper.


Nella naturale evoluzione del trio non è di poco conto la continua revisione formale e di strategie apportata anche dai numerosi progetti individuali dei tre (tra cui ci sentiamo di segnalare, per Lillinger, il trio electro-jazz Grünen ed i progetti made in USA, per Gropper gli energetici quartetti Philm e Tau e per Graupe il trio free-style Spoom, ancora con Lillinger): e la band appare aver conformato un rinnovato, differente sound che, più compatto e funzionalmente più tendente alla coralità, veicola gli impeti e le concentrazione senza cali dei solisti.
Ciò manteneva elevata l’attenzione e soprattutto il gradimento del pubblico presente, condiviso con evidenza anche dai non precipuamente avvezzi o amanti della forma free, nel sancire il concreto buon esito e il palpabile successo della manifestazione.


L’evoluzione del free, nei casi autentici mai pervasa da stagnazioni o vacuità, passa anche attraverso le forze più fresche e innovatrici grazie anche ad un importante sentire made in Europa.